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Art. 2377 c.c.
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4 Aprile 2024

Impugnativa di bilancio: la valutazione delle partecipazioni immobilizzate

In tema di redazione del bilancio di esercizio, l’art. 2426, co. 1, n. 1, c.c. impone che le immobilizzazioni siano iscritte al costo di acquisto e l’art. 2423 bis, co. 1, n. 6, c.c. prescrive che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (c.d. principio di continuità dei bilanci). Pertanto, l’appostazione di una partecipazione detenuta in altra società al costo di acquisto e per un valore coerente con quanto rappresentato nel bilancio precedente risulta ossequiosa di detti principi, rispetto ai quali la mera diversa valorizzazione in un atto di donazione tra privati non riveste alcuna efficacia euristica.

21 Marzo 2024

In caso di CdA con due membri, la legittimazione a impugnare le delibere assembleari spetta all’organo collegiale

All’amministratore revocato è riconosciuta la legittimazione a impugnare la deliberazione di revoca, qualora intenda lamentare che la stessa non è stata correttamente assunta, facendo valere non già un proprio interesse, bensì l’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il potere gestorio sia attribuito a un consiglio di amministrazione composto da due membri, la legittimazione a impugnare le delibere non conformi alla legge o allo statuto spetta all’organo gestorio e non individualmente a ciascun amministratore.

Ai sensi dell’art. 2352 c.c., in caso di pignoramento di partecipazioni sociali, l’esercizio del diritto di voto è assegnato, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio; tale attribuzione del diritto di voto costituisce elemento connaturale al pegno di partecipazioni sociali. La convenzione contraria richiamata dalla disposizione va intesa quale eventuale accordo tra socio datore di pegno e creditore pignoratizio, derogatorio della disciplina ordinaria e da comunicare alla società al fine di consentire in assemblea l’esercizio del diritto di voto al soggetto legittimato, e non già quale patto tra soci versato nello statuto. Si tratta infatti di un diritto disponibile da parte del creditore pignoratizio nei rapporti interni con il proprio debitore.

15 Marzo 2024

Sostituzione di delibera invalida, finanziamento soci e versamento in conto capitale

L’art. 2377 c.c. si risolve in una ricognizione dell’effetto sostitutivo di delibere successive a quella impugnata dal socio, effetto di per sé comportante il venir meno della utilità della impugnazione per l’attore, la delibera impugnata essendo già stata privata di effetti dalla sua sostituzione endo-societaria. Vero è poi che ex art. 2377 c.c. tale effetto sostitutivo può dirsi realizzato solo laddove la seconda delibera sia stata presa in conformità della legge e dello statuto, vale a dire sia stata presa validamente: ma anche questa precisazione contenuta nella norma va coordinata con il sistema di efficacia degli atti endo-societari e in particolare delle delibere assembleari, le quali, secondo il principio di cui al primo comma sempre dell’art. 2377 c.c., se prese in conformità della legge e dello statuto, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti, la loro eventuale invalidità essendo poi accertabile in sede giudiziale solo a mezzo di impugnazione soggetta ai limiti temporali e di legittimazione previsti ancora dall’art. 2377 c.c. e dagli artt. 2379, 2379 ter e 2434 bis c.c., con la conseguenza che le delibere assembleari la cui invalidità non sia stata azionata attraverso specifica impugnazione rimangono di per sé efficaci nell’ambito endo-societario.

Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno l’interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Pertanto, nel giudizio relativo all’impugnazione della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni relative all’invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore: la valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve invece limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto.

La prestazione dell’amministratore non può essere assimilata a quella di un lavoratore subordinato o parasubordinato ovvero di un prestatore d’opera, non essendo essa soggetta ad alcun coordinamento o eterodirezione, neppure da parte dell’assemblea dei soci. Il rapporto tra la società e l’amministratore va, infatti, ricondotto nell’ambito dei rapporti societari cui fa riferimento l’articolo 3, co. 2, lett. a, d.lgs. 168 del 2003. Da tale inquadramento del rapporto negoziale deriva l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e la conseguente natura derogabile del diritto al compenso spettante all’amministratore.

Per determinare se ci si trovi di fronte a un finanziamento o a un versamento in conto capitale non assume rilevanza determinante la voce in cui le somme sono state iscritte nel bilancio sociale, in quanto sono le scritture contabili a dover rappresentare fedelmente la realtà fattuale e giuridica dei rapporti sociali, e non viceversa; in altre parole, l’iscrizione a bilancio di un debito inesistente non può far nascere tale passività se manca un suo titolo giustificativo. Piuttosto, la prova del titolo in forza del quale la somma è stata erogata deve trarsi dalla ricostruzione della volontà negoziale come emerge dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

15 Marzo 2024

Distinzione tra finanziamento soci e versamento in conto capitale

Al fine di determinare se ci si trovi di fronte a un finanziamento o a un versamento in conto capitale, la prova del titolo in forza del quale la somma è stata erogata deve trarsi dalla ricostruzione della volontà negoziale e, quindi, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso è diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. Non ha rilevanza la voce in cui le somme sono state iscritte a bilancio e neppure può rilevare la denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle schede contabile, in quanto le scritture contabili devono rappresentare fedelmente la realtà fattuale e giuridica dei rapporti sociali.

Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endosocietario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito l’invalidità in sede processuale, con il che viene meno non già la materia del contendere, ma lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endosocietario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Pertanto, nel giudizio relativo alla impugnazione della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni dell’attore relative alla invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore. La valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto.

Nel rapporto interno con l’amministratore e sul piano contrattuale, le scelte negoziali per conto della società sono assunte ed espresse dai soci, ai quali spetta ex lege il potere di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne, eventualmente, il compenso (artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c.). Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione. Viene in rilievo, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce. In secondo luogo, viene in considerazione la delibera assembleare di nomina degli amministratori, la quale, laddove lo statuto attribuisca loro il diritto al compenso, può determinarne la misura; ove invece lo statuto preveda un diritto al compenso condizionato o non preveda alcunché, la stessa può deliberare l’attribuzione di emolumenti in favore degli amministratori, determinandone eventualmente l’ammontare; ovvero ancora può non prevedere nulla al riguardo.

11 Marzo 2024

Impugnazione della delibera assembleare di distribuzione degli utili

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi dell’art. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.

Fermo restando che il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

29 Gennaio 2024

Nullità della delibera assunta dall’assemblea tenutasi in un luogo diverso da quello indicato nell’avviso di convocazione

La legittimazione ad impugnare una delibera assembleare è diversa a seconda della pronuncia che si intenda conseguire e del tipo di società cui la delibera perviene. In caso di vizi suscettibili di produrre l’annullabilità della delibera nelle s.r.l. è legittimato ad agire, ex art 2479 ter c.c., ogni socio assente, dissenziente o astenuto, ciascun amministratore, l’organo di controllo. La qualifica di socio si acquista nei rapporti societari interni all’organizzazione dell’ente dal momento del deposito dell’atto di trasferimento presso l’ufficio del registro delle imprese, stante il disposto dell’art 2470 c.c.

La formula normativa dell’art. 2479 ter c.c., prevedente la impugnabilità nel più ampio termine di tre anni delle decisioni dei soci di s.r.l. prese in assoluta mancanza di informazione, non si differenzia da quella parallela in materia di s.p.a. e contenuta nel primo comma dell’art. 2379 c.c. lì dove commina la nullità delle deliberazioni, tra l’altro, assunte nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, casi che il terzo comma dello stesso articolo precisa non possono configurarsi quando la convocazione non manca ma è solo irregolare, provenendo comunque l’avviso da un componente dell’organo amministrativo. In sostanza, nell’ipotesi di deliberazione assembleare di s.r.l. la assoluta mancanza di informazione va riferita, in via sistematica, al procedimento di convocazione in senso proprio e si risolve nel medesimo vizio di nullità previsto per le spa di mancanza assoluta di convocazione.

La circostanza che l’assemblea si tenga in altro luogo da quello indicato nell’avviso di convocazione comporta la nullità della delibera, in quanto assunta in assenza assoluta di informazione.

15 Gennaio 2024

Sul compenso degli amministratori

Il rapporto intercorrente tra la società di capitali e il suo amministratore è di immedesimazione organica e a esso non si applicano né l’art. 36 Cost. né l’art. 409, co. 1, n. 3, c.p.c. Ne consegue che è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni. Nel rapporto interno con l’amministratore e sul piano contrattuale, le scelte negoziali per conto della società sono assunte ed espresse dai soci, ai quali spetta ex lege il potere di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne, eventualmente, il compenso. Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione. In primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce. Il disposto degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c. – letti e interpretati in relazione alla natura del rapporto di amministrazione e alle fonti che lo disciplinano – delineano infatti una materia del tutto disponibile e subordinata alle disposizioni statutarie e alla volontà assembleare. In tutte le ipotesi in cui si accerti che l’amministratore ha diritto al compenso, ma né lo statuto né l’assemblea ne abbiano determinato l’ammontare, questo può essere stabilito dal giudice in via equitativa, sulla base di alcuni parametri di riferimento, che è onere dell’amministratore che agisce in giudizio allegare e provare.

Il danno futuro è quello di cui si prevede il verificarsi in un tempo posteriore alla domanda risarcitoria con un grado di ragionevole certezza. Perché il danno futuro sia risarcibile, non basta una pura e semplice eventualità, o un generico o ipotetico pericolo, ma occorre la certezza, alla quale può equipararsi un elevato grado di probabilità, della insorgenza di un danno, che, per quanto non verificatosi in tutto o in parte, trovi ragionevole fondamento in una lesione già avvenuta, ovvero in fatti obiettivi che si ricolleghino direttamente al fatto illecito e rappresentino una causa efficiente già in atto. Al riguardo, va altresì precisato che, se è risarcibile il danno che, radicandosi in una causa presente, abbia ripercussioni nel futuro, non lo è quello che si riallacci a una causa attuale che lo predispone, ma che, per estrinsecarsi, abbia bisogno di un’altra causa la quale, come potrebbe sorgere nel futuro, così potrebbe anche mancare.

