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Art. 22 c.p.i.
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30 Giugno 2023

Rischio di confusione tra marchi appartenenti a società calcistiche

Possono ritenersi confondibili due marchi in cui risultano dominanti gli elementi uguali rispetto ai minoritari elementi di differenziazione, a fortiori se si considera che l’uso degli stessi avviene nel medesimo territorio e nel medesimo ambito di attività.

15 Maggio 2023

Contraffazione del marchio registrato: necessaria la prova del danno pena il rigetto della domanda risarcitoria

Nonostante la prova dell’avvenuta contraffazione del marchio, il relativo danno non può essere ritenuto sussistente in re ipsa e non può essere liquidato in via equitativa se parte attrice non fornisce alcun principio di prova della sua sussistenza, non essendo sufficiente limitarsi ad allegare generiche difficoltà riscontrate con la partecipazione ad eventi.

Il giudizio di contraffazione del marchio va svolto in via globale e sintetica, mediante un apprezzamento complessivo che tenga conto degli elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici.

 

13 Aprile 2023

Denominazione sociale e principio di unitarietà dei segni distintivi

L’art. 22 c.p.i. prevede il principio dell’unitarietà dei segni distintivi, in virtù del quale è vietato adottare come denominazione o ragione sociale “un segno uguale o simile all’altrui marchio, se a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.

Tale principio, pertanto, non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale [nel caso di specie, il Tribunale ha accertato la violazione dei marchi della società attrice in considerazione del fatto che la convenuta ha ripreso esattamente il cuore dei marchi attorei “forti”, senza utilizzare alcun elemento idoneo a differenziare il proprio segno dalle privative dell’attrice].

28 Dicembre 2022

Giudizio di confondibilità tra marchi d’impresa e variazioni che non alterano il nucleo ideologico-espressivo del segno

La confondibilità tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi, non deve essere “analitico”, bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, tenuto conto della normale diligenza ed avvedutezza dei consumatori.

La contraffazione rileva in relazione agli elementi essenziali del marchio; l’interprete deve preventivamente individuare il “cuore”, ossia l’idea fondamentale che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela ed in cui si riassume la sua attitudine individualizzante, sicché devono ritenersi inidonee ad escludere l’illecito tutte le variazioni e modificazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano sussistere la confondibilità del nucleo ideologico-espressivo.

[Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha ritenuto che, sotto il profilo visivo e fonetico, i marchi delle parti in causa fossero, quanto al loro nucleo essenziale, del tutto identici, “in particolare per l’identità dei caratteri utilizzati, del colore, del motivo e dello sfondo; il fatto che il segno di parte convenuta presenti una lettera diversa non scongiura la somiglianza dei segni a confronto, atteso che il marchio rimane sostanzialmente inalterato”].

27 Ottobre 2022

Contratto di collaborazione professionale e sfruttamento illecito del noto marchio Sorbillo

Un marchio patronimico anteriore, di norma forte, non può essere inserito in un marchio o in una denominazione sociale altrui successiva, anche se corrispondente al nome del titolare, con riferimento a settori merceologici identici o affini, ovvero per attività economiche o intellettuali parallele a quelle contraddistinte dal marchio anteriore, a meno che tale inserimento sia conforme al principio di correttezza professionale. In particolare l’uso del marchio non è conforme agli usi consueti di lealtà in capo industriale e commerciale quando: avvenga in modo tale da far pensare che esista un legame commerciale fra i terzi e il titolare del marchio; pregiudichi il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà; arrechi discredito o denigrazione a tale marchio; il terzo presenti il suo prodotto come un’imitazione o una contraffazione del prodotto recante il marchio di cui egli non è il titolare.

[nel caso di specie l’utilizzo del patronimico “Sorbillo” da parte della società convenuta non ha alcuna valenza descrittiva né dell’attività né dei prodotti bensì si fonda esclusivamente sul contratto di collaborazione intercorso tra la stessa e il Sig. Sorbillo; pertanto, l’uso è prettamente a fini pubblicitari e conseguente illegittimo ai sensi dell’art. 20 e 22 cpi non essendo conforme al principio di correttezza professionale scriminante ex art. 21 cpi]

13 Giugno 2022

Rete di distribuzione selettiva, esaurimento del marchio e contraffazione

L’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere ricompresa tra i “motivi legittimi” ostativi all’esaurimento del marchio, a condizione che il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva e che sussista un pregiudizio effettivo all’immagine di lusso o di prestigio del marchio per effetto della commercializzazione effettuata da terzi estranei alla rete di distribuzione selettiva. Ne consegue che, in presenza delle suddette condizioni, il titolare di un marchio può opporsi, con l’azione di contraffazione, alla rivendita dei propri prodotti da parte di soggetti esterni alla propria rete di distribuzione selettiva, anche qualora costoro abbiano acquistato da licenziatari o da rivenditori autorizzati (Corte Giustizia UE, sentenza 23.4.2009, causa C-59/08). Tale principio – affermato in relazione a vendite di terzi estranei alla rete di distribuzione selettiva che tuttavia hanno acquisito i prodotti da appartenenti alla rete – appare del tutto applicabile anche nel caso di soggetti legati da rapporti contrattuali, attesa l’identità dei suoi presupposti e tenuto conto che la circolazione dei prodotti al di fuori della rete di distribuzione selettiva comporta danni all’immagine in relazione all’immissione in commercio del prodotto (ancorché originale) al di fuori della sfera di controllo della titolare del marchio (o nel caso di specie della società che agisce per essa sulla base delle attribuzioni ad essa affidate dalla titolare del marchio)

