Art. 2697 c.c.
106 risultati
Rapporti tra contratto preliminare e contratto definitivo di cessione quote di s.r.l.
L’omessa riproduzione, nel contratto definitivo di cessione di quote sociali, di una clausola già inserita nel preliminare non comporta, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, che non resta assorbita ove sussistano elementi in senso contrario ricavabili dagli atti ovvero offerti dalle parti. Il giudice è tenuto ad indagare la concreta intenzione delle parti, tanto più che il negozio di cessione richiede la forma scritta solo al fine dell’opponibilità del trasferimento delle quote alla società e non per la validità o la prova dell’accordo, per cui occorre verificare se, con la nuova scrittura, le parti si siano limitate, o meno, solo a formalizzare la cessione nei confronti della società, senza riprodurre tutti gli impegni negoziali in precedenza assunti.
La rilevanza probatoria delle scritture contabili
A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi – fanno sempre prova contro l’imprenditore, mentre per valere a suo favore occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2710 c.c., ossia: (i) che siano regolarmente tenuti, nonché bollati e vidimati; (ii) che riguardino rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; (iii) che si facciano valere in una controversia con un altro imprenditore. Le risultanze delle annotazioni contabili fanno sorgere una presunzione iuris tantum contraria all’imprenditore, poiché egli può liberamente contrastare le proprie registrazioni con qualunque mezzo di prova. Ed invero, l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato.
Il medesimo principio vale anche per l’utilizzabilità delle scritture contabili a favore dell’imprenditore nei rapporti con l’altro imprenditore inerenti all’esercizio dell’impresa, la cui efficacia probatoria, non avendo esse valore di prova legale, è rimessa dall’art. 2710 c.c. al libero apprezzamento del giudice di merito.
Possiedono l’efficacia probatoria di cui all’art. 2709 c.c. anche i bilanci delle società per azioni, redatti ed approvati conformemente agli artt. 2423-2435 c.c., i quali quindi possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.
Non costituisce un’opera dell’ingegno tutelata dal diritto d’autore l’approccio metodologico di un laboratorio scientifico
La disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee, informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9, comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore. In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera.
Contestazione dei bilanci ed esercizio dell’azione sociale di responsabilità
L’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata sia dalla società (titolare del diritto al risarcimento del danno) sia dal socio (indipendentemente dalla consistenza della partecipazione sociale) e ha natura riparatoria, essendo finalizzata alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso. Il socio, facendo valere in nome proprio il diritto spettante alla società, deve necessariamente convenire in giudizio quest’ultima, quale litisconsorte necessario ex art. 102 c.p.c.
Se al momento dell’esercizio dell’azione l’amministratore convenuto è ancora titolare dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, è necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78, co. 2, c.p.c., atteso il conflitto di interessi fra rappresentante (l’amministratore che sia anche dotato del potere di rappresentanza della società) e rappresentato (la società).
Ai fini dell’esercizio dell’azione, non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti al prosieguo del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale.
Grava sull’attore l’onere di allegare non solo le condotte di asserita mala gestio poste in essere dall’amministratore, ma anche il danno che queste hanno cagionato, da intendersi quale diminuzione patrimoniale eziologicamente collegata alla mancata osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo. Per contro, grava sull’amministratore l’onere di dimostrare di aver correttamente adempiuto ai doveri suddetti, prendendo posizione sui singoli addebiti contestati dalla parte attrice.
Il socio che deduce una carenza informativa in ordine ai bilanci e alla documentazione sottostante, rivolgendo le proprie contestazioni direttamente alla formazione dei bilanci, deve proporre l’impugnazione delle relative delibere di approvazione e non l’azione sociale di responsabilità: in assenza di ulteriori allegazioni, infatti, devono escludersi comportamenti dell’organo amministrativo valutabili sotto il profilo della responsabilità nei confronti della società o dei soci.
L’onere della prova della simulazione del contratto di cessione di partecipazioni
Per il principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., secondo il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, l’onus probandi nella simulazione incombe a chi, parte contraente, erede o avente causa di esso, creditore o terzo, ne allega l’esistenza. In materia di simulazione, diverso è il regime della prova, a seconda che la domanda sia proposta dai contraenti ovvero da terzi. Invero, a norma dell’art. 1417 c.c., la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi, e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti. Se la domanda è, dunque, proposta da una delle parti, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale di cui agli artt. 2721 ss. c.c., poiché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni.
Brevetto per novità vegetale relativo all’uva “Sugarone” ed efficacia probatoria della perizia di parte
La perizia stragiudiziale, in quanto svolta in assenza di contraddittorio, è inidonea a costituire prova in giudizio ed è considerata una mera allegazione difensiva liberamente apprezzata dal giudice.
[Nel caso in esame, le circostanze del caso concreto peraltro non consentono di riconoscere attendibilità alla perizia di parte, difettando le condizioni di trasparenza sul confezionamento del campione analizzato e sulla sua tracciabilità.]
Riparto dell’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità
Gli amministratori devono adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
La responsabilità degli amministratori verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri ha natura contrattuale: la società deve quindi allegare l’inadempimento nonché provare – sia pure ricorrendo a presunzioni – l’esistenza di un danno concreto, consistente nel depauperamento del patrimonio sociale e la diretta riconducibilità causale di tale danno alla condotta dell’amministratore, quand’anche cessato dall’incarico.
