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Art. 22 c.p.i.
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Azione di contraffazione del marchio: modalità di valutazione del rischio confusorio

La tutela prevista dall’art. 2598, comma 1, c.c., è cumulabile con quella specifica posta a protezione di segni distintivi tipici, trattandosi di azioni diverse per natura, presupposti, ed oggetto, stante il fatto che la prima ha carattere personale e presuppone la confondibilità con i prodotti del concorrente, mentre la seconda, a tutela delle privative industriali, ha natura reale ed opera anche indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti e prescinde da connotazioni soggettive.

Ai fini del giudizio di confondibilità, di cui dell’art. 20 c.p.i., il c.d. rischio confusorio deve essere accertato attraverso una valutazione globale, tenendo conto dell’impressione d’insieme che suscita il raffronto tra i due segni mediante un esame unitario e sintetico che tenga in considerazione diversi fattori, quali la identità/somiglianza dei segni, la identità/somiglianza dei prodotti e servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni concorrenti, in relazione al normale grado di percezione dei potenziali acquirenti del prodotto del presunto contraffattore.

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti, non deve avvenire in via analitica attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni elemento, ma in via globale e sintetica, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che deve essere condotta alla stregua della normale diligenza e avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro.

Una volta accertato il c.d. fumus boni juris, il periculum in mora è da ritenersi in re ipsa poiché la concorrenza confusoria comporta di per sé un drenaggio irreversibile di clientela e devalorizzazione o discredito dell’immagine commerciale e dei segni distintivi.

27 Marzo 2024

La convalidazione del marchio: presupposti e natura dell’istituto. Il caso Fiorentina

L’istituto della convalidazione del marchio disciplinato dall’art. 28 c.p.i. ha natura eccezionale. Pertanto, è necessario che il suo accertamento avvenga caso per caso e in modo rigoroso.

Benché debba ritenersi non sufficiente a integrare la malafede prevista dall’art. 28 c.p.i. la semplice conoscenza dell’esistenza del marchio anteriore altrui, la diffusione, la notorietà e l’affermazione presso il pubblico del segno anteriore consentono di affermare che vi sia, in capo al titolare del marchio posteriore, la volontà di confondersi o agganciarsi al segno anteriore.

Il responsabile delle attività di redazione di una testata giornalistica on-line è responsabile in solido con il titolare della stessa per gli illeciti di contraffazione e concorrenza sleale realizzati tramite i contenuti pubblicati, in quanto concorrente nella condotta illecita. Non rileva, ai fini dell’imputazione della responsabilità, l’assenza di malafede del redattore.

In presenza di un marchio debole, le modificazioni idonee ad escludere la confondibilità, seppur lievi, devono in ogni caso avere una valenza distintiva idonea a differenziare il marchio modificato dall’originario marchio debole [nel caso di specie non è stata considerata idonea l’aggiunta del top level domain “.it” nel marchio denominativo per differenziarlo dal marchio debole anteriore].

30 Giugno 2023

Rischio di confusione tra marchi appartenenti a società calcistiche

Possono ritenersi confondibili due marchi in cui risultano dominanti gli elementi uguali rispetto ai minoritari elementi di differenziazione, a fortiori se si considera che l’uso degli stessi avviene nel medesimo territorio e nel medesimo ambito di attività.

15 Maggio 2023

Contraffazione del marchio registrato: necessaria la prova del danno pena il rigetto della domanda risarcitoria

Nonostante la prova dell’avvenuta contraffazione del marchio, il relativo danno non può essere ritenuto sussistente in re ipsa e non può essere liquidato in via equitativa se parte attrice non fornisce alcun principio di prova della sua sussistenza, non essendo sufficiente limitarsi ad allegare generiche difficoltà riscontrate con la partecipazione ad eventi.

Il giudizio di contraffazione del marchio va svolto in via globale e sintetica, mediante un apprezzamento complessivo che tenga conto degli elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici.

 

13 Aprile 2023

Denominazione sociale e principio di unitarietà dei segni distintivi

L’art. 22 c.p.i. prevede il principio dell’unitarietà dei segni distintivi, in virtù del quale è vietato adottare come denominazione o ragione sociale “un segno uguale o simile all’altrui marchio, se a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.

Tale principio, pertanto, non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale [nel caso di specie, il Tribunale ha accertato la violazione dei marchi della società attrice in considerazione del fatto che la convenuta ha ripreso esattamente il cuore dei marchi attorei “forti”, senza utilizzare alcun elemento idoneo a differenziare il proprio segno dalle privative dell’attrice].

28 Dicembre 2022

Giudizio di confondibilità tra marchi d’impresa e variazioni che non alterano il nucleo ideologico-espressivo del segno

La confondibilità tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi, non deve essere “analitico”, bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, tenuto conto della normale diligenza ed avvedutezza dei consumatori.

La contraffazione rileva in relazione agli elementi essenziali del marchio; l’interprete deve preventivamente individuare il “cuore”, ossia l’idea fondamentale che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela ed in cui si riassume la sua attitudine individualizzante, sicché devono ritenersi inidonee ad escludere l’illecito tutte le variazioni e modificazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano sussistere la confondibilità del nucleo ideologico-espressivo.

[Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha ritenuto che, sotto il profilo visivo e fonetico, i marchi delle parti in causa fossero, quanto al loro nucleo essenziale, del tutto identici, “in particolare per l’identità dei caratteri utilizzati, del colore, del motivo e dello sfondo; il fatto che il segno di parte convenuta presenti una lettera diversa non scongiura la somiglianza dei segni a confronto, atteso che il marchio rimane sostanzialmente inalterato”].

