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30 Giugno 2023

Rischio di confusione tra marchi appartenenti a società calcistiche

Possono ritenersi confondibili due marchi in cui risultano dominanti gli elementi uguali rispetto ai minoritari elementi di differenziazione, a fortiori se si considera che l’uso degli stessi avviene nel medesimo territorio e nel medesimo ambito di attività.

28 Dicembre 2022

Giudizio di confondibilità tra marchi d’impresa e variazioni che non alterano il nucleo ideologico-espressivo del segno

La confondibilità tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi, non deve essere “analitico”, bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, tenuto conto della normale diligenza ed avvedutezza dei consumatori.

La contraffazione rileva in relazione agli elementi essenziali del marchio; l’interprete deve preventivamente individuare il “cuore”, ossia l’idea fondamentale che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela ed in cui si riassume la sua attitudine individualizzante, sicché devono ritenersi inidonee ad escludere l’illecito tutte le variazioni e modificazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano sussistere la confondibilità del nucleo ideologico-espressivo.

[Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha ritenuto che, sotto il profilo visivo e fonetico, i marchi delle parti in causa fossero, quanto al loro nucleo essenziale, del tutto identici, “in particolare per l’identità dei caratteri utilizzati, del colore, del motivo e dello sfondo; il fatto che il segno di parte convenuta presenti una lettera diversa non scongiura la somiglianza dei segni a confronto, atteso che il marchio rimane sostanzialmente inalterato”].

22 Luglio 2022

Tutela del marchio: somiglianza, confondibilità e rischio di confusione dei prodotti

In tema di contraffazione di marchio registrato, ai fini dell’applicabilità da parte del legittimato della tutela offerta dell’art. 20 c.p.i. è necessario che la contraffazione abbia avuto riguardo ad un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, laddove a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi  possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. [Nel caso di specie, il Tribunale di Napoli rigetta la domanda di parte attrice giudicando non confondibili i prodotti contrassegnati dai marchi oggetto di causa, trattandosi nel caso di specie di un prodotto farmaceutico mutuabile venduto dietro ricetta medica e un integratore alimentare, a nulla rilevando che  i marchi siano registrati per la medesima classe atteso che la ripartizione dei prodotti in classi merceologiche ha mera valenza di carattere amministrativo e non può spiegare effetti nella valutazione di affinità dei prodotti stessi.]

2 Dicembre 2021

Rischio di confusione tra segni distintivi: il nome anagrafico utilizzato come marchio

Un nome anagrafico, validamente registrato come marchio e divenuto noto, non può essere successivamente adottato come segno distintivo in settori merceologici identici o affini, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, non potendosi ritenere tale condotta conforme alla correttezza professionale. Infatti, la norma dell’art. 21 co. 1 lett. a) c.p.i., secondo cui alla suddetta condizione è consentito l’uso del proprio nome nell’esercizio dell’attività economica (peraltro limitatamente alle persone fisiche), ha carattere eccezionale ed è sempre stata interpretata in senso restrittivo, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. In nessun caso veniva legittimata l’adozione del proprio nome come marchio, in violazione di precedenti marchi altrui. Si ritiene infatti che contrasti con i principi della correttezza professionale l’uso del proprio nome anagrafico che pregiudichi il valore di un marchio già registrato, contenente lo stesso nome, in quanto in tal modo si trae indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà. Peraltro il giudizio sulla correttezza professionale dell’uso del nome civile, identico ad un marchio anteriore, deve essere svolto in modo molto rigoroso, ed è ravvisabile solo in presenza di un’effettiva esigenza di informazione incentrata sul nome civile e sulle concrete modalità con cui l’informazione viene fornita, senza che il pubblico venga indotto in errore sull’identificazione del produttore e sulla provenienza dei suoi beni o servizi, anche sotto il profilo dell’associazione tra i segni.

14 Giugno 2021

Successione mortis causa, trasmissione del diritto d’autore e condotte anticoncorrenziali

Quando ad invocare la tutela autorale è un soggetto terzo rispetto all’autore dell’opera dell’ingegno, il quale avrebbe acquistato la privativa sull’opera da un altro soggetto, anch’egli diverso dall’autore e che, a sua volta, avrebbe da quest’ultimo acquistato i diritti sull’operare in qualità di erede, occorre verificare la continuità e l’ampiezza dei trasferimenti del diritto fatto valere in giudizio, a partire dalla allegata cessione iure hereditatis.

