Natura ed onere probatorio dell’azione sociale di responsabilità ex art. 146 l. fall.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 146 l. fall. ha natura contrattuale, sicché il curatore può limitarsi a dimostrare la qualità di amministratore del soggetto convenuto e allegare specificamente l’inadempimento agli obblighi di diligenza, mentre grava sull’amministratore l’onere di dimostrare di aver correttamente adempiuto agli obblighi gestori.
Clausola penale e caparra confirmatoria nel contratto preliminare per la compravendita di quote sociali
In uno stesso contratto preliminare di compravendita delle quote sociali di una S.r.l., le parti possono prevedere sia una clausola penale, sia una caparra confirmatoria, avente ad oggetto lo stesso importo.
Attesa l’alternatività dei rimedi del recesso con ritenzione di caparra confirmatoria – da un lato – e della risoluzione del contratto con risarcimento del danno – dall’altro – la domanda dell’attore di accertamento della risoluzione di diritto del preliminare inadempiuto è incompatibile con l’incameramento automatico della caparra confirmatoria, giacché il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.
Responsabilità della holding di fatto e legittimazione del socio della società fallita eterodiretta
Il socio di minoranza di società fallita che abbia dedotto in giudizio le condotte illecite di una società holding di fatto riconducibile al socio di maggioranza, è legittimato ad agire in giudizio ai sensi dell’art. 2497, co. 1, c.c. in quanto la legittimazione esclusiva del curatore fallimentare è prevista solo per la diversa azione dei creditori.
L’accoglimento dell’azione ex art. 2497 cc presuppone l’accertamento della pluralità di requisiti: (i) la sussistenza di una holding di fatto; (ii) l’esercizio, da parte di tale ente di attività di direzione e coordinamento sulla controllata; (iii) l’accertamento che le condotte denunciate costituiscano espressione di tale attività di direzione e coordinamento e siano state poste in essere in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e in perseguimento dio un interesse proprio dell’ente o di soggetti terzi; (iv) l’esistenza e la quantificazione di un danno alla redditività o al valore della partecipazione sociale del socio attore, eziologicamente riconducibile a tali condotte.
La holding di fatto di tipo personale, che può assumere anche la veste di una società di persone di fatto, composta dunque da due o più persone fisiche, esiste per il sol fatto di esser stata costituita tra i soci col fine della direzione unitaria delle società commerciali figlie, vale a dire per l’effettivo esercizio dell’attività di direzione e controllo esplicitamente considerata dagli artt. 2497 e seg. cod. civ., per essere stati i soci animati dall’intento di far operare le singole società eterodirette “come strumenti strategici per un interesse sovradimensionato”, corrispondente all’interesse della Holding. L’Holding di tipo personale (che abbia assunto la veste di società di fatto), agisce dunque in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico da ottenersi attraverso l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi del proprio gruppo d’imprese. Deve trattarsi, cioè, di una stabile organizzazione volta a determinare l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società (non limitandosi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio). In quest’ottica, le società coordinate devono risultare destinate a realizzare un medesimo scopo economico non corrispondente con quello proprio ed autonomo di ciascuna di queste esse, né coincidente con un mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle medesime. Non occorre, per converso, che l’attività di direzione risulti idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici diversi ed ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell’opera di coordinamento, né che le attività di servizi realizzate dall’holder disvelino un’economicità autonoma rispetto a quella propria delle attività svolte dalle società controllate.
Le caratteristiche qualificanti l’attività di eterodirezione (che non trova una espressa definizione legislativa) non possono desumersi dalla mera gestione di diverse imprese societarie o dalla titolarità di diverse partecipazioni sociali, essendo comunque necessaria, per la realizzazione della fattispecie, la sistematicità di condotte di direzione e coordinamento. Il concetto di direzione e coordinamento costituisce, infatti, un quid pluris rispetto al concetto di controllo societario ex art. 2359 cc e non si esaurisce in esso, essendo espressione di un potere di ingerenza più intenso, consistente nel flusso costante di istruzioni impartite dalla società controllante e trasposte all’interno delle decisioni assunte dagli organi della controllata, aventi ad oggetto momenti significativi della vita della società etero diretta. Segnatamente, l’attività di direzione consiste nell’esercizio di una pluralità sistematica e costante atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. Vi deve essere, quindi, una pluralità di atti in un contesto di sistematico e duraturo coordinamento gestionale ove il coordinamento enfatizza la pluralità degli interessi dei diversi soggetti giuridici considerati.
