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8 Gennaio 2025

Azione di responsabilità esercitata dalla curatela fallimentare nei confronti dell’amministratore di fatto e del liquidatore

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 L.F. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali.

Nelle azioni di responsabilità ex art. 146 L.F. spetta alla Curatela allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere degli amministratori contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

Dei danni provocati dalla società è chiamato a rispondere l’amministratore di fatto, ovvero colui che in assenza di una formale investitura esercita in modo continuativo e significativo i potere tipici inerenti alla qualifica e alla funzione di amministratore [nel caso di specie il soggetto ritenuto amministratore era rimasto l’unico autorizzato ad operare sui conto della società a poter disporre dei denari della società]. Parimenti dei danni al patrimonio sociale risponde il liquidatore che ai sensi dell’art. 2489 c.c. ha il potere-dovere positivo di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società in modo da evitare la dispersione del patrimonio sociale, e ciò a condizione che sia provata la riconducibilità causale del danno alla condotta omissiva del liquidatore [nel caso di specie ritenuto responsabile in quanto non ha posto in essere per due atti alcuna attività, accettando passivamente che la società venisse gestita dall’amministratore di fatto].

7 Gennaio 2025

Indici sintomatici della sussistenza di un amministratore di fatto

L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria. La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei e occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. [nel caso di specie il Tribunale nega la ricorrenza di tali requisiti in capo a soggetto, figlio dell’amministratore di diritto, che operava presso punti di vendita della società, impartendo direttive al personale, ma senza la prova del carattere di sistematicità].

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto.

Ai fini della risarcibilità del preteso danno, l’attore, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore ai doveri gestori, deve dunque allegare e provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente illecita o inadempiente. In particolare, qualora la condotta imputata all’amministratore abbia natura distrattiva, è onere della parte attrice dimostrare l’avvenuto prelievo o pagamento di somme, e quindi la diminuzione del patrimonio sociale, e allegare che tali prelievi siano rimasti privi di giustificazione alcuna o comunque che siano stati effettuati per finalità che si assumano essere estranee ai fini sociali, in favore dell’amministratore o di soggetti terzi, essendo invece onere dell’amministratore quello di provare la destinazione a fini sociali delle somme oggetto di contestazione. L’amministratore ha, infatti, l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Con riguardo ai danni conseguenti alla prosecuzione dell’attività nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento, va osservato che l’art. 2486 c.c. individua chiaramente i criteri ai quali attenersi per la quantificazione del danno patito nel caso di violazione dell’obbligo di gestire la società, al verificarsi di una causa di scioglimento, in ottica meramente conservativa. Ai sensi dell’art. 2486, co. 3, c.c., la curatela attrice deve fornire in giudizio idonea allegazione e prova della condotta che possa costituire titolo della responsabilità in questione, ossia: i) dell’intervenuta diminuzione del capitale sociale sotto il minimo di legge (artt. 2447 e 2482-ter c.c.); ii) della consapevolezza o della possibilità per gli amministratori di accorgersi di tale circostanza; iii) dell’omessa (o ritardata) convocazione da parte degli amministratori dell’assemblea finalizzata alla ricapitalizzazione o trasformazione della società, ovvero l’omessa iscrizione da parte degli amministratori della causa di scioglimento della società; iv) dell’aver posto in essere, pur conoscendo o potendo conoscere la perdita del capitale e, non avendo adottato gli adempimenti conseguenti, una gestione dell’attività in violazione dell’art. 2486, co. 1, c.c., il quale prescrive che tale gestione debba avvenire esclusivamente secondo modalità conservative “dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”.

22 Dicembre 2024

Accertamento della violazione del divieto di immistione del socio accomandante e diritto al rendiconto

Laddove abbia rivestito il ruolo di amministratore di fatto della società, il socio accomandante non è legittimato a invocare la tutela prevista dall’art. 2320, comma III, c.c., ivi compreso il diritto a ricevre il conto della gestione.

Il socio accomandante assume il ruolo di amministratore di fatto solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione – intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi – o di trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Per aversi ingerenza dell’accomandante nella amministrazione della s.a.s. vietata dal citato art. 2320 c.c., deve essere realizzata una attività gestoria che sia espressione del potere di direzione degli affari sociali in quanto implicante una scelta che è propria del titolare dell’impresa. Inoltre, l’attività amministrativa vietata al socio accomandante riguarda il momento genetico del rapporto in cui si manifesta la scelta operata dall’imprenditore, mentre tutto quanto attiene al momento esecutivo dell’adempimento delle obbligazioni che da quel rapporto derivano, non esclude di per sé la qualità di terzo dell’accomandante rispetto alla gestione della società, alla quale pertanto, rimane estraneo.

Ove vi sia controversia in ordine al diritto del socio accomandante di ricevere il conto della gestione da parte del socio accomandatario, l’ordine del giudice di presentazione del conto deve essere preceduto dal positivo accertamento dell’esistenza di detto diritto.

19 Dicembre 2024

Amministratore di diritto, amministratore di fatto e dovere di conservare il patrimonio sociale ex art. 2476 c.c.

