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Maddalena Vaiano

Maddalena Vaiano

Avvocato in Bologna - Studio Legale Associato Demuro Russo

15 Giugno 2025

Sulla applicabilità dell’art. 2381 c.c. alle s.r.l.

Quanto all’applicazione alle s.r.l. dell’art. 2381 c.c. a seguito dell’introduzione nell’art. 2475 c.c. di un ulteriore comma ad opera del D. Lgs. n. 14/2019 secondo cui anche all’amministrazione delle s.r.l. “si applica, in quanto compatibile, l’art. 2381” c.c., deve osservarsi che il rinvio alla disciplina delle s.p.a. non è puro e semplice ma è accompagnato da una clausola di compatibilità, cosicché l’interprete non dovrà applicare rigidamente l’art. 2381 c.c., ma dovrà tener conto delle peculiarità del modello delle s.r.l. rispetto alle s.p.a.. In altri termini, l’inserimento del richiamo all’art. 2381 c.c. non ha fatto venir meno né la valorizzazione dell’autonomia statutaria delle s.r.l. né la volontà del legislatore di differenziarle dalle s.p.a. attraverso l’adozione di modelli di governance più agili che costituirono due delle linee guida che ispirarono la riforma del 2003. In quest’ottica, deve ritenersi che il richiamo all’art. 2381 c.c. inserito dal D. Lgs. n. 14/2019 non precluda l’inserimento negli statuti di s.r.l. di clausole che predeterminino una ripartizione di funzioni tra Presidente e Consiglio di Amministrazione, proprio perché devono ritenersi prevalenti le esigenze di valorizzazione dell’autonomia statutaria e delle specificità del modello della s.r.l. Ciò che potrà dirsi precluso, al più, è l’attribuzione da parte dello statuto alla competenza esclusiva del Presidente di quelle funzioni che devono essere necessariamente collegiali e non possono essere delegate dal Consiglio di Amministrazione. Se entrambi i contraenti chiedono la risoluzione del contratto (nel caso di specie, del patto parasociale) contestandosi reciproci inadempimenti, il giudice è chiamato a verificare la sussistenza degli inadempimenti e, laddove li riconosca come esistenti, dovrà svolgere una valutazione su quale abbia carattere prevalente, pronunciando la risoluzione in favore della parte che abbia subito l’inadempimento prevalente, con esclusione della possibilità di riconoscere colpe contestuali. [ Continua ]

Amministratore di fatto: indici sintomatici

La nozione di amministratore di fatto postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e l’inserimento del soggetto nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, anche in assenza di una qualsivoglia investitura. A tal fine, pur non essendo necessario l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, lo svolgimento dell’attività gestoria deve avvenire in modo sufficientemente sistematico e non può esaurirsi nel compimento di alcuni atti aventi carattere eterogeneo, episodico o occasionale. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, dunque, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi ed ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale, ma con caratteri di sistematicità e completezza. [ Continua ]
19 Maggio 2025

Conflitto di interessi, curatore speciale, impugnativa della delibera di S.r.l. per abuso di maggioranaza

