Responsabilità degli amministratori verso la società: presupposti e natura
L’attività gestoria va svolta secondo competenza e diligenza, nell’interesse della società e dei suoi creditori; le decisioni gestorie che non siano assunte previa adeguata valutazione delle ragioni contro e a favore, dei rischi e dei benefici, generano, a carico di coloro che le assumono, responsabilità per i danni che da tali decisioni derivino alla società (2476 comma 3 c.c. – 2392 c.c.) e, indirettamente, ai suoi creditori, quando a causa delle medesime il patrimonio sociale diviene insufficiente a soddisfare i creditori (2476 comma 6 c.c.). Le scelte prive di alcuna logica appartengono a questo tipo di violazione.
L’illecito gestorio, relativamente al danno arrecato dall’amministratore alla società amministrata, ha natura contrattuale, con conseguente applicazione a carico dell’amministratore degli oneri probatori conseguenti e presunzione di colpa ex art. 1218 c.c.; gli amministratori, per questo tipo di violazioni, sono dunque tenuti a provare di avere operato le loro scelte, dalle quali si assume derivare un danno alla società, secondo logica e previa adeguata valutazione, nell’interesse sociale (nella specie il Tribunale ritiene fonte di responsabilità la conclusione di una transazione, che prevedeva a carico della fallita una rinuncia senza l’indicazione di qualsivoglia motivazione a fondamento).
Sull’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità degli amministratori
L’azione sociale di responsabilità richiede che la società alleghi l’inadempimento degli obblighi gestori in capo all’amministratore, primo tra tutti l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, nonché alleghi e provi il danno ed il nesso causale rispetto all’inadempimento, danno che, in caso di atti distrattivi, consisterà nella perdita patrimoniale cagionata dalla relativa sottrazione imputabile all’organo amministrativo.
L’amministratore convenuto dovrà, invece, allegare e provare, ai sensi dell’art. 1218 cc, di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio della società: egli è pertanto onerato di provare che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti siano stati adottati nell’interesse della società, ovvero di non aver potuto adempiere a detti obblighi conservativi per fatto non imputabile.
L’azione di responsabilità sociale e l’onere della prova
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.
Nel caso di azione di revoca cautelare, le allegazioni devono essere idonee a comprovare l’esistenza di gravi irregolarità gestorie, foriere di un grave pregiudizio al patrimonio sociale (nella specie, la ricezione di somme in contanti senza l’emissione di regolare scontrino fiscale).
L’onere della prova per l’azione di responsabilità sociale in caso di atti patrimoniali distrattivi
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.
Nel caso di azione di revoca cautelare, le allegazioni devono essere idonee a comprovare l’esistenza di gravi irregolarità gestorie, foriere di un grave pregiudizio al patrimoniale sociale.
L’onere di allegazione che incombe sulla curatela assume quindi connotati e pregnanza diverse a secondo della tipologia di addebito contestato, della domanda proposta, e della natura della condotta e del danno lamentato.
In particolare, nel caso in cui venga allegato il compimento di atti patrimoniali distrattivi, è onere della parte attrice allegare il compimento delle gravi irregolarità gestorie, idonee a pregiudicare o danneggiare il patrimonio sociale, essendo invece onere dell’amministratore quello di provare di avere diligentemente operato. L’amministratore ha, infatti, l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della provenienza e destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.
Responsabilità degli amministratori per omesso versamento delle imposte
L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, conseguentemente, sull’attore grava esclusivamente l’onere di dimostrare l’inadempimento (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra quest’ultimo e il danno verificatosi; mentre sull’amministratore incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
Il pagamento delle imposte e degli oneri contributivi e previdenziali costituisce un dovere specifico degli amministratori di società e l’inadempimento degli obblighi tributari espone gli amministratori a responsabilità verso la società per il carico sanzionatorio derivante dalle violazioni riscontrate in sede di accertamento tributario, mentre il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, in quanto la società era tenuta comunque a sopportarne il costo. Il danno può, quindi, essere commisurato soltanto sulla base dell’entità delle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e dagli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, poiché tali esborsi sarebbero stati evitabili qualora l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse provveduto ad adempiere ai propri obblighi in modo regolare. Peraltro, è possibile ravvisare una responsabilità dell’amministratore solo in presenza di una condotta colpevole dello stesso, ciò presupponendo che l’amministratore – pur potendo provvedere al pagamento evitando il lievitare del debito – non lo avrebbe fatto senza giustificato motivo.