Il riferimento al nesso causale, oltre a servire come parametro per l’accertamento della responsabilità degli amministratori, rileva anche da un punto di vista oggettivo, perché consente di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza eziologica della condotta contestata e quindi a porre a carico degli amministratori solo il danno direttamente connesso alla loro condotta attiva od omissiva, dolosa o anche solo colposa.
Incombe invece sugli amministratori l’onere di provare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità dell’inadempimento, dimostrando di aver adempiuto con diligenza agli obblighi loro imposti ovvero che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo.
In base alla c.d. business judgment rule e ai principi costituzionali sulla libertà di iniziativa economica (art. 41, co. 1, Cost.), la responsabilità degli amministratori non può essere affermata sulla base della mera inopportunità delle scelte gestorie assunte – di per sé insindacabili, in quanto conseguenti a scelte di natura imprenditoriale, ontologicamente connotate da rischio – né dei risultati negativi di queste ultime.
Oggetto di accertamento e di valutazione da parte del giudice sono le modalità di esercizio del potere discrezionale, cioè la diligenza usata nella valutazione preventiva dell’iniziativa economica da intraprendere e dei margini di rischio prevedibili, potendosi pertanto censurare solo l’omessa assunzione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle determinate circostanze e con quelle determinate modalità.
Requisiti per l’esercizio del diritto di recesso da società soggetta a direzione e coordinamento
Il diritto di recesso del socio di società diretta a direzione e coordinamento può essere esercitato, ai sensi dell’art. 2497-quater, comma 1, lett c), c.c., in presenza di tre precisi requisiti: il cambio della situazione di controllo, la mancanza di una offerta per l’acquisto della partecipazione dei soci di minoranza e l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. In particolare, la sussistenza del requisito dell’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento deve essere valutata sia sotto il profilo temporale, avendo riguardo al momento in cui si realizza il cambio di controllo sia in chiave prospettica, tenendo conto che occorre che il mutamento abbia determinato (o rischi in concreto di determinare) un impatto negativo sull’equilibrio patrimoniale e finanziario della società e/o sul valore della partecipazione e/o sulle prospettive reddituali della società eterodiretta, e di conseguenza, sulle aspettative reddituali che il socio nutriva prima di questo cambiamento.
Inoltre, in ossequio ai principi generale dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., è colui che agisce giudizialmente per far dichiarare la legittimità del proprio recesso a dover fornire la prova della sussistenza dei presupposti prescritti dalla legge e, in particolare, il sopravvenuto effettivo mutamento delle condizioni di rischio in ragione del cambio del soggetto esercente l’attività di direzione e coordinamento.
Sulla prova del versamento del contributo ambientale Conai: il principio di vicinanza della prova
Il principio di riferibilità o di vicinanza della prova pone in ogni caso l’onere della prova a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento e che è, quindi, in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia questa diretta all’adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall’adempimento. In caso di mancata acquisizione delle schede extracontabili che il cedente deve redigere e produrre, la dicitura apposta sulla fattura emessa dal cedente “contributo ambientale Conai assolto” o equivalenti deve essere interpretata nel senso di ritenere il contributo assolto dal cessionario e non dal cedente.
Principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale
Secondo quanto previsto dall’art. 1375 c.c. il contratto sociale deve essere eseguito in buona fede e, pertanto, tutte le determinazioni e decisioni dei soci devono essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale, dovendosi, perciò, considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti come espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.
Ai fini dell’accertamento della condotta del socio contraria ai principi di cui all’art. 1375 c.c. è necessario provare in concreto il pregiudizio patrimoniale effettivamente patito dalla società e la correlazione eziologica tra la condotta inadempiente del socio ed il danno patrimoniale sociale che viene ritenuto imputabile a tale condotta.
Il disposto dell’art. 2697 c.c. si applica anche al giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell’opposizione ex art. 645 ss. c.p.c. e, pertanto, anche in seno a tale procedimento, il creditore è tenuto a provare i fatti costitutivi della pretesa – cioè l’esistenza ed il contenuto della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza – mentre il debitore ha l’onere di eccepire e dimostrare il fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero ogni altra circostanza dedotta al fine di contestare il titolo posto a base della pretesa avversa o gli eventi modificativi del credito azionato in sede monitoria.
Dal disposto dell’art. 2697 c.c. si desume il principio della presunzione della persistenza del credito, in forza del quale, ove il creditore dia la prova della fonte negoziale o legale della propria pretesa, la persistenza del credito si presume ed è, perciò, onere del debitore provare di aver provveduto alla relativa estinzione o dimostrare gli altri atti o fatti allegati come eventi modificativi o estintivi del credito vantato da parte avversa.
La domanda di ripetizione delle somme da corrispondersi in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto deve ritenersi implicitamente contenuta nell’istanza di revoca del decreto stesso, senza necessità di esplicita richiesta della parte, atteso che l’azione di restituzione non si inquadra nella condictio indebiti, sia perché si ricollega ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale antecedente, sia perché in tal caso (come in quello di ripetizione di somme pagate in esecuzione di una sentenza di appello, o di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, riformata in appello) il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazioni di buona fede o mala fede, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà di suoi effetti.