Art. 2467 c.c.
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Inapplicabilità della compensazione ex art. 56 l.fall. al finanziamento dei soci postergato ex art. 2467 c.c.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e rileva anche il momento della restituzione del finanziamento per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata. La postergazione opera come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata: fino a quel momento il credito del socio è inesigibile e la compensazione deve essere esclusa anche in sede concorsuale. L’inesigibilità in parola è una condizione ex lege imposta al fine di tutelare i creditori sociali e si differenzia dall’“inesigibilità” per mancata scadenza del debito. La postergazione del credito mira, infatti, ad impedire che la procedura fallimentare possa soddisfare il creditore postergato con anteriorità rispetto ai beneficiari della subordinazione.
Ancorché una tesi minoritaria affermi la possibilità della compensazione, occorre al contrario ritenere inapplicabile la compensazione del credito postergato (del soggetto in bonis) con un controcredito del soggetto sottoposto a procedura concorsuale ai sensi dell’art. 56 l. fall. Nel bilanciamento tra le due norme (art. 56 l. fall. e art. 2467 c.c.), al ricorrere della fattispecie prevista dall’art. 2467 c.c. la finalità di protezione dei creditori sociali prevale rispetto alle ragioni poste a fondamento della possibilità per il creditore in bonis di compensare il proprio diritto con quello del debitore assoggettato alla procedura concorsuale. La regola della posposizione dei crediti postergati è posta a tutela dell’interesse dei creditori non soci; ammettere la compensabilità del credito postergato ex lege consentirebbe al creditore postergato una soddisfazione integrale, senza falcidia, del proprio credito da restituzione, ed altresì anticipata rispetto ai creditori chirografari.
Invero, il meccanismo compensatorio si pone in evidente contrasto con la finalità precipua della postergazione che è, appunto, quella di collocare il diritto alla ripartizione del creditore postergato in una fase successiva rispetto all’integrale soddisfacimento degli altri creditori. L’inesigibilità del credito da finanziamento permane fin quando non siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, sicché fin quando non si verifica questa condizione la compensazione non può operare, essendo il credito da finanziamento inesigibile.
Finanziamenti soci e onere della prova sui presupposti della postergazione
Nel giudizio instaurato da un socio di s.r.l. al fine di ottenere la restituzione di un finanziamento effettuato a favore della società, grava in capo a quest’ultima l’onere della prova della necessaria postergazione del rimborso (e, cioè, della temporanea inesigibilità del credito del finanziamento-conferimento di fatto). Si tratta di eccezione propria in senso lato, rilevabile anche d’ufficio, ma a condizione che la situazione di crisi ex art. 2467 c.c. risulti provata ex actis secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio e, cioè, sulla base dei fatti allegati (e comprovati) dall’eccipiente. E per radicare la fattispecie ex art. 2467, co. 2, c.c., si deve fare riferimento non solo all’eventuale squilibrio sussistente al momento del finanziamento, ma anche alla circostanza che esso perduri e sia presente al momento della richiesta di rimborso e, in caso di controversia giudiziaria, della sentenza.
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di imprese, nel caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario.
Legittimazione attiva all’accertamento della violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci
Il liquidatore non è legittimato a dolersi della presunta violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci, essendo un fatto neutro, per la società, la destinazione di risorse al pagamento di un debito sociale, piuttosto che di un altro. In relazione a tale domanda, dunque, difetta la legittimazione attiva del liquidatore, che agisce esclusivamente nell’interesse della società, trattandosi di tutela apprestata in favore dei creditori sociali. Soltanto al Curatore fallimentare, infatti, è riconosciuta la peculiare legittimazione ad agire nell’interesse della società ed anche dei creditori sociali, in quanto rappresentante della massa dei creditori, giacchè, com’è noto, l’azione di responsabilità prevista ex art. 146 l. fall. cumula le due azioni previste ex art. 2476 c.c., commi 3 e 6, per le s.r.l., nonché dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a., come pure espressamente previsto ex art. 2394-bis c.c.