Grava in capo all’amministratore di diritto il dovere di conservare il patrimonio sociale ex art. 2476 c.c. anche laddove vi sia la sussistenza di un amministratore di fatto, posto che, pure in questo caso, l’amministratore di diritto deve impedire il compimento di atti di mala gestio da parte dell’effettivo dominus o, perlomeno, eliminarne o attenuarne gli effetti dannosi.

La società [nel caso di specie il Fallimento] che domandi la restituzione del finanziamento concesso dal socio ex art. 2467 c.c. è onerata di provare i fatti costitutivi su cui si fonda tale disposizione e, in particolar modo, l’esistenza di un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto e quindi di una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento tanto al momento in cui il socio ha chiesto il finanziamento, quanto in quello in cui il socio ha chiesto il rimborso dello stesso.

18 Dicembre 2024

Amministratori di fatto e doveri di corretta gestione

Sono da ritenersi amministratori di fatto di una società coloro che detengono l’effettivo controllo degli organi sociali e che dispongono del patrimonio a proprio piacimento [nel caso di specie, per attuare lo schema fraudolento volto a drenare le somme confluite nella società dal commercio dei certificati bianchi in altre società a loro stessi riconducibili, principalmente per il tramite di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti]. Di conseguenza, essendo pienamente equiparati, quali amministratori di fatto, agli amministratori di diritto (anche sul piano penale: ex art. 2639 c.c.), rispondono delle proprie condotte distrattive in danno della società.

Anche gli amministratori di fatto – proprio in ragione dell’equiparazione con quelli di diritto – devono adempiere ai doveri di corretta gestione della società ex art. 2392 c.c. e tra questi doveri si annovera anche l’adempimento delle obbligazioni fiscali e contributive della società.

25 Ottobre 2024

Denunzia al tribunale e gravi irregolarità nella gestione: contiguità dell’amministratore con la precedente dannosa gestione

L’amministratore che ritardi nel recupero dei crediti della società e, più in generale, agisca con lassità nell’adempimento dei propri doveri, in continuità e contiguità con la precedente dannosa gestione, pone in essere condotte non in linea con i doveri gestori di cui all’articolo 2086 c.c., secondo il quale “[l]’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di […] attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Realizza viceversa, in tal caso, una grave irregolarità gestoria, pregiudizievole degli interessi dei creditori e della società stessa, rilevante ai fini della sua revoca ai sensi dell’articolo 2409 c.c.

1 Ottobre 2024

Amministratore di fatto: indici sintomatici

La nozione di amministratore di fatto postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e l’inserimento del soggetto nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, anche in assenza di una qualsivoglia investitura. A tal fine, pur non essendo necessario l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, lo svolgimento dell’attività gestoria deve avvenire in modo sufficientemente sistematico e non può esaurirsi nel compimento di alcuni atti aventi carattere eterogeneo, episodico o occasionale. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, dunque, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi ed ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale, ma con caratteri di sistematicità e completezza.

21 Settembre 2024

Amministratore di fatto di società di capitali: nozione e indici sintomatici

La nozione di amministratore di fatto postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e l’inserimento del soggetto nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, anche in assenza di una qualsivoglia investitura. A tal fine, pur non essendo necessario l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, lo svolgimento dell’attività gestoria deve avvenire in modo sufficientemente sistematico e non può esaurirsi nel compimento di alcuni atti aventi carattere eterogeneo, episodico o occasionale.
La prova della posizione di amministratore di fatto implica, dunque, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi ed ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale, ma con caratteri di sistematicità e completezza.

La figura del socio occulto non è compatibile con la società di capitali, la quale viene costituita in base a un formale contratto di società, in cui lo status di socio è acquisito a seguito di formalità e attività non surrogabili per fatti concludenti.

21 Settembre 2024

Indici sintomatici della posizione di amministratore di fatto

La nozione di amministratore di fatto postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e l’inserimento del soggetto nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, anche in assenza di una qualsivoglia investitura. A tal fine, pur non essendo necessario l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, lo svolgimento dell’attività gestoria deve avvenire in modo sufficientemente sistematico e non può esaurirsi nel compimento di alcuni atti aventi carattere eterogeneo, episodico o occasionale.

La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia (quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi ed ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale, ma con caratteri di sistematicità e completezza).

Quanto alla qualità di socio occulto, detta figura non è compatibile con la società di capitali, la quale viene costituita in base a un formale contratto di società in cui lo status di socio è acquisito a seguito di formalità e attività non surrogabili per fatti concludenti.

9 Settembre 2024

Responsabilità dell’amministratore per l’inadempimento della società. L’amministratore di fatto

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità degli amministratori per danni diretti nei confronti dell’altro contraente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l’inadempimento della società e l’illecito dell’amministratore.

La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. È quindi necessario dimostrare che l’amministratore di fatto svolge, in via sistematica e continua, le attività tipiche dell’amministratore, quali ad esempio la gestione di rapporti continui con i clienti e fornitori, la direzione del personale, l’assunzione di un potere decisionale tale da condizionare le scelte operative e organizzative della società, la gestione dei rapporti con il ceto bancario o la facoltà di operare sul conto corrente.