Non sussiste un conflitto immanente d'interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, tenuto conto che, in tali giudizi, il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società in persona di chi ne ha la rappresentanza legale, né è fondata una valutazione del menzionato conflitto in capo all'amministratore che rappresenti in giudizio detta società, solo in ragione del fatto che la deliberazione impugnata ha ad oggetto profili di pertinenza di quest'ultimo (come avviene per l'approvazione del bilancio, redatto dall'organo gestorio, o per la determinazione del compenso spettante ex art. 2389 c.c. o per l'autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.), poiché ravvisare in tali ipotesi una situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale in tutte (o quasi tutte) le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari (o consiliari), con l'effetto distorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale, l'esautoramento dell'organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.   La circostanza che l’amministratore abbia redatto la situazione patrimoniale oggetto di impugnativa non è certamente idonea ad integrare un confitto di interessi con la società convenuta; diversamente opinando, sussisterebbe tale conflitto tutte le volte in cui sia impugnato un bilancio redatto dall’amministratore in carica al momento in cui viene proposta l’impugnazione. Del pari, la circostanza che l'amministratore sia il socio di maggioranza non integra, di per sé sola, la sussistenza di un conflitto di interessi con la società.   Il conflitto di interessi di cui all’art. 78 cpv. c.p.c. sussiste in tutti e soli i casi in cui vi sia un contrasto fra la società e il suo legale rappresentante, per essere quest’ultimo giuridicamente (e non solo in via di fatto) e direttamente interessato ad un esito della lite diverso da quello che possa invece avvantaggiare l’ente; tale giuridico conflitto non sussiste, invece, quando gli interessi confliggenti appartengano in realtà ai soci o a gruppi di essi, dei quali alcuni, fisiologicamente dissenzienti ma minoritari e altri, maggioritari, che abbiano concorso con il loro voto all’adozione di determinate decisioni assembleari o ad esprimere l’organo amministrativo.   La perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c., che rimane inalterata, in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'istante assume essere "contra legem" e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.   Una deliberazione assembleare può essere annullata, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera – deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente – in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della deliberazione, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per una soluzione dissolutiva.   Nell’ambito della disciplina delle delibere assembleari, la regola della maggioranza, secondo cui i soci dissenzienti di minoranza si trovano vincolati alla decisione adottata, trova il suo limite nel necessario rispetto dei principi di correttezza a buona fede, che trovano espressione anche nell’esecuzione del contratto sociale, posto che, ove la maggioranza abbia espresso il suo voto in modo arbitrario e tale da ledere ingiustificatamente gli interessi della minoranza, la delibera medesima potrà essere legittimamente impugnata. L’abuso di maggioranza costituisce, in estrema sintesi, un vizio che va ad inficiare una delibera il cui profilo di invalidità consiste appunto nell’avere piegato fraudolentemente la maggioranza ad un proprio interesse personale, in danno di un altro socio, senza che l’operazione sia assistita da un interesse sociale. In altre parole, l’elemento di discrimine tra legittima soggezione della minoranza al principio maggioritario ed abuso di detto principio, tale da rendere arbitrario e ingiustificato il voto apparentemente vincolante, è la ricorrenza dell’interesse sociale: ove nel voto espresso dalla maggioranza non si possa individuare alcun interesse sociale, il pregiudizio sopportato dalla minoranza potrà considerarsi arbitrario ed ingiustificato, diversamente dal caso in cui il sacrificio della minoranza sia giustificato dal superiore interesse sociale. [ Continua ]
28 Febbraio 2025

Domanda di nomina di un nuovo Trustee

Il principio di tipicità dei procedimenti di volontaria giurisdizione non osta alla possibilità della nomina giudiziaria del trustee, ove tale competenza giudiziaria sia prevista dalla legge straniera scelta dalle parti in sede di istituzione del trust. L’acquisto della legittimazione all’esercizio dei diritti connessi alla qualifica di beneficiario discende dal momento dell’iscrizione del nominativo del beneficiario nel relativo registro. [ Continua ]
Codice RG 2729 2023

Determinazione del prezzo dell’opzione di vendita della quota di partecipazione mediante arbitraggio

Non è soggetta alla giurisdizione arbitrale l'istanza di nomina di un perito prevista in un patto parasociale per la determinazione del valore di una partecipazione oggetto di un'opzione di vendita da parte di un socio. La diversità di funzioni tra gli istituti dell’arbitrato e dell’arbitraggio - composizione di una lite quanto al primo, integrazione del contenuto negoziale quanto al secondo – comporta che presupposto fondamentale dell’arbitrato è l’esistenza di un rapporto controverso che invece difetta nell’arbitraggio. Ove una clausola del patto parasociale preveda una modalità per stabilire il prezzo da pagare a seguito dell’esercizio dell’opzione e, quindi, per integrare il contenuto del contratto mediante l’individuazione di un suo elemento (in particolare, il corrispettivo), si è in presenza di arbitraggio che ha ad oggetto l’incarico di determinare uno degli elementi del negozio in via sostitutiva della volontà delle parti. La procedura per la nomina dell’arbitratore dev’essere seguita anche nel caso sorga tra le parti una controversia circa la validità e l’efficacia di un contratto di compravendita tramite cui sia stato dalle parti convenuto di affidare ad un terzo la determinazione del prezzo secondo la previsione dell’art.1473 c.c.. Ai sensi dell'art.1473, 2°c., c.c., del resto, si procede alla nomina dell’arbitratore in sede di volontaria giurisdizione a prescindere dai motivi che non hanno portato alla nomina congiunta del medesimo. L'esercizio dell'opzione di vendita (put option) da parte di un socio in relazione alla propria partecipazione sociale comporta il perfezionamento del contratto. [ Continua ]
24 Ottobre 2024