Natura giuridica dei finanziamenti soci, loro utilizzabilità e rimborso
Il finanziamento dei soci alla società costituisce un contratto di mutuo tra società e socio, le cui condizioni non possono essere modificate da una sola delle parti a proprio vantaggio. Finché il finanziamento non è rimborsato, il socio (salvo la deliberazione di particolari e restrittive regolamentazioni delle modalità di liberazione della sottoscrizione dell’aumento di capitale) ben può utilizzare il credito da rimborso del finanziamento in compensazione con il debito da sottoscrizione delle quote di nuova emissione. In tal senso, se il credito da finanziamento è maggiore del debito da sottoscrizione, si verifica una compensazione parziale tra debito e credito con diritto del socio ad ottenere la restituzione del proprio maggior credito: il negozio di sottoscrizione mediante compensazione, che si risolve nell’utilizzo parziale del credito, non incide sul regime del rimborso del credito da finanziamento rimanente.
Responsabilità da direzione e coordinamento e qualificazione dei versamenti effettuati dai soci
In tema di azione di responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c. nei confronti degli organi della società controllante ed esercente attività di direzione e coordinamento, la norma in questione prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante, con il corollario, da un punto di vista processuale, dell’onere della prova a carico della parte attrice in merito all’esistenza dei requisiti del fatto illecito disciplinato dall’art. 2497 c.c., da ricondurre nello schema aquiliano di cui all’art. 2043 c.c.
L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé legittimo, che, tuttavia, al contempo richiede siano prefissati i limiti, oltrepassati i quali una tale attività diviene illegittima e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal modo, ne abusa: la direzione e coordinamento deve essere caratterizzata, ex art. 2497 c.c., dall’osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l’unitarietà della direzione non può giustificare l’utilizzo delle gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell’interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due; l’inosservanza dei principi di corretta gestione predetti espone a responsabilità le società controllanti, insieme con i propri amministratori.
L’azione ex art. 2497 c.c. è soggetta al termine quinquennale di prescrizione che decorre dal momento del fatto illecito, anche se esercitata dal curatore fallimentare in luogo dei creditori della società eterodiretta, secondo la previsione dell’art. 2497, ult. co., c.c., senza che egli possa invocare il decorso del termine dalla data della dichiarazione di fallimento, dalla quale deriva solo la sostituzione della legittimazione del curatore a quella dei creditori, senza che però l’azione muti carattere.
L’art. 2497, co. 3, c.c., nel sancire che il socio e il creditore possano agire nei confronti della società che esercita attività di direzione e coordinamento solo nel caso non siano stati soddisfatti dalla società eterodiretta non prevede una condizione di procedibilità dell’azione di responsabilità, consistente nell’infruttuosa escussione del patrimonio della controllata o nella previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci e i creditori sociali danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento. Dunque, il socio (o il creditore sociale) che intende promuovere un’azione di risarcimento del danno nei confronti di una società che ha esercitato abusivamente attività di direzione e coordinamento non è tenuto, ai sensi dell’art. 2497, co. 3, c.c., ad escutere preventivamente il patrimonio della controllata, poiché tale norma non pone una condizione di procedibilità dell’azione di responsabilità, ma si limita a prevedere un’ulteriore ipotesi, meramente fattuale, per la quale l’obbligo risarcitorio in capo alla società dominante viene meno.
Il termine di prescrizione dell’azione nei confronti della società controllante e degli organi della stessa non può decorrere dal fallimento o, comunque, dall’insolvenza della società eterodiretta, ma dalla data di compimento del fatto illecito, ossia dall’inadempimento agli obblighi gravanti sugli stessi, che abbia concorso alla produzione del danno ai soci o ai creditori sociali della controllata.
L’erogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale”; in quest’ultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale residual claimant.
La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio che richieda la restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
La ratio della norma dell’art. 2467 c.c. è di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa priva di adeguati mezzi propri sia posto a carico dei creditori esterni alla società.
I versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell’essere destinati a incrementare il patrimonio della società senza riflettersi sul capitale nominale, vanno a costituire una riserva di capitale (e non di utili) con conseguente esclusione di qualsivoglia pretesa restitutoria per tutta la durata della società. In caso di versamento del socio in conto aumento capitale, il diritto alla restituzione (prima e al di fuori del procedimento di liquidazione) sussiste soltanto nell’ipotesi in cui il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla successiva delibera di aumento di capitale e tale delibera non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice.
L’art 2467 c.c. non opera solo in caso di fallimento, ma già durante la vita dell’impresa, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sarà superata la situazione di difficoltà economica. Ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento ove tale situazione di squilibrio sia esistente al momento della concessione del finanziamento ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi.