In merito al danno derivante dalla mancata escussione di crediti verso terzi, perché sia configurabile la responsabilità degli amministratori, il mancato incasso d’un credito, maturato dalla società in bonis prima del fallimento, non è sufficiente allegare l’inerzia degli amministratori nella riscossione di esso, occorrendo anche allegare e provare che il credito è divenuto inesigibile a causa di quella inerzia in ragione di fatti patrimoniali sopravvenuti della debitrice e/o della prescrizione del credito.
Il requisito del periculum in mora richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio.
Responsabilità degli amministratori per danni cagionati alla società amministrata: presupposti e riparto degli oneri probatori
La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale sicché la società (o il curatore) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di casualità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati, l’osservanza dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto.
Qualora la condotta contestata abbia ad oggetto la distrazione di cassa dal patrimonio sociale, la società (o il curatore) ha l’onere di allegare il prelievo ingiustificato di somme, e di offrire prove utili a ricostruire gli ammanchi, essendo invece onere dell’amministratore dimostrare la propria estraneità ai fatti ovvero di provare la destinazione a fini sociali delle somme prelevate.
L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta prova della loro distrazione od occultamento.
Responsabilità e conflitto di interesse degli amministratori
In tema di responsabilità dell’amministratore nei confronti della società, per far valere la responsabilità dell’amministratore per i danni derivanti dalla violazione dei propri doveri, spetta a chi agisce fornire la prova rigorosa della condotta inadempiente dell’amministratore, del danno patito dalla società e del nesso di causalità tra comportamento e danno.
Affinché sussista un conflitto di interessi nella stipula di un contratto è necessario che l’amministratore persegua interessi incompatibili con quelli della società, di talché la salvaguardia dei primi impedisce all’amministratore di tutelare adeguatamente quelli facenti capo alla società. Tale valutazione va condotta con riferimento alle concrete caratteristiche del negozio, al fine di verificare se la creazione dell’utile per una parte implichi il sacrificio dell’altra.
Responsabilità degli amministratori non esecutivi
Ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rileva non già il momento in cui il presupposto dell’azione prevista dall’art. 2394 c.c. è effettivamente conosciuto dai creditori sociali, ma il momento in cui il presupposto di quell’azione diviene da loro oggettivamente percepibile, con due precisazioni: in primo luogo, questo presupposto riguarda l’insufficienza della garanzia patrimoniale generica della società e non corrisponde perciò né allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale; in secondo luogo, il momento in cui questo presupposto diviene oggettivamente conoscibile dai creditori sociali non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, ma può collocarsi tanto anteriormente quanto posteriormente ad essa.
L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione quinquennale, può risultare dal bilancio sociale che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere. Sicché spetta al giudice di merito, con un apprezzamento in fatto insindacabile in cassazione, accertare se la relazione dei sindaci al bilancio che abbia evidenziato l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci – a fronte della quale l’assemblea abbia comunque deliberato la distribuzione di utili ai soci, senza rilievi da parte degli organi di controllo -, sia idonea a integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale.
In tema di responsabilità degli amministratori, l’assenza di delega non esonera di per sé da responsabilità, poiché sugli amministratori grava l’obbligo di verificare e controllare il corretto esercizio della delega conferita ad altri. Di fatti, ai sensi dell’art. 2381, co. 3, c.c., i componenti del CdA deleganti sono comunque tenuti a valutare l’operato dei delegati, richiedere informazioni, impartire direttive, avocare a sé il compimento di atti, tutti doveri che si riflettono nella responsabilità solidale degli amministratori, prevista dall’art. 2392, co. 2, c.c. nel caso in cui pur essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno adottato le misure idonee a impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità dell’amministratore non esecutivo si configura come condotta omissiva colposa, laddove la colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare i cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui gestione personalistica.
