hai cercato articoli in
Art. 125 c.p.i.
120 risultati
6 Febbraio 2025

Riproduzione illecita di software e quantificazione del danno patrimoniale

In applicazione dell’art. 158 L.d.A., in ordine al danno patrimoniale, il risarcimento dovuto al danneggiato autore dell’opera contraffatta può essere alternativamente liquidato con riferimento agli utili realizzati in conseguenza delle condotta illecita o in relazione alla liquidazione forfettaria basata sul prezzo di mercato della licenza relativa al software illecitamente utilizzato.
Il criterio di quantificazione alternativa del danno patrimoniale previsto dall’art. 158 L.d.A. va tenuto distinto dall’istituto della retroversione degli utili di cui all’art. 125 c.p.i. in quanto il legislatore ha ritenuto di non introdurre, nel sistema rimediale delle violazioni del diritto d’autore, la più drastica tutela restitutoria che ha invece giudicato più opportuna in materia di diritti di proprietà industriale, considerando come sufficiente e adeguato un sistema più elastico e flessibile, modulabile caso per caso, in cui i profitti realizzati dall’autore della violazione giocano come elemento concorrente di valutazione.

13 Maggio 2024

Il margine di libertà deve essere valutato alla luce dei vincoli di progettazione

Nel giudizio di interferenza, la valutazione dell’ampiezza del margine di libertà – che attiene in sé alla valutazione del carattere di individualità richiesto per la validità della registrazione – induce a tener conto dell’esistenza di vincoli di progettazione specifici che attengano alla particolare tipologia di prodotto e si connettono all’esistenza di caratteristiche imposte dalla peculiare funzione tecnica del prodotto, eventualmente derivanti anche da prescrizioni legislative.

Il danno da lucro cessante va calcolato tenendo conto dell’utile marginale
Il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui all’art. 125 c.p.i., alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando l’effettivo margine di profitto conseguito, previa, quindi, deduzione dei costi sostenuti dal ricavo totale.
Il danno da lucro cessante, invero, corrisponde al mancato guadagno o profitto del titolare della privativa, dato dalla differenza tra i flussi di vendita che lo stesso avrebbe avuto senza la contraffazione e quelli che ha effettivamente ricevuto. Si parla, ai fini di quantificare il guadagno perso, anche di utile marginale, costituito dalla differenza tra il ricavo che sarebbe derivato da unità di prodotto aggiuntive, rispetto a quelle in concreto commercializzate, ed il costo marginale, comprensivo di tutti i costi che sarebbero stati sostenuti per produrre quelle unità aggiuntive.

10 Novembre 2023

L’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata anche dalla società

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata, oltre che dai soci, dalla società, anche nel caso di s.r.l., sebbene la legge non lo preveda espressamente (a differenza di quanto accade, invece, per le s.p.a.). Infatti, se così non fosse, si precluderebbe al tipo sociale s.r.l. la tutela giudiziaria di propri diritti (l’art. 2476, co. 1, c.c. afferma pur sempre che gli amministratori sono solidalmente responsabili “verso la società”). D’altra parte, quando si tratti di società unipersonale, anche la giurisprudenza minoritaria che nega la legittimazione della società in quanto tale riconosce il diritto di azione in capo alla società; in tal caso, infatti, vi è identità di interessi fra il socio (unico) e la società.

Degli illeciti anticoncorrenziali compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle funzioni gestorie risponde solo la relativa società, a meno che l’amministratore abbia agito assolutamente al di fuori della sfera di controllo degli organi sociali.

16 Ottobre 2023

Uso del marchio altrui: requisiti per la condanna risarcitoria

Le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede, di chi usa un marchio altrui senza averne il diritto, se sono irrilevanti ai fini dell’azione diretta ad impedire l’usurpazione o la contraffazione, che ha carattere reale avendo ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale, possono assumere rilevanza ai fini dell’accoglimento o meno dell’azione personale di concorrenza sleale e di risarcimento del danno proposta contro il responsabile, qual è quella oggetto di causa.

Il risarcimento presuppone un danno, e di questo l’attore deve fornire dimostrazione. La liquidazione minima prevista dall’art. 125 CPI, pari ai canoni esigibili per una licenza d’uso, essa pure presuppone che un danno sia ravvisabile.

È contraffazione la vendita dei prodotti in licenza successiva alla risoluzione del contratto

Costituisce contraffazione di marchio e di design la condotta di una società che, nonostante la risoluzione del contratto di licenza ed esorbitando i limiti delle prorogate facoltà di produzione e commercializzazione, ha venduto al dettaglio gli stessi capi oggetto di licenza, tra i quali anche esemplari fallati, eccedenze di produzione e articoli non ritirati dai clienti, in quanto si tratta di attività commerciali che non aveva più alcun legittimo titolo di svolgere utilizzando il marchio ed il design oggetto del contratto di licenza risolto.

28 Febbraio 2023

Chiarimenti in tema di condanna alle spese, risarcimento del danno e restituzione dei profitti in materia di contraffazione

In tema di spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, esse hanno natura di allegazione difensiva e vanno comprese fra le spese processuali al cui rimborso la parte vittoriosa ha diritto, sempre che il giudice non ne rilevi l’eccessività o la superfluità. Non è peraltro possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento di tali spese in mancanza di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi escludere che l’assunzione dell’obbligazione sia sufficiente a dimostrare il pagamento.

