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Il CTU e i profili di contestazione riguardanti le sue competenze tecniche rispetto al settore cui si riferisce il brevetto

La scelta del consulente tecnico è atto discrezionale del giudice e spetta alla parte contestarne le competenze tecniche rispetto al settore del quale è stato ritenuto esperto dal Tribunale; infatti la circostanza che il consulente tecnico sia laureato in una materia che non coincide con il settore tecnico del brevetto è di per sé irrilevante laddove il consulente, iscritto all’albo dei Consulenti in Proprietà Industriale, operi da anni quale CTU nominato dal Tribunale. In caso di carente descrizione del brevetto e di estensione del suo oggetto oltre la domanda originaria, non è possibile invocare le conoscenze generali del settore che devono essere possedute dal tecnico medio del ramo, ma è necessario sottoporre al CTU, mediante il richiamo specifico ai testi, quali informazioni in essi contenute potrebbero essere proficuamente utilizzate per integrare la descrizione lacunosa del brevetto.

Assenza di apposita clausola di sell-off: l’uso del marchio fuori dal periodo di durata della licenza è ammissibile solo per un periodo congruo al fine di bilanciare gli interessi delle parti

Il venire meno del titolo contrattuale che autorizza l’utilizzo dei segni distintivi fa venire meno il consenso all’utilizzazione dei detti segni distintivi. Purtuttavia, successivamente alla scadenza del contratto di licenza, si può pattuire un termine per la lecita commercializzazione delle scorte o, in caso di mancata previsione, può giustificarsi -in base al canone di buona fede, che sempre deve presiedere i rapporti contrattuali- un circoscritto termine finalizzato allo smaltimento delle scorte. Nel contemperamento degli opposti interessi del titolare del segno e dell’ex licenziatario, in mancanza di un’espressa previsione, il periodo temporale di commercializzazione, successivo alla scadenza del contratto di licenza, deve essere limitato secondo criteri di equità, tenendo conto, da un lato, della natura di diritto assoluto della privativa e, dall’altro, della legittima aspettativa dell’ex licenziatario in buona fede allo smaltimento di giacenze prodotte nel periodo di vigenza del contratto. Tale periodo va circoscritto, tenendo presente gli elementi e le peculiarità del caso di specie e, in particolare, valutando la durata dei rapporti contrattuali e le quantità di prodotti oggetto della produzione. In base agli usi, quando non sia prevista dalle parti una espressa clausola di sell off, si ritiene congruo, per il lecito smaltimento di giacenze, un arco temporale individuabile tra i tre e i sei mesi. La liceità dell’uso del segno è circoscritta alla finalità dello smaltimento delle giacenze e, quindi, non può scriminare condotte volte a promuovere nuovi prodotti, come la promozione e la pubblicizzazione di nuovi modelli, attraverso nuovi cataloghi relativi ad anni successivi alla cessazione della licenza. Tale condotta consentirebbe surrettiziamente l’uso dei segni distintivi altrui, in palese violazione dei diritti assoluti di privativa, per un periodo di tempo indefinito e di gran lunga superiore a quelli riconducibili alla legittima aspettativa dell’ex licenziatario.[Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto incongruo un periodo di due anni successivi alla cessazione del contratto di licenza, ai fini del lecito smaltimento delle giacenze. Esso è infatti eccessivo rispetto agli usi, nonché valutando in concreto la durata biennale del contratto di licenza, addirittura uguagliato, se non superato, dal periodo successivo di utilizzazione non autorizzato dei segni distintivi].

 

 

 

27 Maggio 2019

Onere del liquidatore che redige il bilancio intermedio di liquidazione di indicare le ragioni della diminuzione di crediti esistenti nel precedente bilancio d’esercizio

Si può presumere che l’importo della differenza tra i crediti risultanti dal bilancio intermedio di liquidazione e quelli (maggiori) risultanti dal precedente bilancio di esercizio della società sia stata nell’intertempo incassata dal liquidatore (già amministratore unico della stessa) nel caso in cui tale soggetto non alleghi nel bilancio intermedio le specifiche ragioni di detta diminuzione dei crediti, necessari per estinguere integralmente i debiti gravanti sulla società (nel caso di specie aventi rango privilegiato ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.). In presenza di tale omissione, il liquidatore sarà responsabile nei confronti del creditore sociale non soddisfatto ai sensi dell’art. 2495, c. 2, c.c. se l’importo dei suddetti crediti, che si presume abbia incassato, sarebbe stato sufficiente per pagare anche gli altri crediti aventi rango uguale o poziore.

27 Maggio 2019

Inderogabilità dell’art. 2389 co.1 c.c. con riferimento alla determinazione del compenso degli amministratori

L’art. 2389 co. 1 c.c. – avente ad oggetto la determinazione dei compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione in sede di atto di nomina (e quindi, in sede di prima costituzione dell’organo, dall’atto costitutivo ex art. 2463 co. 2 n. 8 c.c.) ovvero da parte dell’assemblea che provvede alle nomine successive – è norma avente carattere imperativo ed inderogabile, oltre che applicabile in via analogica all’organo gestorio collegiale di una società a responsabilità limitata: la norma è infatti connaturata alla fondamentale ripartizione nelle società di capitali fra titolarità dell’investimento e quindi ‘proprietà della società’ (in capo ai soci irresponsabili) e, di converso, piena autonomia gestionale e correlativa responsabilità degli amministratori da essi nominati.

