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Sulla prova ai fini dell’accertamento della responsabilità di amministratori di S.r.l.

Al fine di accertare la responsabilità degli amministratori di S.r.l. ex art 2476, comma 7, c.c (o ex art 2395 cc in caso di amministratore di S.p.A.) verso i terzi che abbiano stipulato un contratto con la società, né è sufficiente detta loro qualità, né ex se può bastare l’inadempimento ad obblighi del contratto, dovendo accertarsi, perchè si configuri una responsabilità personale dell’amministratore, un quid pluris a tal titolo.
Inoltre la responsabilità personale dell’amministratore verso il terzo contraente ex art 2476, comma 7, c.c. (a differenza della responsabilità ex art 2476, comma 6 c.c.) è una responsabilità per danno “diretto” e non dunque responsabilità per un danno integrato dalla insoddisfazione della pretesa creditoria discendente dalla insufficienza patrimoniale determinata dalla mala gestio; necessita pertanto la allegazione e prova di condotta dolosa o colposa degli amministratori idonea causalmente a determinare un danno “diretto” al creditore e cioé un danno incidente direttamente sulla sua sfera patrimoniale (e non dunque meramente derivato dalla perdita della “garanzia patrimoniale generica” integrata dalla riduzione del patrimonio sociale idoneo a soddisfare il suo credito, danno che rientra invece nel perimetro del danno “riflesso” azionabile ex art 2476, comma 6 c.c. ) e la allegazione del nesso di causalità tale per cui il danno non solo sia diretto ma sia altresì legato da nesso di causalità immediata con la mala gestio e ciò sia conseguenza “immediata e diretta” della suddetta condotta illecita secondo i principi generali (v. art 1223 cc. richiamato quanto alla responsabilità extracontrattuale dall’art 2056 cc).

(nel caso di specie il Tribunale ha accolto la domanda di responsabilità degli attori nei confronti di amministratori, riscontrando in capo a questi ultimi comportamenti dolosi volti ad indurre gli attori a credere a una situazione artefatta, quantificando il danno subito non solo in quello patrimoniale ma anche in quello non patrimoniale derivante dal fatto-reato di truffa contrattuale ai sensi dell’art. 2059 c.c., che, quale species del più ampio genus del danno non patrimoniale (“patema d’animo”, ossia “una sofferenza interna che non è accertabile con metodi scientifici e che, come tutti i moti d’animo, può essere provato in modo diretto solo quando assume connotati eclatanti”) può accertarsi tramite presunzioni, fatti notori e massime di esperienza).

9 Marzo 2023

L’azione sociale di responsabilità degli amministratori: natura e oneri conseguenti

L’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, trovando la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo.

La norma di cui all’art. 2476 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, tanto emergendo chiaramente sia dal richiamo alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione della stessa in termini oggettivi) sia dalla circostanza che la medesima disposizione codicistica consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.

La responsabilità risarcitoria dell’amministratore va riconnessa non ad una qualunque condotta illecita od omissione delle cautele ed iniziative dovute per legge e per statuto, ma solo a quelle condotte di mala gestio che, oltre ad integrare violazione degli obblighi gravanti sull’amministratore in forza della carica rivestita, risultino, altresì, foriere di danni per il patrimonio sociale.

28 Febbraio 2023

Azione di responsabilità del curatore verso gli amministratori: diligenza dovuta e onere della prova

La mala gestio degli amministratori deve essere valutata sulla scorta del criterio della diligenza dovuta dal mandatario, anche indipendentemente dalla violazione di specifiche disposizioni di legge o di singole clausole statutarie. Ne consegue che il profilo della violazione deve essere valutato alla stregua del parametro della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi alla operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti prevedibili.

Grava sul curatore l’onere di fornire la prova della ricorrenza di quelle condotte che denotano l’inosservanza del dovere di diligenza, oltre che l’onere della prova dell’esistenza del danno, del suo ammontare e della riconducibilità dello stesso al comportamento illegittimo dell’amministratore; grava, per contro, sul convenuto l’onere di riscontrare la non ascrivibilità dell’evento dannoso alla propria condotta, mediante la prova dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti dalla legge.

Il mancato rinvenimento delle scritture contabili o comunque la non regolare tenuta della contabilità potrebbe giustificare, ma non con modalità automatiche, la conseguenza che gli amministratori possano rispondere della differenza tra l’attivo e il passivo accertato in sede fallimentare, dovendosi verificare se non sia possibile individuare lo specifico danno causalmente riconducibile alle violazioni dai medesimi posti in essere nella gestione dell’ente. Una volta precisato se la mancanza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore la quantificazione e una prova precisa del danno riconducibile agli inadempimenti accertati in capo all’amministratore, è consentito allo stesso invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 c.c. richiedendo al giudice di provvedere alla quantificazione del danno operando riferimento, in via equitativa, allo sbilancio patrimoniale della società quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale, purché siano indicate in tali ipotesi le ragioni che rendono plausibile il ricorso a detto criterio avuto riguardo alle specifiche circostanze del cose concreto.