La situazione di squilibrio rilevante ai fini dell’operatività della postergazione non si identifica con lo stato di insolvenza, ma nella sproporzione tra indebitamento e patrimonio netto o, comunque, in una situazione di squilibrio finanziario che avrebbe ragionevolmente richiesto un conferimento piuttosto che un finanziamento.
La violazione della regola di cui all’art 2467 c.c. può dar luogo a plurime forme di tutela, quali una tutela di natura risarcitoria per il creditore pregiudicato, un’azione di responsabilità verso l’organo amministrativo che abbia deciso il rimborso o, in sede concorsuale, l’inefficacia dell’atto di rimborso al socio della somma a favore della società. Pertanto, sono responsabili, ai sensi degli artt. 2394 c.c. e 146 l. fall., gli amministratori di una società fallita che abbiano restituito somme ai soci in violazione dell’art. 2467 c.c.
In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto dannoso imputabile a più persone, fonte di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilità, che fonda la pretesa risarcitoria azionata, condiziona l’individuazione del termine di durata della prescrizione per il quale, in caso di coincidenza tra fatto costituente reato e fatto determinativo dell’illecito civile, si applica la più lunga durata stabilita per il primo, in base all’art. 2947, ult. co., c.c.; la diversità dei titoli di responsabilità, invece, non incide sulla interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo in tal caso applicabile la regola di cui all’art. 1310, co. 1, c.c., il quale rende l’atto interruttivo compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali. In tema di obbligazioni derivanti da una pluralità di illeciti ascrivibili a differenti soggetti, qualora soltanto il fatto di un obbligato sia anche reato, mentre quelli degli altri costituiscano illeciti civili, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata all’obbligazione nascente dal reato.
In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito costituente reato, la previsione dell’art. 2947, co. 3, c.c. si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della conseguente pretesa risarcitoria, sicchè è invocabile non solo per l’azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile (quale un amministratore), ma anche per quella esercitabile contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (quale la società, che, ai sensi dell’art. 2049 c.c., risponde civilmente dell’illecito penale commesso dal suo amministratore).
Il socio che abbia intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società risponde in concorso con gli amministratori dei danni arrecati alla società medesima; l’amministratore di diritto risponde delle condotte criminose poste in essere da chi si sia di fatto ingerito nella gestione dell’impresa, allo stesso invece spettante, e su cui non abbia vigilato.
Pagamenti ingiustificati e principio di non contestazione
Il Tribunale deve, in forza del disposto dell’art. 115 c.p.c., porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Se il curatore esperisce l’azione sociale di responsabilità per reintegrare il patrimonio sociale, la stessa natura dell’addebito di “pagamento ingiustificato” impone a ciascun resistente, incluso l’amministratore di fatto, di prendere posizione su ciascuna voce di movimentazione del conto, non solo specificando la giustificazione dei singoli importi via via ricevuti, ma anche l’inerenza e la congruità dei singoli versamenti rispetto agli scopi sociali.
Applicabilità dell’art. 2467 c.c. alle s.p.a.
La disciplina della postergazione dei crediti dei soci dettata dall’art. 2467 c.c. per le società a responsabilità limitata può essere estesa ad altri tipi di società di capitali, tra cui la società per azioni. Ciò sul rilievo che la ratio della norma consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società chiuse, consentendo ai soci di avvantaggiarsi, concorrendo con essi, sugli altri creditori sociali, sostenendo la società mediante finanziamenti anomali anziché apporti a capitale; onde la relativa disciplina deve trovare applicazione (in via transtipica o, secondo altri, analogica) anche al finanziamento dell’azionista, qualora le condizioni della s.p.a. gli siano in concreto note per lo specifico assetto dell’ente o per assumere egli in concreto nella struttura organizzativa e amministrativa della società una posizione tale da assimilarla a quella del socio di una s.r.l.
Fra i finanziamenti a favore della società “in qualsiasi forma effettuati” cui fa riferimento l’art. 2467 c.c. rientra anche il pagamento, da parte del socio, di un debito della società.
Sulla qualificazione delle somme erogate dai soci: fondamentale l’esame della volontà negoziale delle parti
L’erogazione di somme, che i soci effettuano alla società da loro partecipata, può avvenire a titolo di mutuo ovvero quale versamento in apposita riserva “in conto capitale”: la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti. La relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, analizzando le finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi [nel caso di specie, è stata pronunciata l’illegittimità, a causa di nullità per oggetto giuridicamente impossibile ex art. 2379 comma 1 c.c., della delibera assembleare con cui la società ha inteso cancellare unilateralmente il debito verso i soci, disponendo una indebita patrimonializzazione per pari importo].