Ne consegue che la deliberazione di emolumenti avvenuta ad opera dell’organo amministrativo è a tal fine tamquam non esset e priva di effetto, per radicale difformità dalla fattispecie legale.

25 Maggio 2019

Società occulta e onere della prova

Seppur la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisca il presupposto indispensabile per l’esistenza di una società occulta, occorre sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (art. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio.
A tal fine, è quindi necessario provare l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell’insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell’ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) e la distribuzione delle quote sociali.
Detta dimostrazione può derivare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici (quali “l’affectio societatis”, la costituzione di un fondo comune, la partecipazione agli utili e alle perdite), anche da manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo, quando esse per la loro sintomaticità e concludenza evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni.

24 Maggio 2019

Competenza tribunale sezione specializzata in materia di impresa

Il giudizio con cui la cooperativa edilizia richieda l’esclusione del socio moroso, in quanto relativo a rapporti societari tra socio e cooperativa, è disciplinato dagli art.2511 e ss. c.c., cosicché, ai sensi dell’art.3, D.Lgs. 27.6.2003 n.168, è di competenza della sezione specializzata in materia di imprese.

24 Maggio 2019

Coincidenze soggettive fra società fiduciaria e fiduciante persona fisica

Il solo fatto che una persona fisica ricopra la carica di amministratore unico di una società di capitali e sia di questa l’unico socio non è sufficiente a configurare in capo alla società l’agire quale fiduciaria della persona fisica, se non concorre anche il requisito della spendita del nome del fiduciante.

Codice RG 9131 2015
24 Maggio 2019

Esclusione del socio di società cooperativa

Rappresenta orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per il quale nel giudizio di opposizione a deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa, quest’ultima, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore, sicché ha l’onere di provare la sussistenza dei fatti addebitati al socio, nonché la loro riconducibilità ad una delle cause di esclusione previste dallo statuto.

L’esclusione del socio di società cooperativa può essere deliberata dall’organo amministrativo nel caso di “gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dalla legge o dal contratto sociale, dai regolamenti – ove esistenti – o dal rapporto mutualistico”, costituendo grave inadempimento quando il socio con il proprio comportamento renda meno agevole il perseguimento dei fini mutualistici (cfr. Cass. civ. Sez. I, 01/06/1991, n. 6200). Sussiste pertanto grave inadempimento là dove, in caso di applicazione della normativa prevista dall’art. 98 del R.D. 1165/1938, l’eventuale protrazione della detenzione sine titulo di un immobile rappresenta condotta idonea a incidere negativamente sullo scopo mutualistico della società e, per l’effetto, causa di esclusione dalla medesima.

23 Maggio 2019

Non è risarcibile direttamente in favore del socio il danno sofferto dalla società partecipata per effetto della mala gestio dell’amministratore

L’azione individuale del socio ai sensi degli artt. 2395 e 2476 comma 6 c.c., previste rispettivamente per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata, è azione concessa per il risarcimento dei danni subiti dal socio nella sua sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente per effetto della cattiva gestione. Pertanto, anche laddove emergano elementi volti a suffragare una mala gestio della società da parte dell’amministratore, che abbia arrecato pregiudizio alla società, il socio non è legittimato, uti singulus, a richiedere in proprio il risarcimento del danno sofferto per svalutazione della partecipazione sociale.

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 cod.civ., il terzo (o il socio) è legittimato all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente per effetto della cattiva gestione.

Il danno risarcibile ex art.2395 c.c. è solo quello incidente direttamente sul patrimonio del terzo, del creditore e del socio per effetto del comportamento doloso o colposo dell’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni; non anche il danno che colpisce il patrimonio della società e solo in via mediata e di riflesso, quello del socio o del terzo. In altri termini, mentre nel caso dell’azione individuale il danno deve incidere direttamente sul patrimonio del terzo e del socio, nelle altre ipotesi esso pregiudica immediatamente il patrimonio sociale e solo in via mediata e riflessa incide su quello dei singoli soci o creditori.

23 Maggio 2019

Sul diritto di rivalsa della compagnia di assicurazione verso l’agente subentrante

L’art. 1751 c.c., dettato in materia di contratto di agenzia ed applicabile anche all’agenzia assicurativa in forza del rinvio di cui all’art. 1753 c.c. prevede a carico del preponente, all’atto della cessazione del rapporto e ricorrendo le condizioni ivi indicate, l’obbligazione di corrispondere all’agente un’indennità, determinata, ai sensi degli artt. 24 – 35 dell’Accordo nazionale Imprese – Agenti (ANIA) del 2003, applicabile ratione temporis, nella differenza tra il monte premi di fine gestione e quello iniziale e sugli incassi eseguiti e sulle provvigioni percepite. Tuttavia, qualora alla cessazione di un mandato agenziale ne segua un altro con un altro soggetto ma avente medesimo oggetto, l’art. 37 dell’Accordo collettivo citato sancisce che la Compagnia assicurativa ha diritto di rivalsa verso l’agente subentrante per quanto riguarda le indennità pagate all’agente cessato, con una rateazione pluriennale diversa a seconda dell’anzianità dell’agente cessato, che vale a compensare il vecchio agente della perdita di clientela di cui si avvantaggia quello subentrante.