10 Febbraio 2023

Sulla legittimazione attiva di socio e creditore in caso di Fallimento della società

A seguito del fallimento della società il socio che abbia promosso l’azione di responsabilità sociale nella qualità di sostituto processuale della società ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c.. perde la legittimazione e così pure il singolo creditore che abbia proposto l’azione del creditore sociale nel mentre il fallimento è legittimato ad agire con l’azione ex art 146 l. fall., azione che “assorbe” sia l’ azione sociale sia azione dei creditori sociali quest’ultima configurandosi in costanza di procedura fallimentare, come azione “di massa”. Finché dura il fallimento non può “sopravvivere” la legittimazione del singolo creditore sociale all’azione dei creditori sociali restando salva solo la diversa azione, individuale e per danno “diretto” del terzo ex art 2476, comma 6 (ora 7), c.c. (azione non predicata nel caso di specie). Ne consegue che nel caso di giudizio di responsabilità già pendente verso l’organo amministrativo della società qualora intervenga il fallimento della società spetta solo al fallimento la decisione di proseguire con le azioni originariamente promosse accettando la causa nello stato in cui si trova con le eventuali preclusioni assertive ed istruttorie già maturate; in difetto di ciò la domanda va dichiarata improcedibile per il sopravvenuto difetto di legittimazione attiva degli originari attori.

9 Febbraio 2023

Revoca dell’amministratore e risarcimento danni

Costituisce ius receptum il principio di diritto secondo il quale nelle società di capitali l’assemblea può revocare l’amministratore in qualsiasi momento (o meglio ha la facoltà di revocare a discrezione l’amministratore), potere che però trova un limite nella sussistenza della “giusta causa”, la cui carenza comporta non l’illegittimità della delibera di revoca, quanto piuttosto il diritto dell’amministratore anticipatamente revocato al risarcimento del danno patito come diretta conseguenza della revoca stessa. Sotto quest’ultimo profilo, uno dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria è costituito dal fatto che il danno del quale si chiede il risarcimento si ponga in un rapporto di correlazione causale diretta con la delibera di revoca.

6 Febbraio 2023

Presidente dell’assemblea di s.r.l. e abuso della maggioranza

In base a quanto disposto dall’art. 2479 bis, comma 4, c.c., a norma del quale “l’assemblea è presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o, in mancanza, da quella designata dagli intervenuti”, deve escludersi che la nomina del presidente dell’assemblea di società a responsabilità limitata – in assenza di una specifica disposizione statutaria – necessiti dell’espletamento di una formale procedura di voto, essendo a tutt’oggi previsto, per tale tipo di società, la mera “designazione” ad opera dei presenti.

La figura dell’abuso di potere rappresenta un limite al principio maggioritario vigente nel diritto societario corrispondente ad un principio generale dell’ordinamento giuridico secondo il quale è vietato abusare dei propri diritti e, quindi, fare di essi un esercizio emulativo. L’abuso di potere (abuso di maggioranza) è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società (deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico – pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale); (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interessi extrasociali. I due requisiti non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. Sulla scorta di tali principi deve affermarsi, pertanto, che la delibera assembleare di determinazione del compenso dell’amministratore adottata col voto determinante espresso dallo stesso amministratore che abbia preso parte all’assemblea in veste di socio non è, per ciò solo, annullabile, dovendosi anche valutare se con la stessa delibera stessa sia stato pregiudicato l’interesse sociale.

27 Gennaio 2023

Natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore e conseguenze in termini di ripartizione dell’onere probatorio

L’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. nei confronti dell’amministratore ha natura contrattuale. Pertanto, l’attore dovrà fornire esclusivamente la prova delle violazioni commesse e del nesso di causalità tra le stesse e il danno verificatosi, mentre incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi impostigli. Tuttavia, non basta l’enunciazione del mancato regolare ammortamento di un mutuo e della successiva decadenza della società dal beneficio del termine per ricondurre detto accadimento a responsabilità dell’amministratore, ma occorre l’allegazione di un atto che costituisca violazione del dovere di amministrare con diligenza.

18 Gennaio 2023

Determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali

In base al combinato disposto degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c., la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all’atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all’assemblea ordinaria. Resta di conseguenza escluso che l’assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto, senza una apposita modifica di questo.

La disciplina dettata in materia di compenso degli amministratori nella s.p.a. è applicabile anche alla s.r.l.

17 Gennaio 2023

Annullamento del contratto posto in essere dall’amministratore di s.r.l. in conflitto d’interessi

L’applicazione del disposto dell’art. 2475-ter c.c. richiede, su un piano oggettivo, che sussista un interesse dell’amministratore nell’affare, che può essere di qualunque natura e, quindi, patrimoniale o meno. Non è invece richiesto che vi sia una assoluta incompatibilità tra la realizzazione dell’interesse sociale – anche solo potenzialmente leso dal negozio – e quello personale dell’amministratore. Dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario e sufficiente che la situazione di conflitto di interessi appaia riconoscibile al terzo contraente.

Inoltre, l’art. 2475-ter c.c. presuppone che l’amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell’atto. Al contrario, ove egli si sia limitato a recepire all’interno del contenuto negoziale la volontà dei soci cristallizzatasi in una decisione della società, verrebbe meno la ratio che giustifica l’applicazione della norma: tale soluzione appare d’altra parte coerente con la norma di ordine generale di cui all’art. 1395 c.c. che esclude l’annullabilità del contratto con se stesso in caso di predeterminazione del contenuto del contratto da parte dello stesso rappresentato.

Obbligo di consegna della documentazione sociale da parte dell’amministratore cessato dall’incarico

La domanda avanzata con ricorso ex art. 700 c.p.c. dalla società nei confronti dell’ex amministratore di consegna dei libri sociali e contabili, nonché di ogni altro documento contabile o fiscale, non deve essere formulata in modo generico ed esplorativo, essendo onere del ricorrente specificare dettagliatamente la documentazione richiesta e non consegnata.