Prescrizione dell’azione di risarcimento nei confronti degli amministratori e sindaci e domanda di concordato
Colui che agisce in giudizio con l’azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali, che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell’art. 2486 c.c., ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda e, quindi, la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva al verificarsi della causa di scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa, come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci, ma siano giustificati dalla finalità liquidatoria o comunque risultino necessari. Pertanto, qualora l’addebito gestorio, ai sensi dell’art. 2486 c.c., si basi su delle censure al bilancio, parte attrice avrebbe l’onere di allegare le ritenute violazioni nella redazione del bilancio, con esplicitazione sia delle ragioni, sia dei fatti per i quali le singole poste debbano ritenersi scorrette, sia degli importi per i quali esse debbano essere rettificate.
Al fine di indicare correttamente i fatti ai sensi dell’art. 164, co. 5, c.p.c. è sufficiente che parte attrice ponga l’accento sulla gravità dei discostamenti dal vero delle poste di bilancio censurate e sul dovere certificatorio del revisore, circa la verità e correttezza del bilancio nella sua funzione di rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, con ciò implicando che il mancato rilievo di tali discostamenti sia segno di inescusabile negligenza del revisore. E’, invece, onere del revisore dimostrare, qualora vi sia uno scostamento dal vero, di avere operato diligentemente e incolpevolmente.
Il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di cui all’art. 2476 co. 6 non inizia a decorrere dal momento in cui risulta pubblicata la determinazione del CdA di presentare proposta di concordato preventivo, non essendo tale elemento sufficiente ad esporre l’insufficienza patrimoniale della società. L’insufficienza patrimoniale della società risulta, invero, dalla pubblicazione della proposta di concordato, nella quale non sia previsto il pagamento integrale dei creditori.
L’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale nei confronti del creditore comune produce effetto anche a favore dell’altro coobbligato convenuto non eccipiente nello stesso processo, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti di quest’ultimo possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore eccipiente, senza che assuma rilevanza la distinzione tra il coobbligato contumace e quello costituito che non abbia proposto l’eccezione ovvero l’abbia abbandonata, ipotesi tutte che non comportano rinuncia sostanziale alla prescrizione maturata e neppure rinuncia tacita all’azione di regresso verso il coobbligato eccipiente.
La prova del legame causale tra condotta e danno nell’illecito di concorrenza sleale
Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la comunanza di clientela e un rapporto di concorrenzialità tra le parti interessate; in secondo luogo, il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di uno dei soggetti coinvolti; in terzo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile e il nesso eziologico tra tale danno e la condotta sleale di controparte; infine, il coefficiente psicologico della colpa in capo al danneggiante (presunto, ex art. 2600 c.c., salva prova contraria).
Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione. Se è vero che l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità, è altrettanto vero che il corrispondente danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale necessita di essere provato dal danneggiato.
La prova del danno subito e del legame causale tra condotta e danno, in ossequio alla ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., grava dunque sul danneggiato. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra condotta e danno assorbe ogni indagine ulteriore e impone il rigetto della domanda risarcitoria di parte attrice.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore e mancata restituzione delle immobilizzazioni materiali
L’azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità’ ex artt. 2392 e 2393 C.C. – che si ricollegano alla violazione da parte degli amministratori di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si siano tradotti in pregiudizio per il patrimonio sociale -, che dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 C.C., – tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore.
In applicazione degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, nell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F., grava sulla Curatela attrice l’onere di provare – giusta l’art. 2697 c.c. – la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore sia l’esistenza di specifiche e determinate voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.
Nel caso in cui la Curatela attrice imputi al convenuto la distrazione di beni dalla società e quest’ultimo abbia pacificamente riconosciuto l’addebito, in mancanza della prospettata consegna, deve ritenersi che le immobilizzazioni materiali siano state perse, distrutte o distratte in epoca non accertabile con corrispondente danno per la società e per i creditori. La mancata consegna di beni de quo integra gli estremi della responsabilità ex art. 146 L.F. e 2394 C.C., posto che l’amministratore ha evidentemente violato l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio non consegnando detti beni.
