Corte d’appello di Milano
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Peugeot vs Piaggio: contraffazione del brevetto di un motociclo a tre ruote e divieto di produzione documentale in appello
In grado di appello, l’esame delle anteriorità di un brevetto va ristretto a quelle prese in considerazione dal ctu nel corso della consulenza tecnica in primo grado, dovendosi escludere quelle offerte dopo la chiusura delle operazioni peritali o nel corso del giudizio di appello stesso. La possibilità di produrre nuova documentazione durante la consulenza tecnica di ufficio (art. 121, comma 5, cpi) trova, infatti, un limite nell’esito dell’indagine peritale, nonché, chiaramente, nel divieto di produzione di nuovi documenti nella fase di appello, ai sensi dell’art. 345 cpc.
Appostazione in bilancio e qualificazione dell’erogazione di somme da parte del socio
L’erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società. La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci.
In tema di valutazione della qualificazione della natura di una erogazione di denaro dal socio alla società, occorre applicare i criteri generali valevoli per il diritto societario. E’ quindi necessario considerare che il criterio principale di qualificazione di una destinazione da parte della società di una somma di denaro, comunque ricevuta nel corso dell’esercizio, è dato dall’esame delle risultanze del relativo bilancio. Invero, il bilancio di esercizio è proprio il documento contabile fondamentale che la società è obbligata a redigere per dar conto dell’attività svolta nel relativo esercizio sociale e gli amministratori, nel redigere il bilancio, si assumono la responsabilità della qualificazione che attribuiscono alle relative poste. Dunque, può affermarsi che il bilancio, stante il rilievo anche pubblicistico che assume con la pubblicazione nel registro delle imprese, è il documento principale da cui dover partire per qualificare la natura di un’entrata patrimoniale per la società.
Trasferimento di fatto dell’azienda mediante distrazione cespiti e responsabilità solidale tra gli amministratori della cedente e la cessionaria
Il trasferimento d’azienda può avvenire anche in via di mero fatto, vale a dire in assenza di un formale atto di cessione, ogni qualvolta si determini il passaggio ad un diverso soggetto giuridico di un complesso di beni di per sè idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di una determinata attività d’impresa, requisito configurabile anche quando detto complesso non esaurisca i beni costituenti l’azienda o il ramo ceduti, ma per la sussistenza del quale è indispensabile che i beni oggetto del trasferimento conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa.
Sono individuabili una serie di circostanze sintomatiche, idonee a disvelare (pur in assenza di un formale contratto tra le parti) l’esistenza di un trasferimento di fatto dell’azienda in ragione della distrazione e del travaso in favore di una seconda società di una serie di elementi che nel loro complesso rappresentano un’utilità economica organizzata idonea a consentire la prosecuzione dell’attività di impresa; sono tali, ad esempio, l’analogia o l’identità delle attività esercitate, l’identità soggettiva dei soci o delle cariche sociali e dei dipendenti e collaboratori impiegati, il trasferimento di una parte significativa dei beni aziendali e l’esistenza degli stessi clienti e fornitori [indici, questi, tutti ravvisabili nel caso di specie, ove – sebbene tra le due società fosse stato definito un contratto formale di cessione di attrezzature – si era verificata un trasferimento occulto di azienda con sovrapponibilità tra le stesse ed una identità di attività e di fattori produttivi: (i) identità di soggetti coinvolti quali soci ed amministratori; (ii) medesima attività di impresa svolta; (iii) trasferimento di quasi tutti i dipendenti; (iv) acquisizione di numerosi beni strumentali; (v) trasferimento dei contratti di appalto con gli stessi clienti della prima ed alle medesime condizioni giuridiche ed economiche].
Orbene, al trasferimento di fatto d’azienda consegue, quale effetto naturale, un fenomeno successorio anche in relazione ai contratti di impresa e, quindi, il subentro del cessionario, ai sensi dell’art. 2558 c.c., in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale. Subentro automatico che appare riferibile non solo ai cosiddetti “contratti di azienda”, vale a dire quelli aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, ma anche ai cosiddetti “contratti di impresa”, vale a dire quelli attinenti all’organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di appalto.
