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13 Giugno 2023

Contraffazione di marchio: l’aggiunta di elementi descrittivi amplifica il rischio di confusione

Laddove le attività espositive e/o promozionali fieristiche lesive dei diritti sul marchio altrui e svoltesi all’estero rappresentino soltanto fasi o segmenti ulteriori di un pregresso e più ampio iter antigiuridico all’interno del quale si collocano, in stretta reciproca concatenazione, molteplici comportamenti antecedenti che già di per sé integrano gli estremi della denunciata contraffazione e che si sono tenuti sul territorio italiano, alla fattispecie in esame andrà applicata la legge italiana. [Nel caso di specie, pur avendo il titolare dei marchi azionati in giudizio appreso dell’illecita condotta della convenuta soltanto in occasione di una fiera di settore tenutasi in Germania, l’asserito contraffattore apponeva i marchi interferenti sui prodotti  e realizzava i relativi cataloghi pubblicitari in Italia].

La contraffazione di un marchio c.d. forte sussiste a fronte della ripresa del suo “cuore” da parte del segno successivo e del suo uso per beni tecnicamente e funzionalmente identici o comunque fortemente affini. Gli eventuali elementi di differenziazione aggiunti al segno posteriore e aventi natura meramente descrittiva del settore merceologico cui sono destinati i prodotti non risultano sufficientemente idonei a distinguere i due marchi a confronto, amplificando al contrario il rischio di confusione in capo al pubblico di riferimento. [Nel caso di specie, l’attrice era titolare del marchio “prb” per macchine da imballaggio nel settore farmaceutico e cosmetico. Tale marchio era stato azionato nei confronti dell’uso, per prodotti identici, del marchio “PierreBi” a cui la convenuta accostava anche il disegno di un imballaggio e la locuzione “CosmoPharma Division”].

Azione di risarcimento danni e costituzione di parte civile per danno non patrimoniale in sede penale

Ai fini dell’individuazione della competenza territoriale ex art. 18 c.p.c. (c.d. forum rei) occorre prendere in considerazione il comune di residenza del convenuto al momento della proposizione della domanda, a nulla rilevando – anche ai sensi dell’art. 5 c.p.c. – il fatto che, al momento del compimento delle condotte illecite, il convenuto fosse residente presso un differente comune.

Laddove l’attore agisca di fronte al giudice civile per domandare il risarcimento di tutti i danni cagionati dalle condotte del convenuto e, successivamente, mediante l’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale iniziato nei confronti dello stesso convenuto sulla base delle medesime condotte, domandi il solo risarcimento del danno non patrimoniale, trova ugualmente applicazione l’art. 75, co. 1, c.p.p. secondo il quale tale scelta della parte attrice comporta la rinuncia agli atti del giudizio civile e il trasferimento della relativa azione di fronte al giudice penale. Infatti, non è consentito alla parte del processo civile trasferire nel processo penale solo una parte dell’originario petitum. In caso contrario, l’accertamento giudiziale di una situazione giuridica controversa sarebbe frammentato in due diverse sedi giurisdizionali. Tuttavia, resta possibile per l’attore differenziare ab origine le proprie azioni ed agire per talune domande in sede civile e per altre in sede penale, a condizione che prima dell’avvio dell’azione civile l’attore limiti le proprie pretese ad alcuni profili risarcitori e si riservi espressamente di agire in altra sede per il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di credito temporaneamente accantonate [Nel caso di specie, la persona fisica aveva agito in giudizio per ottenere il ristoro del pregiudizio causato al suo nome, al suo onore, alla sua reputazione e alla sua immagine in ragione di una serie di condotte “persecutorie” poste in essere dal convenuto. Del pari, la società aveva agito per ottenere il risarcimento del danno all’immagine cagionatole da tali condotte oltre che l’accertamento e la sanzione delle condotte di contraffazione di marchio e di concorrenza sleale attuate dal convenuto. Successivamente, sia la persona fisica che la società si erano costituite quali parti civili nel giudizio penale instaurato nei confronti del convenuto/imputato per condotte persecutorie (art. 612 bis c.p.) e per diffamazione (art. 595 c.p.) domandando il solo risarcimento dei danni non patrimoniali. Tuttavia, in considerazione dei principi sopra esposti, il Tribunale ha dichiarato estinte tutte le pretese svolte dalla persona fisica, nonché quelle della società correlate al risarcimento del pregiudizio all’immagine. Al contrario, il giudice civile si è pronunciato sulle condotte di contraffazione e di concorrenza sleale, in quanto non assorbite all’interno delle fattispecie oggetto dei capi d’imputazione del giudizio penale]

