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Nicolò Pavan

Nicolò Pavan

Avvocato - Pirola Pennuto Zei & Associati

Avvocato iscritto all'Albo degli Avvocati di Verona. Svolgo la mia attività professionale presso lo studio Pirola Pennuto Zei & Associati, principalmente presso la sede di Verona. Mi occupo di diritto societario e commerciale, anche con riferimento alla consulenza societaria, alla contrattualistica commerciale (anche internazionale) e alla compliance societaria, operazioni straordinarie, M&A e private equity, nonché in via residuale di diritto fallimentare e restructuring.

Revocazione per ingratitudine della donazione avente ad oggetto partecipazioni sociali

La circostanza per cui i donatari abbiano tenuto una condotta non conforme alla volontà del donante [nella specie, l’aver disconosciuto un patto parasociale sottoscritto contestualmente all’atto di donazione, col quale si escludeva dalla gestione della società i donatari, figli del donante] non è sufficiente a configurare, in assenza di un manifesto sentimento di avversione e disistima, causa di revocazione per ingratitudine, sub specie di ingiuria grave, da intendersi come la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l’atteggiamento. Non solo la riconoscenza verso il donante non può declinarsi in termini di pedissequa obbedienza alle indicazioni impartite da quest’ultimo, ove non condivise, ma soprattutto il donatario non può essere privato dell’esercizio di diritti e facoltà che la legge gli attribuisce. D’altronde, imporre al donatario, a pena di revocazione, un obbligo di astensione da qualunque condotta o esternazione antitetica rispetto alla volontà del donante, integrerebbe un intollerabile vincolo sulla sua libertà di autodeterminazione per il sol fatto di essere stato destinatario di un atto di liberalità, così snaturando l’istituto in questione che si caratterizza, proprio, dall’assenza di corrispettività. [ Continua ]
10 Luglio 2023

Indipendenza dei sindaci-revisori ed esercizio di fatto della funzione di sindaco

Nel caso in cui venga devoluta al collegio sindacale anche la funzione di revisione contabile, il rapporto che lega i sindaci-revisori alla società deve essere unicamente quello sindacale con le relative ricadute anche in termini di diritto al compenso e deve essere soggettivamente connotato dal fatto che i sindaci devono essere iscritti nell’apposito registro dei revisori contabili. La duplicazione delle funzioni rende evidentemente ancor più pregnanti i vincoli imposti dalla legge per garantire l’indipendenza dei sindaci-revisori. L’esercizio di fatto della funzione da parte del sindaco ineleggibile o decaduto trova il suo titolo non certo nel rapporto sindacale - di natura contrattuale ed avente ad oggetto la prestazione di un’opera professionale verso l’obbligo della società di pagare il corrispettivo pattuito - che non può essere instaurato o vien meno, ma appunto nel mero fatto del suo esercizio operato volontariamente dal professionista nell’impossibilità giuridica di instaurare il rapporto sindacale come ex lege configurato e comportante l’obbligo per la società di corrispondere il relativo compenso. Acclarata la mancanza di una valida causa dell’obbligazione, tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente - l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo; è, quindi, la pronuncia dichiarativa o estintiva del giudice, avente portata estintiva del contratto, l’evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del “solvens” di restituzione della prestazione rimasta senza causa. [ Continua ]

Nullità del trust autodichiarato in cui disponente trustee e beneficiario coincidono

I soggetti che costituiscono il trust (disponente, trustee e beneficiario) non possono coincidere, in quanto il trust istituisce in capo al trustee una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente nell'atto istitutivo a vantaggio del beneficiario e che, di conseguenza, ove tali figure coincidano (come nell’atto di trust per cui è causa), la proprietà del trustee in nulla differisce dalla proprietà piena. Ne segue che tale tipologia di trust deve ritenersi affetta da nullità, in quanto priva di uno degli elementi costitutivi, secondo quanto previsto dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja (cfr. Cass. Civ. n. 12718/2017). In altri termini, il disponente potrà mantenere, secondo quanto previsto dalla norma, alcune prerogative, ma non potrà mai coincidere con la figura del trustee e con il beneficiario, pena il totale snaturamento dell’istituto e la conseguente nullità dello stesso. [ Continua ]
Codice RG 1001 2021
24 Febbraio 2023

Responsabilità da direzione unitaria, conflitto di interessi di amministratori di s.r.l.

L’art. 2497 c.c. disciplina la responsabilità delle società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di altre società. È in quest’ambito, dunque, che si colloca la previsione di cui al secondo comma secondo il quale “risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”. Ne discende, dunque, che la norma è da ascrivere al fenomeno dei gruppi societari, presupponendo l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento quale attività di fatto, giuridicamente rilevante, che si esplica come influenza dominante sulle scelte e determinazioni gestorie degli amministratori della società eterodiretta che ne sono i naturali referenti e destinatari. Il fatto lesivo cui fa riferimento il secondo comma, infatti, non è qualunque evento dannoso per la società, ma esclusivamente quello individuato dal primo comma e cioè il danno cagionato dalle “società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime”. L’art. 2475-ter c.c. introduce, all’interno del diritto delle società, una norma rispondente al principio generale sancito dall’art. 1394 c.c. in materia contrattuale. In tema di conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l. il legislatore non ha ritenuto opportuno introdurre una disciplina generale in ordine agli obblighi degli amministratori in conflitto di informazione preventiva o di astensione e ciò a differenza non solo del regime previgente alla riforma del diritto societario, ma anche della disciplina dettata per le società per azioni. Affinché possa discorrersi di conflitto di interessi del rappresentante rispetto a quello del rappresentato, deve essere provata l’esistenza di un rapporto di incompatibilità tra i due centri di interessi, da dimostrare in modo non astratto o ipotetico, ma tenendo conto dell’idoneità del singolo atto o negozio alla creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro. [ Continua ]
16 Ottobre 2022

Responsabilità dell’amministratore di fatto per i danni cagionati alla società fallita

L'azione di responsabilità dei creditori si propone di tutelare l'integrità del patrimonio sociale, in relazione all'obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell'aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.

