hai cercato per tag: clausola-di-correttezza-e-buona-fede - 3 risultati
23 Settembre 2024

Responsabilità precontrattuale e violazione degli obblighi di buona fede nei contatti di cessione di quote sociali

La cessione di azioni o quote delle società  di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo indirettamente il compendio dei beni di cui la società è proprietaria. Di conseguenza, le garanzie ex art. 1492 e 1497 c.c. non operano relativamente alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale, a meno che il cedente la partecipazione abbia fornito specifiche garanzie contrattuali al riguardo, ovvero abbia agito con dolo.

In caso di contratto di cessione di partecipazioni, l’obbligo risarcitorio che l’art. 1440 c.c. pone in capo al contraente in mala fede, suppone che questi abbia posto in essere artifici o raggiri nei confronti della controparte, anche nella forma della menzogna o della semplice reticenza qualificata sulle qualità della partecipazione ceduta, tali che senza di essi il contratto sarebbe stato ugualmente concluso, ma a condizioni diverse da quelle pattuite. In merito al profilo probatorio, in tema di dolus incidens (art. 1440 cod.), l’attore, una volta provata l’esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell’an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli.

Dunque, l’azione risarcitoria ex art. 1440 c.c. presuppone una responsabilità di natura precontrattuale che impone all’attore di provare la “condotta illecita” posta in essere dall’altro contraente ovvero l’esistenza di un raggiro o di “una reticenza qualificata” su un elemento non trascurabile del contratto e, nella specifica ipotesi di cessione di partecipazioni sociali, “sulle qualità della partecipazione ceduta”.

6 Novembre 2019

Profili sostanziali sull’invalidità delle delibere assembleari per abuso di potere di maggioranza

La figura dell’abuso del potere di maggioranza non trova diretto fondamento nella legge, ma ha origini di matrice giurisprudenziale. Tale profilo di invalidità è considerato integrato laddove la delibera risulti arbitrariamente e fraudolentemente volta al perseguimento di interessi divergenti da quelli societari, ovvero preordinata alla lesione degli interessi dei soci di minoranza. Così delineata, è l’unica ipotesi in cui al giudice è concesso un esame del merito della delibera societaria, andando oltre un controllo di mera legalità formale. In tali ipotesi formalmente non vi è violazione di alcuna disposizione di legge o di atto costitutivo, ma il principio di maggioranza, usato per l’approvazione delle delibere societarie, viene strumentalizzato a danno degli interessi della minoranza assembleare.

Orientamento ormai consolidato sostiene che l’abuso di potere costituisca una violazione della clausola generale di correttezza e buona fede contrattuale nell’esecuzione del contratto sociale, che trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c., sull’assunto che le delibere assembleari costituiscono fondamentali momenti esecutivi del contratto di società. Tali norme impongono che i soci informino il proprio operato ai suddetti principi, imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere condotte “idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria” (Cass. 11 giugno 2003, n. 9353)

In sostanza, una delibera può definirsi invalida per abuso del potere di maggioranza quando essa non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, o perché tesa al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico con quello sociale, oppure perché espressione di un’attività fraudolenta dei soci di maggioranza preordinata a ledere i diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza. Tali requisiti evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa.

In tema di onere della prova, il socio che assume l’illegittimità della deliberazione per abuso della maggioranza sarà tenuto a provare che la maggioranza, attraverso il deliberato impugnato, abbia perseguito interessi extrasociali, ovvero che questi interessi erano finalizzati a danneggiare la minoranza. Soprattutto sarà onere della parte impugnante dimostrare che alla base della decisione della maggioranza non vi fosse alcun interesse sociale e che alcun vantaggio per la società possa derivarne.