Il marchio rinomato, ossia quello conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti, acquisisce un valore economico in sé che prescinde dalla funzione distintiva del segno ed è espressamente tutelato dall’art. 20, lett. c), c.p.i. Infatti, tale marchio oltre a svolgere la propria funzione distintiva può svolgere anche funzioni di garanzia e pubblicitarie, trasmettendo così al consumatore un messaggio o un’immagine che sono incorporati nel segno ed entrano a far parte del suo carattere distintivo e della sua notorietà. Tale valore aggiunto trova tutela ai sensi della disposizione sopra richiamata laddove sia oggetto di un indebito vantaggio o di un ingiusto pregiudizio, un situazione che può verificarsi laddove l’uso del segno ne svaluti l’immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico a causa di una sua riproduzione in un contesto osceno, degradante, inappropriato ovvero semplicemente incompatibile con l’immagine che il marchio ha acquisito (c.d. offuscamento o “dilution by tarnishing”). Pertanto, l’illecito ex art. 20, lett. c), c.p.i. si manifesta anche a fronte di una continuativa, immotivata e persistente attività di svilimento del carattere distintivo ed attrattivo del marchio, e ciò anche laddove tale uso consenta all’autore della violazione di trarre altresì per la propria attività un indebito vantaggio. [Nel caso di specie, il convenuto aveva reiteratamente pubblicato dei “post” e delle comunicazioni “social” nei quali esprimeva giudizi ed allusioni screditanti e denigratorie nei confronti del marchio della società attrice, promuovendo al contempo la propria attività di stilista ed esaltando la qualità la creatività e l’originalità dei propri prodotti in contrapposizione con quelli dell’attrice].

Se ai fini della contraffazione di marchio è irrilevante la qualità di imprenditore del contraffattore, presupposto indefettibile della concorrenza sleale è la sussistenza del rapporto di concorrenzialità tra due o più imprenditori. Tale rapporto deve essere valutato anche in una prospettiva potenziale, prendendo in considerazione la valutazione della naturale dinamicità dell’attività che configuri quale esito fisiologico e prevedibile l’offerta di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.

Costituisce un’ipotesi di concorrenza sleale ai sensi dei nn. 2 e 3 dell’art. 2598 c.c. l’autopromozione dei propri segni distintivi e dei propri prodotti in contrapposizione sfavorevole con l’attività imprenditoriale del concorrente, specie ove tale condotta si caratterizzi inter alia con la diffusione indiscriminata ed illimitata sul web di contenuti di carattere denigratorio, gratuitamente offensivi e finanche persecutori.

Costituisce un’ipotesi rilevante sia sotto il profilo anticoncorrenziale che dal punto di vista della violazione dei diritti di marchio l’utilizzo di un hashtag tale da suscitare la curiosità degli utenti del web e che comprende una locuzione sovrapponibile al segno distintivo di titolarità dell’attrice per contraddistinguere post contenenti informazioni screditanti nei confronti di quest’ultima [Nel caso di specie il convenuto aveva utilizzato l’hashtag #quellochenonsaisuelisabettafranchi per contraddistinguere i propri post screditanti nei confronti della società attrice e della sua amministratrice, riproducendo in maniera non autorizzata la locuzione “elisabettafranchi”, sovrapponibile al segno distintivo azionato dall’attrice].