A rivestire la qualità di amministratore di fatto può essere anche un terzo totalmente estraneo alla società e alla sua compagine, poiché a rilevare è la prova che vi sia, per facta concludentia, l’intromissione nella direzione dell’impresa sociale, con istruzioni agli amministratori ufficiali e condizionamento delle scelte operative e gestionali, nonostante l’assenza di un’investitura formale quale amministratore da parte dell’assemblea dei soci. L’estensione della qualifica soggettiva di amministratore presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e la “significatività e continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. L’accertamento deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

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20 Maggio 2023

La condanna accertativa di un illecito contiene altresì l’accertamento della responsabilità sociale

La condanna, accertativa di un illecito, e non solo di mera liquidazione dell’indennizzo, non può che ritenersi contenente anche l’accertamento, sia pur implicito, di una responsabilità della cooperativa e, pertanto, essa non è titolo per alcun recupero verso i soci. [ Continua ]
15 Ottobre 2022

L’insanabilità dell’azione di responsabilità per l’errata indicazione dei legittimati passivi

Il giudizio ex art. 2395 c.c. instaurato nei confronti della società verso la quale non sono state formulate domande, e priva della citazione dei soggetti - componenti il Consiglio di Amministrazione - nei cui confronti le domande sono state proposte, è causa di rigetto della domanda. Non può pertanto essere accolta la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo consigliere, in quanto la domanda, per come proposta, sconta un vizio di fondo costituito dalla citazione in giudizio di un unico soggetto (la società) che non è il legittimato passivo dell’azione; bensì, poteva essere, in caso di domanda formulata ex art. 2476 c.c. (caso diverso dal presente), il litisconsorte necessario dal lato attivo. L’ordine di integrazione del contraddittorio - richiesto ma disatteso dal giudice istruttore - ha infatti la funzione di garantire la regolarità del processo, ma non può sanare l’errata individuazione dei soggetti legittimati passivi della domanda, che attiene al merito del giudizio. [ Continua ]
25 Gennaio 2023

Cessazione della materia del contendere per sostituzione della delibera impugnata

Il tenore dell’art. 2377, co. 8 c.c. consente di escludere che il rilievo relativo alla sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto integri una eccezione non rilevabile d’ufficio. La norma, infatti, contiene un comando per il giudice il quale non potrà pronunziare l’annullamento della delibera, dovendo egli pronunciare la cessazione della materia del contendere. Al giudice spetta, comunque, di valutare la validità della deliberazione sostitutiva e, quindi, di accertare, ai fini della condanna alle spese di lite, la soccombenza virtuale e, dunque, la fondatezza dell’originaria impugnazione della delibera sostituita. In altre parole, la conformità a legge e statuto della seconda delibera è compresa tra i fatti costitutivi dell’effetto sanante o, comunque, tra quelli impeditivi del provvedimento che il giudice è chiamato ad emanare nel giudizio di annullamento. [ Continua ]
5 Marzo 2023

Legittimazione attiva per l’impugnativa della delibera del CdA; differenza tra arbitrato rituale e irrituale

Ai sensi dell’art. 2388, co. 4, c.c., le deliberazioni del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione. Possono, altresì, essere impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti. La norma, poi, rinvia agli artt. 2377 e 2378 c.c. in quanto compatibili. La suddetta disposizione, quindi, limita espressamente la legittimazione ad impugnare ai soli amministratori assenti o dissenzienti. Inoltre, l’espresso rinvio ai soli artt. 2377 e 2378 c.c. e non al successivo art. 2379 c.c. induce a ritenere che, dal punto di vista dell’invalidità, tutte le decisioni consiliari vadano assoggettate alla medesima disciplina e, in particolare, quella della annullabilità, ciò impedendo che le delibere suddette possano essere impugnate da chiunque vi abbia interesse. In ogni caso, si deve escludere che la società stessa possa impugnare la delibera emessa da uno dei propri organi. In virtù del principio di autonomia della clausola compromissoria, essa ha un’individualità nettamente distinta dal contratto nel quale inserita, non costituendone un accessorio. Ne consegue che la nullità del negozio sostanziale non travolge, per trascinamento, la clausola compromissoria in esso contenuta, restando rimesso agli arbitri l’accertamento della dedotta invalidità. La clausola di arbitrato irrituale consiste in una normale clausola negoziale, con la quale le parti non hanno inteso derogare alla giurisdizione, ma hanno conferito un mandato negoziale ad un terzo incaricato di comporre una lite, sostituendosi alla volontà dei contraenti, mediante composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante negozio giuridico di mero accertamento. La differenza tra abitrato rituale e arbitrato irrituale va ravvisata nel fatto che, nel primo, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nel secondo esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio tra le parti concluso e, quindi, come espressione della propria personale volontà, restando, di contro, irrilevanti sia la previsione della vincolatività della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri, dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalità, in difetto di una contraria volontà delle parti, e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l’arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento esistente tra il principio di cui all’art. 101 c.p.c. e gli artt. 2, 3 e 24 Cost. ed in consonanza con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. [ Continua ]