10 Giugno 2022

Contraffazione del marchio “forte”, giudizio di confondibilità e principio di unitarietà dei segni distintivi

La tutela del marchio ex art. 20 c.p.i. certamente contempla l’uso non autorizzato di segno uguale o simile al marchio registrato altrui per prodotti o servizi identici o affini, se ciò determina un rischio di confusione per il pubblico.
La tutela del marchio ai sensi dell’art. 20, lett. b), c.p.i., dopo la riforma del 1992, comprende non solo il rischio di confusione costituito dalla identità o somiglianza dei segni, accompagnato dall’identità o affinità dei prodotti o servizi contrassegnati, ma anche quello consistente nella semplice associazione dei due segni, tale per cui il pubblico possa essere tratto in errore circa la sussistenza, tra il titolare ed il contraffattore o l’usurpatore, di rapporti contrattuali o di gruppo.
Il principio della unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 c.p.i. non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale.

[Nel caso di specie, l’uso non autorizzato del segno “Vittoria” integra violazione delle privative attoree, in diretta usurpazione del marchio “Vittoria” ed in diretta contraffazione pure del marchio “Vittoria immobiliare”, sebbene composto, di cui la parola “Vittoria” costituisce il cuore, cioè a dire l’elemento distintivo, il nucleo ideologico-espressivo connotato di particolare attitudine individualizzante e distintiva. Il rischio di confusione permane benché alla parola “Vittoria” la convenuta abbia aggiunto la parola “costrizioni”, perché alla stregua di un giudizio in via globale e sintetica, tale aggiunta, peraltro meramente descrittiva del settore di attività, non è idonea a escludere la contraffazione del marchio “forte” quale è “Vittoria immobiliare”, il cui nucleo essenziale è da individuarsi nella parola “Vittoria”.]

La capacità distintiva propria di un marchio non viene meno a seguito della sua entrata nel linguaggio comune come “neotoponimo”

Ricorre l’ipotesi della “identità del marchio” anche quando un marchio d’impresa ne riproduca un altro, apportandovi differenze che – sulla base di una valutazione complessiva dei segni e tenendo conto del fatto che nella percezione del consumatore medio il confronto tra detti segni non è (normalmente) diretto, ma solo mnemonico – siano talmente insignificanti da poter passare inosservate. [Nel caso di specie, il marchio di parte convenuta “White Club Costa Smeralda” aggiunge al segno distintivo proprio del marchio della attrice (“Costa Smeralda”) le sole parole “White Club”; ed alla luce di quanto chiaritosi, deve ritenersi che tale aggiunta non sia capace di differenziare la percezione del segno, con conseguente sostanziale identità fra i due marchi.]

29 Marzo 2022

Principio di unitarietà dei segni distintivi e rischio di confusione tra marchi utilizzati nel settore moda

Secondo il principio di unitarietà dei segni distintivi, chi acquista diritti su un segno distintivo acquisterà diritti di esclusiva anche in relazione alle funzioni proprie degli altri segni, e ciò corrisponde alla ratio secondo cui i vari segni distintivi assolvono alla stessa funzione e, pertanto, è necessario regolare l’eventuale conflitto fra di essi. L’articolo 22 del c.p.i. recepisce tale impostazione ma subordina la sua operatività alla condizione della possibile confusione fra i segni distintivi posti in comparazione. In tema di marchio, poiché la ditta designa il nome sotto cui l’imprenditore esercita l’impresa, senza avere diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi resi dall’imprenditore, in ciò distinguendosi dal marchio, è consentito che una impresa inserisca nella propria ditta una parola che già faccia parte del marchio di cui sia titolare altra impresa, anche quando entrambe operino nello stesso mercato, ma non è lecito utilizzare quella parola anche come marchio, in funzione della presentazione immediata, o mediata attraverso forme pubblicitarie, dei prodotti o servizi offerti.

Domain name: principio di unitarietà dei segni e capacità distintiva

Il codice della proprietà industriale ha esplicitamente riconosciuto la natura di segno distintivo del nome a dominio, e ciò ha fatto introducendo all’art. 12 cpi il principio di unitarietà dei segni distintivi. Il principio di unitarietà dei segni distintivi comporta che sia da un lato vietato di registrare un marchio interferente (nei termini dell’art. 12 c.p.i.) con un precedente segno distintivo – quale un nome a dominio – già noto, e che dall’altro sia vietato utilizzare un segno distintivo interferente con un precedente marchio (nei termini dell’art. 22). Il nome a dominio, che non ha una propria specifica disciplina quale segno, deve rispettare, per la sua normativamente riconosciuta natura, il requisito della distintività. Per la valutazione di sussistenza della distintività si ritiene possano applicarsi i criteri dell’art. 13 c.p.i. in quanto applicabili. In forza di tale disciplina va esclusa la distintività, fra l’altro, per quei nomi che sono costituiti da denominazioni generiche di prodotti o servizi, o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscano. I segni non distintivi sono quelli che non sono idonei a indicare al pubblico l’origine di un prodotto o servizio.