L’autore può aver trasmesso iure hereditatis al figlio (dante causa, quest’ultimo, dell’odierna attrice) i soli diritti che, secondo la legge che regola la successione, facevano già parte del suo patrimonio al momento della morte. Da ciò consegue che il figlio non può aver acquistato i diritti esclusivi di sfruttamento economico di un’opera che, già prima della morte del padre, era caduta in pubblico dominio per la legge statunitense e che era, quindi, divenuta libera da privative. In questi termini, non può non rilevarsi che, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla legge nazionale applicabile in materia di tutela autorale, la successione mortis causa è pacificamente regolata dalla legge statunitense.

Deve escludersi che la commercializzazione della traduzione dell’edizione originale di un’opera configuri un illecito anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 2598 c.c. quando non ricorrono gli estremi della fattispecie di c.d. imitazione servile del prodotto per diversità strutturale e ontologica tra i due testi oggetto di traduzione, nonché per diversità del titolo e per la specifica indicazione che si tratta dell’“edizione originale” dell’opera. Il dato appare rilevante anche ai fini dell’esclusione dell’ipotesi di confondibilità tra i prodotti, atteso che il mercato di riferimento è rappresentato da studiosi e cultori, quindi da esperti della materia, difficilmente suscettibili di disorientamento circa l’origine e la natura della res posta in commercio, e non già da consumatori medi, se non proprio “profani”, sicuramente più esposti a ciò.

10 Gennaio 2019

Rapporti tra Enti associativi senza scopo di lucro e tutela del nome, del marchio e da condotta anticoncorrenziale

Per costante giurisprudenza, ai fini della applicabilità della disciplina della concorrenza sleale, la nozione di imprenditore deve essere interpretata in modo estensivo, così da ricomprendere anche associazioni ed enti che operino per scopi ideali e svolgano, senza fine di lucro, mediante un’organizzazione stabile, un’attività continuativa di natura obiettivamente economica.

Ai fini della configurazione del rapporto di concorrenzialità mentre l’assenza di scopo di lucro può essere irrilevante “l’identità del settore si deve desumere dal fatto che entrambe [le associazioni] offrono servizi alla platea delle piccole e medie imprese e che il supporto all’internazionalizzazione non costituisce che una species del genus dei servizi alle imprese”.

La sussistenza del rapporto di concorrenzialità “va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, l’offerta dei medesimi prodotti e servizi alla medesima clientela”.

La riproduzione illecita della denominazione sociale e del marchio denominativo di un Ente viola l’art. 2564 c.c. e l’art. 22 c.p.i.

L’appropriazione dei segni distintivi può determinare confusione fra l’attività ed i servizi [delle due imprese] che ove accertata consente di “ravvisare la concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 c.c. n. 1”.

17 Aprile 2018

Rischio di confusione tra prodotti o servizi: requisito indispensabile per vietare l’uso del domain name

Il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma, compreso il “domain name”, ove non sussista la confondibilità o l’affinità dei prodotti o servizi; ciò anche nel caso in cui ricorra l’inclusione nella stessa classe, che non è idonea in quanto tale a provarne l’affinità.

7 Novembre 2017

La tutela del marchio rinomato (Pasha de Cartier)

Nel giudizio di comparazione dei segni devono essere ritenuti identici non solo i segni che tali siano in quanto esatta riproduzione l’uno dell’altro, ma anche tutti i segni che pur presentando differenze, appaiano identici agli occhi del pubblico. Ricorre identità di marchi, infatti, quando uno dei due marchi riproduce l’altro apportandovi complessivamente differenze talmente insignificanti da poter passare inosservate ad un consumatore medio; pertanto, [ LEGGI TUTTO ]

13 Luglio 2017

Rischio di confusione e “post sale confusion” nella contraffazione di marchio

Ai fini dell’apprezzamento della contraffazione di marchio si deve prescindere dalla effettiva confondibilità tra prodotti e, soprattutto, dalle modalità concrete di uso del segno, dato che l’azione di contraffazione ha natura reale e tutela il diritto (assoluto) all’uso esclusivo del segno come bene autonomo, sulla base di un apprezzamento condotto in riferimento all’esemplare
del segno stesso e all’indicazione del genere di prodotti o servizi che il marchio serve a contraddistinguere, poiché [ LEGGI TUTTO ]