Competenza della domanda di risarcimento del danno per abuso di direzione e coordinamento ex art 2497 c.c.
La competenza per la domanda di risarcimento del danno derivante da abuso di direzione coordinamento ex art. 2497 c.c. introdotta dal creditore della società etoridiretta per impossibilità di questa di rimborsare il credito e indirizzata nei confronti della società controllante va determinata, come per ogni domanda giudiziale, a prescindere dalla fondatezza della stessa, ma sulla base della prospettazione dell’attore, di talché ai fini della determinazione della competenza non può influire l’eccezione del convenuto che neghi l’esattezza nel merito della tesi attorea in ordine al contenuto e alla natura dell’obbligazione, dovendo applicarsi gli ordinarti criteri di riparto della competenza. Inoltre, la domanda ex art. 2497 c.c rientra nella competenza per materia delle Sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi del disposto dell’art. 3 D.Lgs 168/200 e, una volta stabilita detta competenza, si debbono applicare, ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs 168/2003 gli ordinari criteri di cui agli artt. 18,19 e 20 c.p.c. per individuare la sezione specializzata territorialmente competente.
La prova del legame causale tra condotta e danno nell’illecito di concorrenza sleale
Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la comunanza di clientela e un rapporto di concorrenzialità tra le parti interessate; in secondo luogo, il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di uno dei soggetti coinvolti; in terzo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile e il nesso eziologico tra tale danno e la condotta sleale di controparte; infine, il coefficiente psicologico della colpa in capo al danneggiante (presunto, ex art. 2600 c.c., salva prova contraria).
Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione. Se è vero che l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità, è altrettanto vero che il corrispondente danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale necessita di essere provato dal danneggiato.
La prova del danno subito e del legame causale tra condotta e danno, in ossequio alla ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., grava dunque sul danneggiato. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra condotta e danno assorbe ogni indagine ulteriore e impone il rigetto della domanda risarcitoria di parte attrice.
Cessione di azienda con patto di riservato dominio: principi in materia di inadempimento
La domanda di riduzione dell’indennità ex articolo 1526 c.c., conseguente alla risoluzione di un contratto di vendita con patto di riservato dominio, può essere accolta solo successivamente alla restituzione della res oggetto del contratto di vendita [nel caso di specie, l’azienda], in quanto solo dopo che la restituzione è avvenuta diviene possibile determinare l’equo compenso spettante al venditore per il godimento garantito all’acquirente nel periodo di efficacia del contratto. Il suddetto equo compenso comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente all’incommerciabilità del bene come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non il risarcimento del danno spettante al venditore.
Con riferimento a un contratto di vendita con patto di riservato dominio che preveda che le rate pagate dal compratore restino acquisite al venditore a titolo di indennità in caso di risoluzione, è considerata manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al venditore la proprietà del bene, gli consenta di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione, ciò comportando un indebito oggettivo derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene e in tal caso il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore e mancata restituzione delle immobilizzazioni materiali
L’azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità’ ex artt. 2392 e 2393 C.C. – che si ricollegano alla violazione da parte degli amministratori di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si siano tradotti in pregiudizio per il patrimonio sociale -, che dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 C.C., – tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore.
In applicazione degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, nell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F., grava sulla Curatela attrice l’onere di provare – giusta l’art. 2697 c.c. – la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore sia l’esistenza di specifiche e determinate voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.