La tutela giuridica del marchio debole utilizzato per commercializzare una varietà di olio d’oliva

La qualificazione del segno distintivo come marchio debole non preclude la tutela nei confronti della contraffazione in presenza dell’adozione di mere varianti formali, in sé inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, non potendosi, invero, limitare la tutela del marchio debole ai casi di imitazione integrale o di somiglianza prossima all’identità, cioè di sostanziale sovrapponibilità del marchio utilizzato dal concorrente a quello registrato anteriormente.

In tema di tutela del marchio, l’attitudine dei beni a soddisfare le medesime esigenze di mercato, da cui dipende l’affinità tra prodotti contraddistinti da marchi simili ai fini del giudizio di confondibilità tra gli stessi, consiste nella circostanza che i beni o i prodotti siano ricercati ed acquistati dal pubblico in forza di motivazioni identiche, o strettamente correlate, tali per cui l’affinità funzionale esistente tra quei beni o prodotti e tra i relativi settori merceologici induca il consumatore a ritenere che essi provengono dalla medesima fonte produttiva, indipendentemente dall’eventuale uniformità dei canali di commercializzazione. [ Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto priva di pregio la tesi di parte resistente che intende escludere la confondibilità tra i due marchi in ragione dei differenti canali di commercializzazione dei prodotti utilizzati, focalizzando l’attenzione sull’assenza di uno store online per i prodotti commercializzati da parte ricorrente, nonché la differente platea di riferimento e lo sviluppo del bene su territori differenti.]

28 Dicembre 2022

Giudizio di confondibilità tra marchi d’impresa e variazioni che non alterano il nucleo ideologico-espressivo del segno

La confondibilità tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi, non deve essere “analitico”, bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, tenuto conto della normale diligenza ed avvedutezza dei consumatori.

La contraffazione rileva in relazione agli elementi essenziali del marchio; l’interprete deve preventivamente individuare il “cuore”, ossia l’idea fondamentale che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela ed in cui si riassume la sua attitudine individualizzante, sicché devono ritenersi inidonee ad escludere l’illecito tutte le variazioni e modificazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano sussistere la confondibilità del nucleo ideologico-espressivo.

[Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha ritenuto che, sotto il profilo visivo e fonetico, i marchi delle parti in causa fossero, quanto al loro nucleo essenziale, del tutto identici, “in particolare per l’identità dei caratteri utilizzati, del colore, del motivo e dello sfondo; il fatto che il segno di parte convenuta presenti una lettera diversa non scongiura la somiglianza dei segni a confronto, atteso che il marchio rimane sostanzialmente inalterato”].

L’assenza di litispendenza in caso di domanda proposta da soggetti diversi, l’efficacia della sentenza di accoglimento e rigetto e la ripartizione delle spese di lite

Nel caso in cui una domanda è proposta in più giudizi pendenti, il fatto che non vi sia coincidenza della parte che ha proposto la domanda comporta l’esclusione in radice dell’ipotesi della litispendenza.

La sentenza che accoglie la domanda di nullità ha efficacia erga omnes, mentre la sentenza di rigetto ha efficacia esclusivamente tra le parti.

Nonostante parte convenuta abbia avanzato domanda risarcitoria e domanda per lite temeraria ex art. 96 c.p.i., parte attrice soccombente può essere condannata al pagamento integrale delle spese di lite, qualora la domanda di risarcimento avanzato dalla convenuta vittoriosa abbia un peso istruttorio nullo e considerando altresì che la domanda ex art. 96 c.p.c. costituisce mera domanda accessoria.