Il finanziamento dei soci a titolo di mutuo può essere qualificato come postergato ex art. 2467 comma 2 c.c. solamente nel caso in cui, tanto nel periodo in cui esso sia stato effettuato quanto in quello in cui viene chiesta la restituzione, la società versi in situazione di crisi qualificata, cioè di probabile insolvenza. Non è sufficiente, ai fini probatori della probabile insolvenza, dedurre una generica situazione di difficoltà finanziaria della società risultante dai bilanci.
Sulla individuazione della natura degli apporti spontanei dei soci quali finanziamenti o conferimenti
Per comprendere la reale natura e portata degli apporti spontanei eseguiti dai soci in favore della società (ovvero se le risorse siano state versate nelle casse sociali a titolo di finanziamento e, quindi, di mutuo; oppure, a titolo di apporto in favore del patrimonio sociale di risorse a fondo perduto) occorre indagare la reale ed effettiva volontà delle parti; volontà che può essere desunta e riscontrata anche da elementi indiziari e documentali, quali:
i. l’effettiva indicazione utilizzata nelle causali dei bonifici (ad esempio “prestito soci”/”finanziamento soci”);
ii. l’eventuale rimborso anche parziale degli stessi operato nel tempo dalla società;
iii. la registrazione effettuata dalla società di tali movimenti nelle scritture contabili e nel bilancio contabile e/o di esercizio.
In tal senso, l’indicazione attribuita dalla società nel bilancio di esercizio (ove risulti un debito verso il socio) costituisce elemento probatorio forte e sufficiente ad attribuire all’apporto la natura di finanziamento soci, atteso anche che le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento.
La delibera assembleare con cui si chiede ai soci di versare nelle casse sociali risorse a titolo gratuito ed a fondo perduto non può obbligare i soci ad apportare risorse a tale titolo, ben potendo il socio non effettuare versamenti o decidere di farlo a titolo di finanziamenti. In ogni caso, l’esistenza della delibera non è di per sé sufficiente ad attribuire agli apporti eseguiti in forma spontanea dai soci natura di conferimenti e/o di versamenti a fondo perduto, dovendosi necessariamente interpretare e valutare l’effettiva volontà del socio.
Il socio che agisce per la restituzione dei finanziamenti soci erogati deve, dunque, dimostrare l’avvenuto versamento (ad esempio mediante la produzione delle contabili), la natura degli apporti e la loro entità.
Il socio che ha effettuato finanziamenti alla società ha diritto a chiederne la restituzione anche in via monitoria e/o ad azionare la tutela cautelare conservativa sul patrimonio sociale, qualora sussistano i presupposti del fumus e del periculum in mora (da intendersi quale pericolo: i. soggettivo, ovvero riconnesso alla condotta e/o ad atti compiuti dalla società e/o dagli amministratori e finalizzati a ridurre la garanzia creditizia, quali la promessa e/o la cessione di cespiti sociali e/o lo scioglimento della società, e/o; ii. oggettivo e ricollegato alla entità ed alla sufficienza del patrimonio sociale rispetto alla pretesa creditizia).
Postergazione del rimborso del finanziamento soci verso S.r.l. in liquidazione
Dalla cessione di una partecipazione societaria non consegue quale naturale negotii il trasferimento dei crediti che il socio cedente vanti verso la società, in quanto aventi fonte in un rapporto connesso ma distinto da quello sociale. Sarà quindi onere del cessionario dimostrare l’intervenuta cessione a lui anche dei crediti che altro ex socio vantava verso la società. Riguardo all’opponibilità di detta cessione alla debitrice società ceduta, saranno sufficienti la notifica del ricorso monitorio prima e la comunicazione della comparsa di risposta poi, da considerarsi atti ad ogni effetto equipollenti alla informale denuntiatio richiesta dall’art. 1264 co. 1° c.c.
La questione dell’assoggettabilità di un credito, derivante da un precedente finanziamento soci, alla postergazione di cui all’art. 2467 co. 2° c.c., non può essere posta con riguardo al momento in cui il rimborso è stato per la prima volta richiesto se la società è stata posta in liquidazione, data la persistenza delle condizioni alle quali l’art. 2467 co. 2° c.c. àncora la postergazione.