24 Aprile 2020

Responsabilità degli amministratori per violazione di legge e onere della prova

Grava sull’attore che agisce in giudizio per responsabilità di amministratori di società di capitali, l’onere di dimostrare la violazione dell’obbligo di adempiere con la necessaria diligenza gli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a tutela della compagine sociale. Altresì grava sull’attore l’onere di allegare l’esistenza di un danno causalmente  imputabile al comportamento negligente posto in essere dagli amministratori. Più precisamente grava sulla società attrice l’onere di provare, giusta l’art.2697 cc, la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore, sia l’esistenza di precipue voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri. La mera violazione di legge non costituisce in sè e per sè una fonte di danno per la società, ma lo diventa solo allorquando da essa è scaturito un concreto pregiudizio economicamente rilevante e quantificabile.

24 Aprile 2020

Applicazione ed impiego abusivo della clausola statutaria c.d. simul stabunt simul cadent

L’applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent (la cui validità è espressamente riconosciuta dal quarto comma dell’art. 2386 c.c.) non equivale ad una revoca dall’incarico e pertanto, se applicata senza fini abusivi, non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto: costui infatti, accettando l’iniziale conferimento dell’incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi sociali. Detta adesione implica dunque l’accettazione dell’eventualità di una cessazione anticipata dall’ufficio di amministratore nel caso di applicazione della clausola in oggetto e in ogni caso senza risarcimento del danno (cfr. anche Trib. Milano n. 388/2015 e n. 4955/2016).

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24 Aprile 2020

Unitarietà dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: onere della prova e prescrizione

L’art. 146 L.F., secondo cui sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro amministratori, componenti dell’organo di controllo, direttori generali e liquidatori, compendia in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2392-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.). Per quanto riguarda i liquidatori dall’art. 2489, co. 2 c.c. discende l’applicabilità agli stessi delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2932-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).

In particolare, è stato rilevato che è nelle facoltà del curatore scegliere quale delle due azioni esercitare o scegliere di esercitarle entrambe. Alla luce del principio dell’unitarietà dell’azione ex art. 146 L.F. (e della natura contrattuale della responsabilità), infatti,  questo poco incide sul principio in base al quale grava sul curatore che promuove dette azioni l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, incombendo, per converso, su amministratori e sindaci (e nel caso di specie, sul liquidatore) l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, in riferimento agli addebiti contestati, del rispetto dei doveri e del corretto adempimento degli obblighi loro imposti.

Limitatamente alla prescrizione, ove l’azione esercitata dal curatore fallimentare dovesse essere ricondotta all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., il termine quinquennale è da considerarsi sospeso, a norma dell’art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione del liquidatore dall’incarico. Anche qualora, poi, l’azione esercitata dalla curatela fallimentare dovesse essere riconducibile all’azione dei creditori sociali ex 2394 c.c., essa si prescriverebbe nel termine di cinque anni decorrenti dal momento dell’oggettiva percepibilità da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si sia manifestata e sia divenuta conoscibile già prima della data di dichiarazione del fallimento – alla luce della predetta natura contrattuale della responsabilità – grava su colui che eccepisce la prescrizione e la mera contestazione dell’esposizione debitoria della società non assolve a ciò, non implicando, di per sé, né che la società sia insolvente, né che il patrimonio sia insufficiente a soddisfare i creditori sociali.

24 Aprile 2020

Versamento dell’aumento di capitale a mezzo di consegna di assegno circolare poi ritirato

Attesta il vero il Presidente di Assemblea che dia atto del “versamento” dell’aumento di capitale a mezzo di consegna di assegno circolare, ancorché tale assegno venga poi revocato dal sottoscrittore così che, quando presentato per l’incasso, non risulti più possibile per la società la materiale apprensione delle somme.
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Codice RG 39743 2017
15 Aprile 2020

Inadempimento al patto parasociale ed eccessiva onerosità della connessa clausola penale

La clausola pattizia che obbliga a rendere vincolante il patto parasociale anche nei confronti dei successori mortis causa esclude che il patto sia automaticamente efficace nei confronti degli eredi (perché diversamente la clausola sarebbe inutile). 

Il rappresentante comune degli azionisti esercita i poteri incorporati nelle azioni , fra i quali non è compreso quello di aderire a un patto di sindacato. Non costituiscono significativi indizi della volontà di aderire al patto di sindacato la mancanza di contestazione alle convocazioni delle riunioni del sindacato , cosi come la partecipazione alle riunioni dello stesso. 

La clausola con cui le parti si obbligano a rendere vincolante il patto parasociale anche nei confronti degli eredi non configura un patto successorio e quindi non è nulla per violazione dell’art 458 cc (in quanto va interpretata nel senso che gli stipulanti hanno semplicemente promesso l’obbligazione di terzi  e cioè l’adesione all’accordo di coloro che sarebbero diventati eredi).

L’eccessività della penale deve essere valutata con riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento: pertanto non è manifestamente eccessiva una penale di importo pari al 10 % del patrimonio sociale, prevista per un inadempimento che comporti la perdita del controllo della società da parte dei soci sindacati.