23 Settembre 2022

Fast fashion brand e rischio di confusione tra segni

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità; tali giudizi non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cd. “confondibilità tra imprese”. [Nel caso concreto il giudice ritiene che l’apposizione di un mero punto tra le due parole che compongono il marchio del convenuto non appare idonea a distinguerla dal marchio dell’attore, tanto più ove si consideri che entrambi vengono utilizzati per la pubblicizzazione e commercializzazione di abbigliamento]

9 Agosto 2022

La rigorosa tutela del marchio “forte”

Il marchio “forte” è tutelato nel suo nucleo ideologico e pertanto sono illegittime tutte quelle variazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano comunque sussistere l’identità sostanziale del segno. Conseguentemente, in tal caso, per evitare la confondibilità tra i segni non è sufficiente una minima modifica della parte denominativa o figurativa del marchio in contraffazione. Il marchio “forte” è assistito dalla più rigorosa tutela, connotata da una maggiore incisività che rende illegittime le variazioni anche originali che, comunque, lasciano intatto il nucleo ideologico che riassume l’attitudine individualizzante del segno, giacché anche lievi modificazioni, che il marchio debole deve invece tollerare, condurrebbero al risultato di pregiudicare il risultato conseguibile con l’uso del marchio. Ciò posto, per il marchio forte, devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e le modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume cauterizzando la sua spiccata attitudine individualizzante.

L’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

17 Maggio 2022

Strutture turistiche: rischio di confusione e/o di associazione tra marchi figurativi

Le norme di cui all’art. 20 c.p.i. richiedono, ai fini del giudizio di confondibilità, una doppia verifica: quella sull’identità o affinità tra i prodotti o servizi e quella sull’identità o somiglianza tra i segni a confronto. Infatti, la sussistenza di un rischio di confusione va apprezzata attraverso una valutazione globale, tenendo conto dell’impressione d’insieme che suscita il raffronto tra i due segni mediante un esame unitario e sintetico che tenga in considerazione i diversi fattori pertinenti del caso di specie tra di loro interdipendenti, quali la identità/somiglianza dei segni, la identità/somiglianza dei prodotti e servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni concorrenti, in relazione al normale grado di percezione dei potenziali acquirenti del prodotto del presunto contraffattore. La confondibilità dei marchi a confronto non deve essere accertata esclusivamente in via analitica, effettuando un esame particolareggiato e una valutazione separata di ogni singolo elemento di dettaglio, neppure può essere valutata avendo riguardo non tanto delle differenze, quanto delle concordanze tra i segni messi a confronto. La dialettica tra esame analitico ed esame sintetico non va risolta in termini di alternatività, quanto piuttosto in termini di complementarità, trattandosi dei due momenti necessari del giudizio di confondibilità. Nel senso che, qualora siano implicati molteplici elementi formali, ad una prima fase di comparazione delle singole caratteristiche essenziali, deve seguire una fase di sintesi dei risultati acquisiti, al fine di relativizzare il risultato dei vari dati formali in quello che è l’aspetto globale del segno. In tal modo, l’esame sintetico assume il ruolo di elemento di chiusura della ricognizione concreta, condotta caso per caso, degli elementi costitutivi dei segni a confronto.

5 Gennaio 2022

Contraffazione e carattere distintivo del marchio “Smart”

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tanto la volgarizzazione del marchio quanto l’originaria impossibilità di utilizzare un termine comune come marchio, sono concetti che non escludono la sopravvivenza del “significato differenziante” del marchio in un singolo settore di mercato, ovvero l’originaria utilizzabilità di un termine comune, che risulti tuttavia dotato di un particolare significato distintivo in un settore in cui non è d’uso. [In applicazione del principio in esame, il Tribunale ha ritenuto dotato di capacità distintiva nel settore automobilistico il marchio “Smart”, pur osservando che, attualmente, il termine “Smart” si presta ad una possibile volgarizzazione, essendo impiegato in numerosi settori merceologici per designare prodotti di progettazione accurata, tecnologicamente avanzata, gradevoli e/o utili].