La prova del lucro cessante da contraffazione di marchio, particolarmente onerosa per il danneggiato, non è richiesta come condizione imprescindibile per la liquidazione di tali danni patrimoniali considerato che, nel caso di violazione di diritti di proprietà industriale, il danno patrimoniale da lucro cessante si presume ed è liquidato in misura non inferiore a quella corrispondente ai canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. Si tratta di una liquidazione minima per il danneggiato, che postula presuntivamente iuris et de iure il consenso del titolare del diritto allo sfruttamento del suo diritto e che può trovare applicazione anche quando il consenso in concreto non sarebbe stato concesso.

La logica strettamente restitutoria sottesa alla previsione di cui all’art. 125 comma 3 c.p.i., rimedio autonomo ed indipendente dallo strumento risarcitorio, oltre a comportare che lo stesso trovi attuazione anche in mancanza di prova del lucro cessante e in mancanza di elemento soggettivo del dolo o della colpa, ha quale ulteriore conseguenza che la condanna non possa che essere pronunciata esclusivamente nei confronti del soggetto percettore di tali utili.

28 Febbraio 2023

Il risarcimento del danno e la retroversione degli utili nella fattispecie di contraffazione di marchio

Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale per contraffazione di marchio, la prova del lucro cessante non è da considerarsi imprescindibile, atteso che nel caso di violazione di diritti di proprietà industriale il danno patrimoniale da lucro cessante si presume ed è liquidato in misura non inferiore a quella corrispondente ai canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare ove avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto. Tale principio può trovare applicazione anche quando il consenso del titolare del diritto non sarebbe stato concesso.

Ai fini della quantificazione della retroversione degli utili, la royalty di base deve essere innalzata considerando la royalty che ragionevolmente le parti avrebbero pattuito presupponendo la violazione come già avvenuta, posto che una diversa conclusione condurrebbe all’irragionevole parificazione tra il contraffattore e il soggetto che ha ottenuto regolare licenza di utilizzo.

La condotta del contraffattore che riproduce iniziative commerciali  (co-branding con rinomati marchi della moda) nella realtà intraprese dal titolare del diritto leso integra un danno all’immagine in capo a quest’ultimo e comporta un annacquamento del marchio violato.

Per la quantificazione del danno all’immagine, possono assumere rilievo – tra gli altri – gli effettivi costi pubblicitari sostenuti dal titolare del diritto violato.

La logica restitutoria dell’istituto della retroversione degli utili, oltre a comportare che lo stesso trovi attuazione anche in mancanza di prova del lucro cessante e in mancanza di elemento soggettivo del dolo o della colpa, comporta altresì che la condanna non possa che essere pronunciata esclusivamente nei confronti del soggetto percettore di tali utili.

20 Gennaio 2023

Il danno non patrimoniale da contraffazione di marchio

La contraffazione di marchio determina inevitabilmente quantomeno la diluizione della capacità distintiva del segno anche per effetto della sua associazione a prodotti non provenienti dalla titolare del marchio e di cui dunque essa non può garantire un livello qualitativo paragonabile ai suoi prodotti, con conseguente effetto pregiudizievole per l’immagine commerciale della stessa titolare del marchio. Tale voce di danno non patrimoniale può essere liquidata tenendo conto in via presuntiva della necessità per la titolare di dover reagire sul mercato per riportare a sé sola il collegamento con il marchio mediante l’ulteriore sopportazione di spese pubblicitarie o, in via alternativa, del risarcimento di una quota parte delle spese pubblicitarie da essa sostenute negli anni che possono ritenersi in via equitativa di fatto inutilmente sostenute in quanto pregiudicate dall’illecito accertato.

La limitazione brevettuale consiste in una rinuncia parziale all’ambito di protezione riconosciuto al brevetto già concesso

Ai sensi dell’art. 79 c.p.i. il brevetto può essere limitato su istanza del titolare, alla quale devono essere uniti la descrizione, le rivendicazioni e i disegni modificati. La limitazione consiste in una rinuncia parziale all’ambito di protezione riconosciuto al brevetto già concesso. Essa può essere amministrativa o giudiziale e può essere proposta, nell’una e nell’altra ipotesi, pendente un giudizio di nullità del brevetto. Tale limitazione tuttavia deve essere intesa come operante sia che la domanda sia svolta in via principale, che in via di eccezione, rilevando, secondo il dettato della norma, che l’oggetto del giudizio verta anche sulla validità del brevetto limitato, non assumendo rilevanza se con effetti erga omnes o ai soli fini del giudizio proposto.

Riguardo alla limitazione in tema di brevetto europeo rilasciato per l’Italia, ove tale brevetto sia assoggettato alla procedura di limitazione avanti all’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), la relativa protezione deve ritenersi definita dal contenuto della limitazione con effetto retroattivo, a prescindere dalla nullità delle originarie rivendicazioni, successivamente modificate attraverso la menzionata procedura.

La violazione dei diritti di un marchio registrato di titolarità di un’impresa che commercializza accessori per telefoni

Si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni. Infatti, quale che sia l’anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, per cui ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole. La vendita di prodotto con marchio registrato in violazione dei diritti di privativa è un’attività illecita e quindi intrinsecamente sleale e tendenzialmente idonea a ledere l’altrui azienda poiché intercetta clienti interessati al prodotto provvisto di marchio che può essere loro alienato ad un prezzo inferiore rispetto a quello medio di mercato, non essendo gravato del pagamento di royalties: si determina così una significativa interferenza con la clientela del titolare del marchio.