27 Ottobre 2022

Contratto di collaborazione professionale e sfruttamento illecito del noto marchio Sorbillo

Un marchio patronimico anteriore, di norma forte, non può essere inserito in un marchio o in una denominazione sociale altrui successiva, anche se corrispondente al nome del titolare, con riferimento a settori merceologici identici o affini, ovvero per attività economiche o intellettuali parallele a quelle contraddistinte dal marchio anteriore, a meno che tale inserimento sia conforme al principio di correttezza professionale. In particolare l’uso del marchio non è conforme agli usi consueti di lealtà in capo industriale e commerciale quando: avvenga in modo tale da far pensare che esista un legame commerciale fra i terzi e il titolare del marchio; pregiudichi il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà; arrechi discredito o denigrazione a tale marchio; il terzo presenti il suo prodotto come un’imitazione o una contraffazione del prodotto recante il marchio di cui egli non è il titolare.

[nel caso di specie l’utilizzo del patronimico “Sorbillo” da parte della società convenuta non ha alcuna valenza descrittiva né dell’attività né dei prodotti bensì si fonda esclusivamente sul contratto di collaborazione intercorso tra la stessa e il Sig. Sorbillo; pertanto, l’uso è prettamente a fini pubblicitari e conseguente illegittimo ai sensi dell’art. 20 e 22 cpi non essendo conforme al principio di correttezza professionale scriminante ex art. 21 cpi]

13 Giugno 2022

Rete di distribuzione selettiva, esaurimento del marchio e contraffazione

L’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere ricompresa tra i “motivi legittimi” ostativi all’esaurimento del marchio, a condizione che il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva e che sussista un pregiudizio effettivo all’immagine di lusso o di prestigio del marchio per effetto della commercializzazione effettuata da terzi estranei alla rete di distribuzione selettiva. Ne consegue che, in presenza delle suddette condizioni, il titolare di un marchio può opporsi, con l’azione di contraffazione, alla rivendita dei propri prodotti da parte di soggetti esterni alla propria rete di distribuzione selettiva, anche qualora costoro abbiano acquistato da licenziatari o da rivenditori autorizzati (Corte Giustizia UE, sentenza 23.4.2009, causa C-59/08). Tale principio – affermato in relazione a vendite di terzi estranei alla rete di distribuzione selettiva che tuttavia hanno acquisito i prodotti da appartenenti alla rete – appare del tutto applicabile anche nel caso di soggetti legati da rapporti contrattuali, attesa l’identità dei suoi presupposti e tenuto conto che la circolazione dei prodotti al di fuori della rete di distribuzione selettiva comporta danni all’immagine in relazione all’immissione in commercio del prodotto (ancorché originale) al di fuori della sfera di controllo della titolare del marchio (o nel caso di specie della società che agisce per essa sulla base delle attribuzioni ad essa affidate dalla titolare del marchio)

10 Giugno 2022

Contraffazione del marchio “forte”, giudizio di confondibilità e principio di unitarietà dei segni distintivi

La tutela del marchio ex art. 20 c.p.i. certamente contempla l’uso non autorizzato di segno uguale o simile al marchio registrato altrui per prodotti o servizi identici o affini, se ciò determina un rischio di confusione per il pubblico.
La tutela del marchio ai sensi dell’art. 20, lett. b), c.p.i., dopo la riforma del 1992, comprende non solo il rischio di confusione costituito dalla identità o somiglianza dei segni, accompagnato dall’identità o affinità dei prodotti o servizi contrassegnati, ma anche quello consistente nella semplice associazione dei due segni, tale per cui il pubblico possa essere tratto in errore circa la sussistenza, tra il titolare ed il contraffattore o l’usurpatore, di rapporti contrattuali o di gruppo.
Il principio della unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 c.p.i. non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale.

[Nel caso di specie, l’uso non autorizzato del segno “Vittoria” integra violazione delle privative attoree, in diretta usurpazione del marchio “Vittoria” ed in diretta contraffazione pure del marchio “Vittoria immobiliare”, sebbene composto, di cui la parola “Vittoria” costituisce il cuore, cioè a dire l’elemento distintivo, il nucleo ideologico-espressivo connotato di particolare attitudine individualizzante e distintiva. Il rischio di confusione permane benché alla parola “Vittoria” la convenuta abbia aggiunto la parola “costrizioni”, perché alla stregua di un giudizio in via globale e sintetica, tale aggiunta, peraltro meramente descrittiva del settore di attività, non è idonea a escludere la contraffazione del marchio “forte” quale è “Vittoria immobiliare”, il cui nucleo essenziale è da individuarsi nella parola “Vittoria”.]

La capacità distintiva propria di un marchio non viene meno a seguito della sua entrata nel linguaggio comune come “neotoponimo”

Ricorre l’ipotesi della “identità del marchio” anche quando un marchio d’impresa ne riproduca un altro, apportandovi differenze che – sulla base di una valutazione complessiva dei segni e tenendo conto del fatto che nella percezione del consumatore medio il confronto tra detti segni non è (normalmente) diretto, ma solo mnemonico – siano talmente insignificanti da poter passare inosservate. [Nel caso di specie, il marchio di parte convenuta “White Club Costa Smeralda” aggiunge al segno distintivo proprio del marchio della attrice (“Costa Smeralda”) le sole parole “White Club”; ed alla luce di quanto chiaritosi, deve ritenersi che tale aggiunta non sia capace di differenziare la percezione del segno, con conseguente sostanziale identità fra i due marchi.]