La nomina del liquidatore nelle società di persone

La nomina del liquidatore spetta ai soci, potendo provvedervi ex lege il presidente del tribunale, o il tribunale in composizione collegiale in caso di società di capitali, quando i soci non siano in grado di raggiungere le maggioranze richieste per detta nomina. È possibile procedere alla nomina anche quando, pur non essendo stato il ricorso preceduto dalla convocazione dell'assemblea o dalla consultazione dei soci, possa comunque presumersi che i soci non siano in grado di addivenire a detta nomina con le richieste maggioranze. [ Continua ]
1 Luglio 2024

Impugnazione della delibera assembleare di distribuzione degli utili

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione. Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi dell’art. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili. Fermo restando che il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile. [ Continua ]
24 Ottobre 2024

Il recesso del socio di società consortile

Quando vi sia controversia su un presupposto, il tribunale adito in sede di volontaria giurisdizione, al solo fine di decidere sull'istanza proposta e quindi in via incidentale, deve risolvere la questione controversa e provvedere sulla domanda proposta in sede di volontaria giurisdizione, fermo restando il diritto di chi vi abbia legittimazione e interesse a proporre giudizio contenzioso a cognizione piena, per ottenere l’accertamento con forza di giudicato su quella questione e ottenere così la rimozione del decreto camerale e dei suoi effetti. [Nel caso di specie, la nomina dell’estimatore per la valutazione del valore della quota della socia receduta presuppone che venga risolta la questione se in una società consortile con forma di s.r.l. debba applicarsi l'art. 2473, co. 3, c.c.]. La forma societaria adottata dalla società consortile non può esser ignorata, non potendosi ammettere che vengano stravolti in ragione della causa consortile i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale. Tuttavia, non è escluso che a determinati effetti l'inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un'implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l'applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile. [ Continua ]
3 Luglio 2024

I presupposti della responsabilità del socio di s.r.l. ex art. 2476, co. 8, c.c.

Affinché il socio di s.r.l. sia responsabile solidalmente con l’amministratore ex art. 2476, co. 8, c.c. occorre che abbia intenzionalmente deciso o autorizzato atti dannosi per la società, per i soci o per i terzi. Le espressioni “decidere” e “autorizzare” assumono valore in considerazione della specifica disciplina normativa riferita dal codice civile alle s.r.l. e tale responsabilità sussiste anche nell’ipotesi in cui, in assenza di un conferimento formale al socio di potere gestorio, questi abbia di fatto concorso nell’operazione intrapresa dall’amministratore, ovvero abbia espresso la propria approvazione in termini autorizzativi, quindi ex ante. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2476, co. 8, c.c. e formalizzato dall’uso del termine “intenzionalmente”, esso introduce, in sostanza, un limite alla responsabilità dei soci: occorre, infatti, che si provi il dolo degli stessi, i quali dovrebbero aver previsto e voluto l’atto (deciso o autorizzato) dannoso per la società. Pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità solidale del socio è richiesta una specifica connotazione soggettiva dell’agire del socio stesso, il quale potrà essere coinvolto nella responsabilità degli amministratori solo con riferimento ad atti gestori dannosi decisi o autorizzati nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell’atto e delle possibili conseguenze, non essendo invece sufficiente la mera volontà di intervenire nella gestione della società. In tal senso, l’esercizio del diritto di voto in assemblea, ivi compreso quella di approvazione del bilancio, costituisce prerogativa della qualità del socio che non appare censurabile di per sé ai fini della responsabilità di cui all’art. 2476, co. 8, c.c., in assenza di ulteriori elementi di allegazione o prova in ordine all’ingerenza nell’attività gestoria. [ Continua ]