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27 Settembre 2021

Legittimazione attiva e passiva nel giudizio ex art. 2598 cc e azione residuale ex art. 2043 cc

Presupposto per l’applicazione dell’art. 2598 cc (e , di conseguenza, del connesso regime probatorio più vantaggioso dato dall’applicazione della presunzione di colpevolezza di cui all’art 2600 ultimo comma) è l’esistenza di un “rapporto di concorrenzialità” fra l’autore e  la vittima dell’illecito.  Ai fini della sussistenza della condotta anticoncorrenziale è necessario che sia il soggetto attivo sia quello passivo delle condotte censurate siano imprenditori, talché la legittimazione attiva e passiva nel relativo giudizio ex art. 2598 è riconosciuta solo a chi possiede tale qualità. 

Il soggetto non imprenditore può comunque esser chiamato a rispondere dei danni conseguenti a comportamenti anticoncorrenziali a svantaggio dell’imprenditore, ma solo qualora tali condotte integrino un illecito ex art 2043, con la conseguenza che il regime di responsabilità applicabile a tali ipotesi è quello ordinario. 

 

9 Aprile 2020

Integra cumulativamente contraffazione e concorrenza sleale l’offerta al pubblico di prodotti importati extra-ue privi delle etichette originali

L’infrazione del divieto di importazione parallela extracomunitaria (non consenziente il titolare del marchio) unita alla successiva commercializzazione dei prodotti così importati certamente integra di per sé il presupposto della non conformità ai principi di correttezza professionale, per cui l’importazione parallela di merci originali, ma di provenienza extracomunitaria, è comunque illecita anche come atto contrario ai principi di correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda, secondo la fattispecie concorrenziale di cui all’art. 2598, n. 3, c.c.. In particolare, ove sia in dubbio il carattere propriamente “originale” dei prodotti (difettando il consenso del titolare del marchio), ciò consente il cumulo tra la tutela contro l’appropriazione di un marchio e la tutela presidiata dall’azione di concorrenza sleale: il medesimo fatto storico dà pertanto fondamento sia di un’azione reale, a tutela dei diritti di esclusiva sul marchio, sia anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia integrato i presupposti di cui all’art. 2598 c.c. [Fattispecie relativa all’offerta in vendita nella grande distribuzione di prodotti scolastici con le etichette olografiche del produttore rimosse o sostituite].

29 Ottobre 2019

Responsabilità dell’amministratore per concorso nella condotta illecita anticoncorrenziale

Dell’illecito di concorrenza sleale può essere chiamato a rispondere anche l’amministratore di s.r.l. ai sensi dell’art. 2476, co. 6,  se risultano provati la addebitabilità agli amministratori di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita, i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e il nesso eziologico tra gli addebiti formulati e i danni prospettati.

10 Gennaio 2019

Rapporti tra Enti associativi senza scopo di lucro e tutela del nome, del marchio e da condotta anticoncorrenziale

Per costante giurisprudenza, ai fini della applicabilità della disciplina della concorrenza sleale, la nozione di imprenditore deve essere interpretata in modo estensivo, così da ricomprendere anche associazioni ed enti che operino per scopi ideali e svolgano, senza fine di lucro, mediante un’organizzazione stabile, un’attività continuativa di natura obiettivamente economica.

Ai fini della configurazione del rapporto di concorrenzialità mentre l’assenza di scopo di lucro può essere irrilevante “l’identità del settore si deve desumere dal fatto che entrambe [le associazioni] offrono servizi alla platea delle piccole e medie imprese e che il supporto all’internazionalizzazione non costituisce che una species del genus dei servizi alle imprese”.

La sussistenza del rapporto di concorrenzialità “va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, l’offerta dei medesimi prodotti e servizi alla medesima clientela”.

La riproduzione illecita della denominazione sociale e del marchio denominativo di un Ente viola l’art. 2564 c.c. e l’art. 22 c.p.i.

L’appropriazione dei segni distintivi può determinare confusione fra l’attività ed i servizi [delle due imprese] che ove accertata consente di “ravvisare la concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 c.c. n. 1”.

24 Gennaio 2018

La tutela accordata al titolare della ditta

Ai sensi dell’art. 2564 c.c. – norma, posta a tutela del diritto dell’imprenditore al proprio segno distintivo costituito dalla ditta ed a proteggerlo dal pericolo di confusione, per effetto dell’uso, da parte di un altro imprenditore, di una ditta uguale o simile -, il titolare della ditta, che per primo, se si tratta di società commerciale, ha iscritto la ditta nel registro delle imprese, in presenza dell’uso da parte di impresa concorrente di un segno distintivo uguale o simile e laddove vi sia una confondibilità potenziale presso il pubblico, data dalla sovrapposizione dell’oggetto delle imprese concorrenti e del luogo di svolgimento dell’attività, ha diritto di pretendere che l’impresa concorrente integri o modifichi la ditta con indicazioni atte a differenziarla dalla propria.

La suddetta disposizione è poi richiamata, per i nomi sociali, dall’art. 2567 c.c. e, per le insegne, dall’art. 2568 c.c..

La tutela accordata al titolare della ditta dall’art. 2564 c.c., nel caso che altri faccia uso di ditta uguale o simile e ciò possa creare confusione per l’oggetto delle rispettive attività ed il luogo in cui sono esercitate, viene a concorrere con la tutela contro atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598 n. 1 c.c., .qualora, oltre alla suddetta confondibilità, sufficiente per l’applicazione del citato art.2564 c.c., si verifichi anche una situazione idonea ad arrecare pregiudizio, ad incidere cioè negativamente sul profitto che l’imprenditore tende ad ottenere attraverso l’esercizio dell’impresa.
Tale ultimo requisito, peraltro, non richiede un danno già prodottosi, in relazione ad un’attività concorrenziale in atto, e deve essere ravvisato anche in relazione ad una concorrenza potenziale, alla stregua di una estensione od espansione in futuro dell’attività imprenditoriale, che si presenti in termini non di mera possibilità, ma di rilevante probabilità (cfr. Cass. 1/3/1986 n. 1310).
L’interesse tutelato, nell’ ipotesi di cui all’ art. 2598 n. 1 c.c., che pone il divieto specifico di atti confusori inerenti i nomi e segni distintivi o i prodotti, è quello dell’imprenditore all’ identità commerciale, oltre al correlativo interesse dei consumatori contro gli sviamenti dagli stessi atti determinati, dovendosi invece ritenere estraneo alle finalità della norma l’interesse all’ esclusività dell’adozione di forme non distintive o aventi carattere funzionale. E’, infatti, meritevole di tutela, sotto il profilo della concorrenza sleale, anche l’aspetto caratteristico esteriore (il profilo, i colori caratteristici, la sagoma degli edifici) dell’organizzazione aziendale, avente valore distintivo dell’organizzazione in sé, in quanto comunemente proprio i colori, i simboli, i connotati esteriori del complesso aziendale, nella loro impressione di insieme, presenti costantemente in una data organizzazione e non rispondenti ad esigenze funzionali, esercitano una funzione di richiamo a distanza del consumatore, il quale, quando rinviene uno o più di detti elementi, si attende di rinvenire gli altri o di trovarsi di fronte ad una sede di una data azienda ed è indotto a presumere che il prodotto ivi commercializzato provenga da quella certa impresa. Sotto questo profilo particolarmente rilevante è l’insegna, quale segno distintivo del locale dove si svolge l’attività imprenditoriale.