Il trasferimento di fatto d’azienda, così come la successione contrattuale che ne discende, non integra di per sé una condotta illecita, ma può dar luogo ad una tutela risarcitoria, qualora il trasferimento, di fatto appunto, in astratto perfettamente lecito, presenti evidenti connotati di illiceità e sia finalizzato a sottrarre l’azienda alla garanzia dei creditori o, comunque, a distrarne il patrimonio e l’avviamento a fronte di un prezzo vile o, addirittura, in assenza di corrispettivo.
Il trasferimento di fatto dell’azienda tramite spoliazione dei cespiti produttivi e lo svuotamento della prima società in ragione del trasferimento dei beni aziendali in capo ad una seconda, con contestuale cessazione della attività della prima (in ragione della assenza di beni organizzabili per lo svolgimento di una attività di impresa o, comunque, in conseguenza della loro dismissione) costituisce illecito per atti di mala gestio e riveste natura di condotta distrattiva di beni e di avviamento; in tale situazione è riconosciuto alla società danneggiata ed ai creditori sociali il diritto di ottenere il risarcimento dei danni e la condanna – in solido per concorso tra loro – degli amministratori della cedente e della società cessionaria beneficiaria (l’identità dei soci e degli amministratori rendono verosimile ritenere che la società beneficiaria fosse consapevole) del trasferimento di fatto e degli atti distrattivi dell’azienda.
Sulla clausola risolutiva espressa in un contratto preliminare di cessione di partecipazioni societarie
L’accertamento in ordine all’essenzialità del termine, inserito dalle parti in un contratto preliminare di cessione di partecipazioni societarie, deve essere condotta dal giudice di merito non solo alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti, ma soprattutto alla stregua della natura e dell’oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo.
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.
Revocazione per ingratitudine della donazione avente ad oggetto partecipazioni sociali
La circostanza per cui i donatari abbiano tenuto una condotta non conforme alla volontà del donante [nella specie, l’aver disconosciuto un patto parasociale sottoscritto contestualmente all’atto di donazione, col quale si escludeva dalla gestione della società i donatari, figli del donante] non è sufficiente a configurare, in assenza di un manifesto sentimento di avversione e disistima, causa di revocazione per ingratitudine, sub specie di ingiuria grave, da intendersi come la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l’atteggiamento. Non solo la riconoscenza verso il donante non può declinarsi in termini di pedissequa obbedienza alle indicazioni impartite da quest’ultimo, ove non condivise, ma soprattutto il donatario non può essere privato dell’esercizio di diritti e facoltà che la legge gli attribuisce. D’altronde, imporre al donatario, a pena di revocazione, un obbligo di astensione da qualunque condotta o esternazione antitetica rispetto alla volontà del donante, integrerebbe un intollerabile vincolo sulla sua libertà di autodeterminazione per il sol fatto di essere stato destinatario di un atto di liberalità, così snaturando l’istituto in questione che si caratterizza, proprio, dall’assenza di corrispettività.
Nullità del trust autodichiarato in cui disponente trustee e beneficiario coincidono
I soggetti che costituiscono il trust (disponente, trustee e beneficiario) non possono coincidere, in quanto il trust istituisce in capo al trustee una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente nell’atto istitutivo a vantaggio del beneficiario e che, di conseguenza, ove tali figure coincidano (come nell’atto di trust per cui è causa), la proprietà del trustee in nulla differisce dalla proprietà piena.
Ne segue che tale tipologia di trust deve ritenersi affetta da nullità, in quanto priva di uno degli elementi costitutivi, secondo quanto previsto dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja (cfr. Cass. Civ. n. 12718/2017).
