Tutela autoriale delle banche dati e illecita sottrazione di informazioni riservate
La verifica della competenza va attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta, tenendo altresì conto che, qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice la individuazione dell’azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili.
L’utilizzabilità da parte dell’ex lavoratore delle conoscenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa non può estendersi fino al punto di ricomprendere un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, anche se non segretati o pretetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (in tal senso Cass. 12.7.2019 n. 18772).
Rientrano nella definizione di banche dati, secondo gli art. 2 n. 9 e 64-quinuies e sexies L. 633/41, le raccolte di opere, dati, e altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. Affinchè una banca dati possa rientrare nell’ambito di tutela della disciplina delle opere dell’ingegno è necessario che sia dotata del requisito della creatività, ovvero della capacità dell’opera di costituire espressione del suo autore.
La liquidazione equitativa del danno secondo quanto previsto dall’art. 158 L. 633/1941 in materia di violazione del diritto d’autore e dall’2600 c.c. in materia di concorrenza sleale presuppone in ogni caso la prova circa l’effettiva esistenza del danno. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22.2.2018 n. 4310, Cass. 30.7.2020 n. 16344).
Il mantenimento in funzione per un lungo periodo di tempo dell’account aziendale personale di un dipendente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza dello stesso.
Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 20.8.2020 n. 17383). Il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (Cass. 10.6.2021 n. 16402).
Limitazione di brevetto, contraffazione e risarcimento del danno
La limitazione del brevetto è opponibile ai terzi ex tunc (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto sia ammissibile che dotata di sufficiente altezza inventiva una limitazione di brevetto operata dall’attrice ai sensi dell’art. 79 c.p.i., cosa che, previo rigetto della riconvenzionale di accertamento della nullità formulata dalla convenuta ed accoglimento della domanda attorea di accertamento della contraffazione, ha permesso al Collegio di riconoscere un risarcimento commisurato all’intero periodo di durata della contraffazione).
Il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa e non può essere utilizzato laddove il danneggiato abbia offerto validi e ragionevoli criteri per procedere alla liquidazione del lucro cessante o ad una valutazione comunque equitativa più consistente.
La retroversione degli utili è diretta, più che a reintegrare il patrimonio leso del titolare della privativa, ad evitare l’arricchimento senza causa lecita del contraffattore, esprimendo principalmente una funzione di deterrenza della contraffazione (sia pure coordinata con il risarcimento del lucro cessante, del quale costituisce una alternativa); pertanto, il contraffattore va condannato alla retroversione degli utili anche laddove non siano stati forniti elementi atti a individuare un mancato guadagno del titolare della privativa in conseguenza della condotta contraffattiva, purché, però, l’arricchimento sia collegato causalmente con la violazione della privativa.
Vendita di capi di abbigliamento riproducenti l’altrui opera dell’ingegno
La creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. Il concetto giuridico di creatività non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività.
L’apposizione di una macchia di colore su una fotografia di una nota attrice integra un sufficiente atto creativo, idoneo a essere tutelato ai sensi della normativa in materia.
La violazione del diritto d’autore costituisce “un danno ingiusto” ex art. 2043 cc, per il cui risarcimento occorre la sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla norma, tra cui vi è il compimento di un “fatto doloso o colposo”.
Prescrizione dell’azione di risarcimento derivante da illecito civile considerato come reato
In un giudizio riguardante l’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare nei confronti dall’amministratore unico di srl per il suo volontario aggravamento della situazione patrimoniale, nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato (ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela) trova applicazione l’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto di reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto (cfr. Cass. Civ. sez. unite 27337/08).
Responsabilità dell’amministratore per concorso nella condotta illecita anticoncorrenziale
Dell’illecito di concorrenza sleale può essere chiamato a rispondere anche l’amministratore di s.r.l. ai sensi dell’art. 2476, co. 6, se risultano provati la addebitabilità agli amministratori di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita, i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e il nesso eziologico tra gli addebiti formulati e i danni prospettati.
Azione di responsabilità nei confronti di amministratori di s.p.a. e responsabilità degli amministratori privi di deleghe
La presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta che gli altri siano esonerati da responsabilità solidale per i comportamenti dei primi che costituiscono inadempimento degli specifici obblighi di condotta della carica rivestita nonché del generale obbligo di amministrazione diligente.
Gli amministratori privi di deleghe sono responsabili se colposamente non abbiano rilevato i segnali, percepibili con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, dell’altrui illecita gestione della società e sono tenuti ad agire sulla base delle informazioni ricevute dagli amministratori delegati o, in mancanza, a sollecitare tali informazioni.
Risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento
La prova dell’adempimento del pagamento del prezzo residuo di una cessione di azienda può essere fornita anche a mezzo di testimonianze circa l’avvenuta consegna da parte del cessionario di assegni e/o contanti a prescindere dalle previsioni contrattuali.
Competenza della sezione impresa per controversie connesse a trasferimento di partecipazoni sociali
Rientra nella competenza per materia del Tribunale delle Imprese la controversia avente ad oggetto la manleva pattuita nel contesto di un atto di cessione di quote sociali in quanto detta manleva rappresenta obbligazione ancillare alla cessione stessa, con conseguente competenza della medesima sezione specializzata ex art. 3, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 168/2003, ove si prevede la competenza nei procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”. Analogamente, rientra nella medesima competenza una domanda relativa alla rinuncia a esperire l’azione di responsabilità sociale nei confronti di un ex amministratore.
Rapporti tra Enti associativi senza scopo di lucro e tutela del nome, del marchio e da condotta anticoncorrenziale
Per costante giurisprudenza, ai fini della applicabilità della disciplina della concorrenza sleale, la nozione di imprenditore deve essere interpretata in modo estensivo, così da ricomprendere anche associazioni ed enti che operino per scopi ideali e svolgano, senza fine di lucro, mediante un’organizzazione stabile, un’attività continuativa di natura obiettivamente economica.
Ai fini della configurazione del rapporto di concorrenzialità mentre l’assenza di scopo di lucro può essere irrilevante “l’identità del settore si deve desumere dal fatto che entrambe [le associazioni] offrono servizi alla platea delle piccole e medie imprese e che il supporto all’internazionalizzazione non costituisce che una species del genus dei servizi alle imprese”.
La sussistenza del rapporto di concorrenzialità “va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, l’offerta dei medesimi prodotti e servizi alla medesima clientela”.
La riproduzione illecita della denominazione sociale e del marchio denominativo di un Ente viola l’art. 2564 c.c. e l’art. 22 c.p.i.
L’appropriazione dei segni distintivi può determinare confusione fra l’attività ed i servizi [delle due imprese] che ove accertata consente di “ravvisare la concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 c.c. n. 1”.
Azione di responsabilità del creditore di srl, dopo la chiusura del fallimento della società, contro il cessato amministratore unico e il liquidatore
I creditori sociali perdono, per effetto della dichiarazione di fallimento della società di capitali debitrice, la legittimazione – spettante in via esclusiva al curatore durante il corso della procedura concorsuale – ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società [ LEGGI TUTTO ]