27 Dicembre 2023

Cessione di partecipazioni in esecuzione di una delibera invalida

La cessione di partecipazioni di una società a responsabilità limitata da parte di una holding non conduce a un mutamento sostanziale dell’oggetto sociale, costituendo, di contro, unitamente all’assunzione e alla gestione delle stesse, mero atto gestorio rientrante nella sua attività tipica.

Una diminuzione degli utili distribuiti in favore di un socio derivante dell’intervenuta cessione del cespite maggiormente redditizio esula dalle tutele riconosciute dall’art. 2468, co. 4, c.c. e rientra, invece, nel rischio tipico d’impresa che si assumono tutti i soci.

I diritti acquistati dai terzi in base a un atto compiuto in esecuzione di una delibera invalida sono pregiudicati solo ove l’acquisto risulti effettuato in mala fede, da intendersi come conoscenza o conoscibilità del vizio della delibera.

31 Ottobre 2023

In caso di comproprietà di partecipazioni, solo il rappresentante comune ha diritto a impugnare una delibera

La disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza  necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.

In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea ed il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo titolare la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.

La controversia relativa all’impugnazione della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata per abuso del diritto di voto da parte della maggioranza consiste nella denunzia di una causa di annullabilità della delibera e non di nullità. Ne consegue che il terzo non è legittimato a proporre l’impugnazione per vizio di annullabilità della delibera.

Nell’azione di nullità di delibera assembleare, a differenza che nell’azione di annullamento ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse, il terzo deve allegare e dimostrare un interesse concreto ed attuale alla declaratoria di nullità in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò significa che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.

L’art. 2469 c.c. stabilisce che le partecipazioni sociali nelle s.r.l. possono essere liberamente trasferite, nei limiti delle previsioni dell’atto costitutivo, ma tale trasferimento ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito presso il registro delle imprese dell’atto notarile che attesta la cessione della quota, ai sensi dell’art. 2470 c.c. La qualifica di socio non interviene con il mero deposito della domanda pubblicitaria, ma dal momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. Quindi, l’iscrizione nel registro delle imprese fa sì che l’acquirente diventi socio della società e permette a quest’ultimo di opporre il proprio acquisto e la propria qualifica ai terzi.

L’operatività dell’art. 2500 bis c.c. è circoscritta alla sola delibera di trasformazione e a quelle a essa strettamente funzionali e non anche a delibere meramente contestuali o accessorie. L’invalidità della deliberazione contenente modifiche non consentite non è sanata dall’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., tutelando detta norma la stabilità dell’organizzazione del nuovo tipo societario, rispetto alla quale restano ininfluenti le deliberazioni solo occasionate dalla trasformazione.

La convocazione dell’assemblea non solo deve essere spedita anteriormente, ma deve comunque essere ricevuta prima dell’assemblea, di modo da consentire un consapevole esercizio del potere deliberativo. Nulla impedisce ai soci di convenire, all’atto della stipulazione del contratto di società, una disciplina diversa, che faccia decorrere il termine di convocazione dall’effettiva e documentata ricezione dell’avviso di convocazione anziché dalla sua spedizione. Occorre, però, sottolineare che la disciplina ha pur sempre per presupposto che il socio sia convocato: e ciò può dirsi avvenuto solo a condizione che l’avviso di convocazione abbia in qualche modo raggiunto il proprio scopo di far sapere al socio che si terrà un’adunanza in un certo luogo, in una certa data e con un certo ordine del giorno (anche se lo spazio di tempo a sua disposizione per prepararsi ad intervenire può in concreto risultare variabile).

31 Ottobre 2023

Violazione del principio di chiarezza e nullità della delibera di approvazione del bilancio

Il principio di chiarezza è uno dei principi cardine del sistema bilancistico e la sua violazione comporta la nullità della delibera di approvazione del bilancio. Nella materia societaria vi è un’inversione fra tipicità e atipicità di nullità e annullabilità, nel senso che la prima è limitata ad alcune ipotesi specifiche, mentre la seconda costituisce l’istituto generale. Va tuttavia rilevato come la violazione di alcuni principi generali, fra i quali la chiarezza del bilancio, integra una ipotesi di nullità.

Il bilancio deve essere chiaro al momento in cui è redatto ed approvato; il bilancio deve essere chiaro a tutti i consociati, in ragione della funzione generale dello stesso. Non è possibile una etero-integrazione del bilancio ex post, in sede processuale, e non, dunque, in nota integrativa.