In altri termini, il disponente potrà mantenere, secondo quanto previsto dalla norma, alcune prerogative, ma non potrà mai coincidere con la figura del trustee e con il beneficiario, pena il totale snaturamento dell’istituto e la conseguente nullità dello stesso.
Danno da perdita di chance di vendere la quota di s.r.l.
Nullità delle clausole di fideiussioni contrarie al divieto delle intese anticoncorrenziali
Il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 possiede un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale e il giudice di merito non può attribuire rilievo decisivo all’attuazione o non attuazione della prescrizione impartita da Banca d’Italia ad ABI, essendo, invece, tenuto a verificare se le disposizioni contrattualmente pattuite coincidano con le condizioni vietate dell’intesa restrittiva (cfr. Cass., Sent. 13846/2019).
La conseguenza di tale accertamento è il rilievo della nullità delle sole clausole che si pongono in contrasto con il divieto di intese anticoncorrenziali e ciò vale sia per i contratti conclusi prima del provvedimento della Banca d’Italia, sia per quelli conclusi in epoca successiva e che dello stesso non sono rispettosi (cfr. Cass., Sent. 41994/2021).
Sulla riformulazione delle rivendicazioni brevettuali nel corso del giudizio di nullità brevettuale
Nell’ambito di un giudizio di nullità brevettuale il titolare del brevetto ha la facoltà ed il diritto potestativo ai sensi dell’art. 79 c. 3 c.p.i. di sottoporre al Giudice un’istanza – esercitabile in ogni fase e grado del giudizio – di riformulazione delle rivendicazioni oggetto di brevetto, purché la richiesta avvenga: i. sul piano sostanziale entro i limiti del contenuto della domanda di brevetto iniziale e non individui una estensione ulteriore rispetto a quella oggetto del brevetto; ii. sul piano processuale nei limiti dei principi del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso, nonché nel rispetto della clausola generale di buona fede (anche processuale) e con il limite dell’abuso del diritto.
L’esercizio del diritto di riformulazione delle rivendicazioni brevettuali non costituisce una mutatio libelli ma una disposizione del diritto sostanziale purché esercitata con modalità non abusive e compatibilmente con il principio costituzionale del giusto processo, attesi gli accertamenti peritali che normalmente si rendono indispensabili per la natura tecnica della materia successivamente all’esercizio di tale diritto: lo ius poenitendi sostanziale non può essere esercitato in modo abusivo e reiterato, ma deve esserlo sempre secondo i canoni del giusto processo, anche al fine di evitare e scongiurare il più possibile un’eccessiva durata dello stesso, rendendo necessari continui e iterativi accertamenti peritali sulle riformulazioni via via avanzate.
Scioglimento anticipato di s.r.l. per impossibilità di funzionamento e continuata inattività dell’assemblea
In base al disposto dell’articolo 2484, n. 3, c.c. lo scioglimento anticipato delle società a responsabilità limitata può avvenire qualora vi sia una “continua inattività” dell’assemblea o qualora sussista una “impossibilità di funzionamento” della stessa, ovvero quando un insanabile contrasto tra i soci renda l’organo assembleare incapace – in maniera stabile ed irreversibile – di assolvere le sue funzioni essenziali.
Nelle fattispecie in cui vi siano solo due soci paritetici, la sussistenza di un’insanabile conflittualità tra gli stessi, e il conseguente venire meno della fiducia reciproca, rende inevitabilmente impraticabili i meccanismi assembleari previsti dalla legge, con la conseguente impossibilità di un corretto, disteso e proficuo svolgimento dell’attività sociale. Appare del tutto irrilevante che tale impossibilità si configuri come una “continua inattività” dell’assemblea a causa della mancata partecipazione di un socio alle riunioni assembleari, posto che il dissidio tra i due soci paritetici, rendendo impossibile il raggiungimento delle maggioranze necessarie, provocherebbe comunque “un’impossibilità di funzionamento” dell’assemblea, integrando una causa tipica di scioglimento dell’ente.