L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera posizione di garanzia, ma risponde per una propria condotta omissiva consistente nel mancato esercizio dei poteri impeditivi che l’ordinamento gli riconosce, quali, ad esempio, le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art. 2409 c.c., nella formulazione ante riforma.
Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate, che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto, ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive e aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.
In tema di responsabilità dei sindaci, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate ovvero denunciandole al tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore
Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione ai doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o colpa in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità. Le due azioni, ancorché diverse, vengono ad assumere, nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario e inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondono tra loro al fine di consentire l’acquisizione all’attivo della procedura di quel che è stato sottratto dal patrimonio sociale per fatti loro imputabili. Sicché il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali azioni di massa.
L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, mentre l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
La differenza tra le due tipologie di responsabilità si coglie soprattutto in ciò: solo il creditore di una prestazione contrattualmente dovuta non è tenuto a provare l’imputabilità dell’inadempimento al debitore, sul quale grava l’onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). E tuttavia, compete pur sempre al creditore l’onere di allegare l’altrui comportamento non conforme al contratto o alla legge, oltre che di allegare e provare il danno ed il nesso di causalità. A maggior ragione, tali oneri gravano su chi agisce per far valere un’altrui responsabilità extracontrattuale, dovendo egli in aggiunta farsi carico (non solo di allegare, ma altresì) di provare il comportamento del convenuto in violazione del dovere del neminem laedere.
Grava sugli amministratori il dovere di adempiere alle obbligazioni contratte dalla società con regolarità, al fine di evitare che la società abbia danno dai ritardi o dalle omissioni nei pagamenti, ciò quindi al fine di preservare l’integrità del patrimonio sociale. In caso di inadempimento, l’amministratore ha la possibilità di provare la mancanza di provvista in capo alla società per imputare all’impotenza finanziaria il proprio inadempimento. Tuttavia, anche in questo caso, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver attivato tutti gli strumenti del caso, dalla convocazione dell’assemblea per affrontare la crisi di liquidità con il versamento di nuova finanza, fino a prendere atto dell’impossibilità della società a proseguire la gestione ordinaria per incapacità a fare fronte con regolarità le obbligazioni tributarie attivando la messa in scioglimento.
Responsabilità dell’amministratore per prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione
La prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione, senza affrontare e risolvere le cause che hanno determinato la crisi, è operazione che, malgrado il principio di normale insindacabilità nel merito delle scelte gestorie, obbliga gli amministratori a rispondere del pregiudizio arrecato perché compiuta senza alcuna diligenza nel preventivo apprezzamento dei margini di rischio ad essa connessi.
La responsabilità solidale prevista dall’art. 2112, co. 2, c.c. presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori.
La mancata o irregolare tenuta della contabilità non è in sé causa di danno risarcibile, poiché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro mancata o scorretta registrazione in contabilità. Ai fini risarcitori, dunque, occorre ulteriormente domandarsi se e quale pregiudizio sia potenzialmente ricollegabile a tale specifica violazione in termini di danno emergente o di lucro cessante a carico del patrimonio sociale e, una volta assolto l’onere della prova circa l’esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale, la mera mancanza di scritture contabili o la loro scarsa intellegibilità, ove effettivamente preclusiva di una ricostruzione specifica del danno cagionato al patrimonio sociale, può fungere semmai da criterio equitativo ai sensi dell’art. 2486 c.c., co. 3, c.c., dispensando non già dalla prova dell’inadempimento degli amministratori e del pregiudizio arrecato al patrimonio della società, ma soltanto dalla prova precisa del quantum debeatur.