In ordine alla quantificazione del danno, nell’azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti dell’amministratore, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore. Invero, siffatto criterio, in quanto caratterizzato da un’elevata dose di approssimazione, può avere un utilizzo concreto in due sole fattispecie. La prima è quella della mancanza, falsità o totale inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita, situazione che determina l’impossibilità di ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e quindi il necessario ricorso ad un criterio scevro da agganci a precisi parametri. La seconda è quella in cui il dissesto sia stato cagionato da un’attività distrattiva così reiterata e sistematica, da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata sul valore dei beni distratti e dissipati
Illecita prosecuzione dell’attività e criteri di quantificazione del danno
L’azione esercitata dal fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall., che censura la condotta gestoria dell’amministratore quale lesiva del patrimonio sociale, ha natura contrattuale, onde si applicano i principi sull’onere probatorio propri di tale tipo di azioni: l’attore deve allegare in modo sufficiente preciso l’illecito, e provare il danno e il nesso causale fra condotta od omissione censurata e danno, mentre spetta al convenuto provare di avere bene operato o di non essere stato in colpa.
Quanto alla stima del danno, l’art. 2486 cod. civ., come riformato nel 2019, raccoglie e cristallizza in regole di legge le elaborazioni sulla determinazione del danno derivanti da una già precedente consolidata giurisprudenza: pertanto, i criteri ivi indicati si applicano anche alla stima dei danni per illeciti commessi, e già previsti dalla legge, ante riforma.
Amministratore di società cooperativa: azione di responsabilità
In tema di azione di responsabilità contro gli amministratori di società cooperativa – applicandosi alle cooperative, per quanto non espressamente previsto, le disposizioni sulle società per azioni (ex art. 2519, comma 1, c.c.) – l’art. 2392 c.c. impone agli amministratori di adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze e prevede che essi siano solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. Trattasi di responsabilità di natura contrattuale che impone a chi agisce in responsabilità di provare l’inadempimento, il danno ed il nesso eziologico; per contro, incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
La circostanza che un consigliere sia privo di specifiche deleghe non esime il medesimo, quale componente del CdA, dall’esercitare la propria carica con la diligenza richiesta, nonché dal vigilare ed attivarsi al fine di preservare l’integrità del patrimonio sociale, ponendo rimedio alle eventuali illegittimità rilevate.
Responsabilità degli amministratori verso la società: presupposti e natura
L’attività gestoria va svolta secondo competenza e diligenza, nell’interesse della società e dei suoi creditori; le decisioni gestorie che non siano assunte previa adeguata valutazione delle ragioni contro e a favore, dei rischi e dei benefici, generano, a carico di coloro che le assumono, responsabilità per i danni che da tali decisioni derivino alla società (2476 comma 3 c.c. – 2392 c.c.) e, indirettamente, ai suoi creditori, quando a causa delle medesime il patrimonio sociale diviene insufficiente a soddisfare i creditori (2476 comma 6 c.c.). Le scelte prive di alcuna logica appartengono a questo tipo di violazione.
L’illecito gestorio, relativamente al danno arrecato dall’amministratore alla società amministrata, ha natura contrattuale, con conseguente applicazione a carico dell’amministratore degli oneri probatori conseguenti e presunzione di colpa ex art. 1218 c.c.; gli amministratori, per questo tipo di violazioni, sono dunque tenuti a provare di avere operato le loro scelte, dalle quali si assume derivare un danno alla società, secondo logica e previa adeguata valutazione, nell’interesse sociale (nella specie il Tribunale ritiene fonte di responsabilità la conclusione di una transazione, che prevedeva a carico della fallita una rinuncia senza l’indicazione di qualsivoglia motivazione a fondamento).
Azione risarcitoria nei contronti dell’Amministratore uscente per smarrimento dei documenti contabili
L’obbligo dell’amministratore uscente di consegnare al nuovo amministratore la documentazione sociale rimasta in suo possesso trova fondamento nella previsione dell’art. 1713, co. 1 c.c., che impone al mandatario il c.d. obbligo di rendiconto, il quale può trovare applicazione anche al contratto di amministrazione, in quanto riconducibile al mandato.
