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Art. 186 ter c.p.c.
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Licenza di marchio, proroga tacita del contratto e principio di non contestazione

Non è revocabile in dubbio l’ammissibilità di una proroga tacita di un contratto, atteso che, secondo costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, il contratto, pur a fronte di una clausola di rinnovo espresso, può proseguire di fatto a condizione che tale volontà di prorogare tacitamente il contratto risulti inequivoca.

In ossequio all’art. 115 c.p.c., perché un fatto allegato in causa sia controverso e, quindi, bisognoso di prova, è necessario che controparte svolga una contestazione specifica e puntuale. Il requisito di specificità è da ritenersi soddisfatto esclusivamente laddove la contestazione sia circostanziata, ovvero introduca elementi fattuali idonei a contrastare nel merito quanto asserito da controparte, dovendosi equiparare la contestazione generica ad una mancata contestazione. Sul tema, la giurisprudenza ha costantemente affermato che il giudice, in materia di diritti disponibili, debba ritenere sussistente, senza alcun bisogno di prova, il fatto costitutivo non contestato; tale principio risulta ben sintetizzato dall’attribuzione al fatto non contestato del carattere di “fatto pacifico”, pur in mancanza di un’ammissione esplicita o implicita (sul punto, ex plurimis, Cass. SS.UU. n. 261/02).

La domanda per una somma dovuta a titolo di royalties maturate sulla base di un contratto di licenza è oggetto di debito di valuta, il cui importo soggiace al principio del valore nominale di cui all’art. 1277 c.c. e, per l’effetto, non può essere oggetto di rivalutazione monetaria. Un debito di valuta, come tale, non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, spetta al creditore di allegare e dimostrare il maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali ex art. 1224, comma 2, c.c.

Con la promessa del fatto del terzo, il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l’interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrispondere l’indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi. Ne consegue che, qualora l’obbligazione di facere non venga adempiuta e la mancata esecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l’inadempimento, quali la risoluzione del contratto, l’eccezione di inadempimento, l’azione di adempimento e, qualora sussista il nesso di causalità tra inadempimento ed evento dannoso, il risarcimento del danno; qualora, invece, il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di facere e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, diverrà attuale l’altra obbligazione di dare, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l’indennizzo.

In tema di domanda ex art. 96 c.p.c.: come noto, la condanna per risarcimento dei danni per lite temeraria può essere pronunciata, a condizione che l’iniziativa giudiziaria avversaria, oltre che infondata, sia tale da dimostrare la consapevolezza della sua infondatezza da parte dei ricorrenti e, contemporaneamente, un’ignoranza, gravemente colpevole, della sua inammissibilità.

La condanna del soccombente per lite temeraria postula, cioè, che l’istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un pregiudizio in conseguenza del comportamento processuale della controparte. L’istante, peraltro, è tenuto, altresì, a dimostrare la ricorrenza in detto comportamento, del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza o dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio.

Il presupposto per l’applicabilità della norma di cui all’art. 96 c.p.c. – nel rispetto del principio secondo cui la responsabilità processuale aggravata si sostanzia in una forma di danno punitivo teso a scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie – è la presenza, in capo al destinatario della condanna, della mala fede o della colpa grave previsti per la lite temeraria di cui al c. 1 di detta norma.

28 Aprile 2016

Ordinanza di ingiunzione ex art. 186ter cpc di finanziamenti soci e costituzione del convenuto contumace

Il convenuto contumace che si costituisca in giudizio a seguito della notifica di ordinanza di ingiunzione ex art. 186ter c.p.c. deve considerarsi decaduto dal potere di proporre eccezioni in senso stretto, ivi comprese quelle in tema di competenza arbitrale e prescrizione, [ LEGGI TUTTO ]

12 Febbraio 2016

Compravendita di quote sociali, oggetto mediato e immediato del contratto e garanzie sulla consistenza patrimoniale della società

Il contratto di compravendita di azioni o quote di società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale – intesa come insieme di diritti, poteri ed obblighi sia di natura patrimoniale sia di natura amministrativa inerente allo status di socio – e soltanto quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta; sicchè il valore economico della quota non attiene di per sé all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti; il cessionario, quindi, ove le quote sociale cedute non abbiano le qualità promesse, per essere il patrimonio sociale, o i singoli beni da cui è composto, risultato diverso da quello rappresentato dal venditore al momento della stipulazione del contratto, non può far valere gli eventuali vizi o la mancanza delle qualità promesse, salva l’ipotesi incui le parti abbiano espressamente previsto garanzie in ordine alla consistenza patrimoniale della società, ovvero si verta in materia di dolo.