Nel caso in cui la Curatela attrice imputi al convenuto la distrazione di beni dalla società e quest’ultimo abbia pacificamente riconosciuto l’addebito, in mancanza della prospettata consegna, deve ritenersi che le immobilizzazioni materiali siano state perse, distrutte o distratte in epoca non accertabile con corrispondente danno per la società e per i creditori. La mancata consegna di beni de quo integra gli estremi della responsabilità ex art. 146 L.F. e 2394 C.C., posto che l’amministratore ha evidentemente violato l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio non consegnando detti beni.
In ordine alla quantificazione del danno, nell’azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti dell’amministratore, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore. Invero, siffatto criterio, in quanto caratterizzato da un’elevata dose di approssimazione, può avere un utilizzo concreto in due sole fattispecie. La prima è quella della mancanza, falsità o totale inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita, situazione che determina l’impossibilità di ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e quindi il necessario ricorso ad un criterio scevro da agganci a precisi parametri. La seconda è quella in cui il dissesto sia stato cagionato da un’attività distrattiva così reiterata e sistematica, da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata sul valore dei beni distratti e dissipati
Responsabilità degli amministratori per atti distrattivi e onere della prova
L’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi. Di contro, incombe sul convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti, affinché questi possa andare esente da responsabilità. In particolare, per quel che concerne gli atti imputabili all’organo gestorio aventi natura distrattiva, è onere dell’attrice provare l’avvenuto prelevamento, e quindi la diminuzione del patrimonio sociale, ed allegare che gli stessi siano risultati ingiustificati, essendo invece onere dell’amministratore provare che la destinazione degli importi che ne formano l’oggetto sia funzionalmente collegata all’attività sociale.
Azione di responsabilità promossa dal subappaltatore nei confronti degli amministratori della società committente per negligenza nell’affidamento di appalto regolato dalla normativa sui contratti pubblici
Non sussistono i requisiti per configurare profili di responsabilità ex art. 2395 c.c. nei confronti degli amministratori della società committente nel caso in cui tale azione venga promossa dal subappaltatore che assuma di avere subito un danno per la mancata verifica dei requisiti di capacità economica e finanziaria ex art. 84, comma 1, del D.Lgs n. 50/2016 da parte della committente che abbia affidato un appalto, sulla base di una procedura ad evidenza pubblica, ad un’impresa successivamente ammessa ad una procedura concorsuale (circostanza da cui sia conseguito il mancato pagamento del credito vantato dal subappaltatore). In tale ipotesi, infatti, difetta il nesso di causalità tra i profili di negligenza imputati agli amministratori e il danno di cui il subappaltatore richiede il risarcimento; il nesso di causalità è, infatti, esclusivamente riconducibile al subappaltatore il quale, prima di stipulare il contratto con l’appaltatore, avrebbe dovuto autonomamente accertarsi della solidità patrimoniale di quest’ultimo e, se del caso, chiedere allo stesso idonee garanzie.
Smarrimento dei documenti contabili e obbligo di consegna dell’amministratore uscente
L’obbligo dell’amministratore uscente di consegnare al nuovo amministratore la documentazione sociale rimasta in suo possesso trova fondamento nella previsione dell’art. 1713, co. 1 c.c., che impone al mandatario il c.d. obbligo di rendiconto, il quale può trovare applicazione anche al contratto di amministrazione, in quanto riconducibile al mandato.
Trattandosi di una vera e propria obbligazione (di dare), quest’ultima deve avere ad oggetto una prestazione possibile, cioè suscettibile di essere eseguita, per cui è necessario che la documentazione richiesta si trovi nella materiale disponibilità dell’ex amministratore-debitore affinché questi possa effettivamente adempiere, con la conseguenza che ai sensi dell’art. 1257 c.c. – secondo cui la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la res viene smarrita senza che possa esserne provato il perimento – è inammissibile la condanna alla consegna, fatto salvo il diritto della società al risarcimento del danno nel caso di colpa dell’amministratore per il mancato rinvenimento.
La riconducibilità dell’obbligazione gravante sull’ex-amministratore alla disciplina del mandato e il rigetto della richiesta cautelare “in forma specifica” per carenza di prova del fumus non escludono la configurazione in capo allo stesso di un obbligo generale di rendiconto dell’attività gestoria svolta sino alla cessazione dalla carica.