Trattandosi di una vera e propria obbligazione (di dare), quest’ultima deve avere ad oggetto una prestazione possibile, cioè suscettibile di essere eseguita, per cui è necessario che la documentazione richiesta si trovi nella materiale disponibilità dell’ex amministratore-debitore affinché questi possa effettivamente adempiere, con la conseguenza che ai sensi dell’art. 1257 c.c. – secondo cui la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la res viene smarrita senza che possa esserne provato il perimento – è inammissibile la condanna alla consegna, fatto salvo il diritto della società al risarcimento del danno nel caso di colpa dell’amministratore per il mancato rinvenimento.
La riconducibilità dell’obbligazione gravante sull’ex-amministratore alla disciplina del mandato e il rigetto della richiesta cautelare “in forma specifica” per carenza di prova del fumus non escludono la configurazione in capo allo stesso di un obbligo generale di rendiconto dell’attività gestoria svolta sino alla cessazione dalla carica.
Preclusioni processuali nel procedimento semplificato di cognizione
Revoca cautelare di amministratore di s.r.l. e azione di responsabilità
La revoca cautelare dell’amministratore prevista dall’art. 2476, terzo comma, cod. civ, deve ritenersi ammissibile non solo se proposta quale tutela strumentale ad un’azione di responsabilità di natura risarcitoria ma anche in relazione ad un’azione meritale di revoca dell’amministratore. Nel primo caso la cautela assume una natura latu sensu conservativa poiché non tutela il vero e proprio diritto al risarcimento del danno – per il quale è esercitabile il sequestro conservativo – ma piuttosto mira a prevenirne l’aggravamento, nel secondo caso assume una natura anticipatoria della revoca definitiva. In effetti, il termine “altresì”, contenuto nella disposizione normativa in esame, deve essere considerato ed intendersi come attributivo di un potere aggiuntivo del socio, svincolato rispetto alla proposizione della azione sociale di responsabilità, ovvero quello di proporre l’azione non solo cautelare ma anche di merito per la revoca dello stesso amministratore, non sussistendo quindi alcuna violazione dell’art. 2908 cod. civ.. Tale orientamento si ritiene possa essere ribadito anche con l’entrata in vigore del D. Lgs. N. 14/2019, che ha esteso anche alle s.r.l. la tutela prevista dall’art 2409 cod. civ. Si tratta di due tutele che possono considerarsi concorrenti, prevedendo regimi diversi quanto, ad esempio, a legittimazione (potendo, il rimedio di cui all’art. 2476 cod. civ. essere esercitato da ciascun socio a prescindere dall’entità delle partecipazioni) e alla tipologia dei provvedimenti che possono essere assunti dal Tribunale, che, in senso al procedimento di cui all’art. 2409 cod. civ. può adottare provvedimenti di diversa natura. Deve peraltro osservarsi che l’amministratore provvisorio nominato dal Tribunale assolve un munus di durata provvisoria, laddove invece, nel caso di revoca cautelare, la nomina del nuovo amministratore è rimessa alla società e potrebbe assumere maggiore stabilità.
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Nel caso di azione di revoca dell’amministratore, le allegazioni devono essere idonee a comprovare l’esistenza di gravi irregolarità gestorie, foriere di un grave pregiudizio al patrimonio sociale. Ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, parte attrice deve poi provare l’esistenza del danno lamentato, la sua quantificazione e la sua riconducibilità alla condotta dell’amministratore convenuto.
Domande di revoca cautelare dell’amministratore e sequestro conservativo e mancata prova del danno
L’azione sostitutiva del socio di s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. ha la stessa natura dell’azione sociale, e dunque carattere contrattuale, onde il socio deve allegare, con sufficiente determinatezza, l’addebito e fornire prova del danno e del nesso causale fra illecito e danno; spettando invece agli amministratori fornire la prova di assenza di colpa o di buon operato.