14 Aprile 2020

Somme sottratte dal socio-amministratore unico

Le somme delle quali il socio-amministratore unico priva la società (mediante versamento sul proprio conto corrente) sono da considerarsi quali finanziamenti verso soci se risultano contabilizzate a tale titolo mentre costituiscono comportamento distrattivo qualora siano del tutto prive di una giustificazione contabile. Pertanto, il socio-amministratore unico, nel primo caso è tenuto a rimborsare tali somme a titolo di adempimento del contratto di finanziamento; viceversa, nel secondo caso – ferme restando ulteriori possibili conseguenze di natura penale – dovrà corrispondere le somme sottratte a titolo di risarcimento da inadempimento. [Nel caso di specie, il Fallimento di una S.r.l. aveva agito nei confronti del socio-amministratore unico, chiedendone la condanna al pagamento della somma sottratta a titolo di restituzione del finanziamento erogato e, in subordine, a titolo di risarcimento del danno].

 

8 Aprile 2020

Cancellazione della società e sorte dei crediti litigiosi. Applicabilità della business judgement rule agli atti di organizzazione dell’attività di impresa

In caso di cancellazione di una società di capitali i soci subentrano nei rapporti attivi per i quali l’effetto rinunziativo, derivante dall’iscrizione della cancellazione da parte del liquidatore, è impedito da un’attività del liquidatore consistente in un’espressa gestione della posizione, ad esempio, attraverso la cessione del credito (ancorché litigioso) a terzi e l’inclusione del corrispettivo nel bilancio di liquidazione (e dunque nella distribuzione del ricavato) ovvero ancora nella attribuzione di un diritto già azionato ad un determinato socio (con menzione nella nota integrativa) (nella specie il Tribunale ha ritenuto che il giudizio introdotto dalla società poi cancellata potesse qualificarsi come rapporto giuridico “coltivato” da parte del liquidatore prima di procedere alla richiesta di cancellazione, essendo stato attivato dal liquidatore stesso, anche sulla scorta delle risultanze del bilancio finale di liquidazione).

Anche per gli amministratori di s.r.l. è richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo. Il socio di s.r.l. che agisce con l’azione sociale è onerato dell’allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, di cui chiede in nome proprio ma nell’interesse della società, il ristoro, e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.

All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (cfr., Cass., 28 aprile 1997, n. 3652).

Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto, avendo la giurisprudenza elaborato due ordini di limiti alla sua operatività. La scelta di gestione è insindacabile, in primo luogo, solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta) e, sotto altro aspetto, solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre). Quindi, se è vero che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentano profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili. Inoltre, non basta che l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed abbia eseguito (attraverso l’uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso, essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse.

Il significato e i limiti della business judgement rule trovano applicazione anche alle scelte organizzative degli amministratori. infatti, la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere. E va da sé che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi (non essendo enucleabile dal codice un modello di assetto utile per tutte le situazioni), quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.

Responsabilità degli amministratori di S.r.l. nei confronti dei creditori sociali (questioni processuali sulla prova)

Deve ritenersi che l’ordinamento processuale vigente, basato sul principio del libero convincimento del giudice, non preveda una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice può porre a fondamento della propria decisione anche prove atipiche che offrano elementi probatori sufficienti e coerenti rispetto alle altre risultanze del processo. Il giudice civile può, quindi, legittimamente formare il proprio convincimento avvalendosi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale.

Gli amministratori di una società sono destinatari di precisi obblighi di vigilanza sulla gestione della società e a tal fine sono sempre tenuti ad agire in modo informato, in particolar modo se vi sono evidenti segnali dell’altrui illecita gestione. Non è esente da tale obbligo nemmeno l’amministratore che di fatto risulta estraneo alla gestione della società, il quale risponde, anche penalmente, degli illeciti atti di gestione posti in essere da terzi, per non aver osservato i doveri di vigilanza e controllo attribuitigli per effetto della semplice accettazione della carica.

La disposizione di cui all’art. 1227, co. 2, c.c. esclude il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare con l’utilizzo della sola ordinaria diligenza, che non ricomprende, pertanto, attività gravose, eccezionali, o tali da comportare notevoli rischi o sacrifici. L’onere di provare il concorso del fatto colposo del creditore danneggiato grava sul debitore danneggiante, che deve dimostrare che la controparte non abbia utilizzato l’ordinaria diligenza al fine di evitare i danni oggetto della richiesta di risarcimento.

3 Aprile 2020

Diritto di convocazione dell’assemblea in caso di inerzia dell’amministratore

Il combinato disposto del comma 1 e 4 dell’art. 2479 cod. civ. permette al socio detentore di almeno un terzo del capitale sociale di convocare l’assemblea allo scopo di pronunciarsi su argomenti ritenuti rilevanti. Siffatto orientamento, che abilita il socio a convocare l’assemblea in caso di inerzia astratta e potenziale dell’amministratore, va condiviso anche nel caso in cui lo statuto espressamente demandi la convocazione all’organo gestorio.

03/04/2020

Onere della prova nell’ambito del processo civile in tema di responsabilità degli amministratori nei confronti della società

In virtù del disposto dell’art. 2392 c.c. e della natura contrattuale della responsabilità degli amministratori nei confronti della società,  in osservanza degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, grava sulla società attrice l’onere di dimostrare la sussistenza di due indefettibili condizioni: la violazione dell’obbligo di adempiere con la necessaria diligenza gli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a tutela della compagine sociale nonché l’esistenza di un danno causalmente imputabile al comportamento negligente posto in essere dagli amministratori stessi. Più precisamente grava sulla società attrice sia l’onere di provare, giusta l’art. 2697 c.c., la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale connessi alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore, sia l’esistenza di precipue voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.