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Art. 2486 c.c.
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Responsabilità degli amministratori non esecutivi

Ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rileva non già il momento in cui il presupposto dell’azione prevista dall’art. 2394 c.c. è effettivamente conosciuto dai creditori sociali, ma il momento in cui il presupposto di quell’azione diviene da loro oggettivamente percepibile, con due precisazioni: in primo luogo, questo presupposto riguarda l’insufficienza della garanzia patrimoniale generica della società e non corrisponde perciò né allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale; in secondo luogo, il momento in cui questo presupposto diviene oggettivamente conoscibile dai creditori sociali non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, ma può collocarsi tanto anteriormente quanto posteriormente ad essa.
L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione quinquennale, può risultare dal bilancio sociale che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere. Sicché spetta al giudice di merito, con un apprezzamento in fatto insindacabile in cassazione, accertare se la relazione dei sindaci al bilancio che abbia evidenziato l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci – a fronte della quale l’assemblea abbia comunque deliberato la distribuzione di utili ai soci, senza rilievi da parte degli organi di controllo -, sia idonea a integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale.

In tema di responsabilità degli amministratori, l’assenza di delega non esonera di per sé da responsabilità, poiché sugli amministratori grava l’obbligo di verificare e controllare il corretto esercizio della delega conferita ad altri. Di fatti, ai sensi dell’art. 2381, co. 3, c.c., i componenti del CdA deleganti sono comunque tenuti a valutare l’operato dei delegati, richiedere informazioni, impartire direttive, avocare a sé il compimento di atti, tutti doveri che si riflettono nella responsabilità solidale degli amministratori, prevista dall’art. 2392, co. 2, c.c. nel caso in cui pur essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno adottato le misure idonee a impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

La responsabilità dell’amministratore non esecutivo si configura come condotta omissiva colposa, laddove la colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare i cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui gestione personalistica.

L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera posizione di garanzia, ma risponde per una propria condotta omissiva consistente nel mancato esercizio dei poteri impeditivi che l’ordinamento gli riconosce, quali, ad esempio, le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art. 2409 c.c., nella formulazione ante riforma.

Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate, che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto, ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive e aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.

In tema di responsabilità dei sindaci, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate ovvero denunciandole al tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c.

La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità

L’azione sociale di responsabilità si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte, dolose o colpose, degli amministratori, poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Per gli amministratori di una società a responsabilità limitata, al pari di quelli delle società per azioni, è richiesta non la generica diligenza del mandatario, cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, co. 2, c.c. per il professionista.

La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e i sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Invero, spetta all’attore l’onere dell’allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, co. 2, l.fall., la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.

I cc.dd. criteri del deficit fallimentare e dei netti patrimoniali di cui all’art. 2486, co. 3, c.c. è applicabile anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore della norma.

13 Maggio 2024

Responsabilità di amministratori, sindaci e revisore

Gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole anti doveroso altrui e il nesso causale tra i medesimi e, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano indicati all’art. 2392 c.c. La norma stabilisce che la colpa può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere immuni da colpa. La regola della responsabilità solidale e presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio viene meno, però, a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno. Permane ai sensi dell’art. 2381 c.c. il dovere di vigilare sul generale andamento della società rispetto al quale non ha alcun rilievo il difetto di delega, salva la prova che gli altri consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio.

I presupposti della responsabilità dei sindaci, in concorso con quella degli amministratori, sono: la commissione, da parte degli amministratori, di un atto di mala gestio, la derivazione causale da tale atto di un danno a carico della società ex art. 2393 c.c., la derivazione di un danno dall’omessa o inadeguata vigilanza sull’operato degli amministratori da parte dei sindaci. Compito essenziale ex art. 2403 c.c. dell’organo di controllo è di verificare, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c., il rispetto dei principi di corretta amministrazione, controllando in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nell’osservanza di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto. I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza, si estendono a tutta l’attività sociale in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello concorrente dei creditori sociali. Il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia; si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori e impeditivi affidatigli dalla legge.

L’esercizio del controllo da parte del revisore nelle società di capitali è finalizzato ad assicurare la verifica della corretta appostazione dei dati contabili nel bilancio della società e, di conseguenza, della corretta gestione contabile dell’ente, al fine di assicurare la conoscibilità, in capo ai terzi, delle effettive modalità di gestione contabile e dell’oggettività del patrimonio. Il revisore nello svolgimento della sua funzione deve necessariamente operare un controllo sulla correttezza e congruità di tutte le voci di bilancio. Proprio in funzione della peculiare ampiezza e incisività del controllo affidato al revisore contabile si prevede che esso risponda, in solido con gli amministratori, nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Non si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma anche il revisore risponde in solido con l’organo gestorio nei limiti del contributo effettivamente dato al danno.

Nell’ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge lo scioglimento della società si produce automaticamente e immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione regressiva della società, da deliberarsi con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto costitutivo. Il danno derivante dall’inerzia dell’organo gestorio a fronte della perdita del capitale sociale è un danno per i creditori sociali ed è rappresentato dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società (già in situazione di deficit) con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori.

Per quanto attiene alla conservazione del capitale sociale è evidente l’esigenza che per tutta la durata della società persista quell’ammontare di risorse investite dai soci su cui si localizza, in via primaria, il rischio di impresa. In mancanza, nell’ipotesi in cui i soci non abbiano più nulla da perdere, non si può consentire la prosecuzione di un’iniziativa che altrimenti proseguirebbe ad esclusivo rischio di creditori sociali. Occorre in altri termini assicurare in ogni momento della vita sociale che il potere di direzione dell’iniziativa sia controbilanciato dalla esposizione al rischio. Gli artt. 2446 e 2447 c.c. esprimono principi fondamentali della attività economica di impresa in forma sociale: la tempestiva rilevazione di una situazione di crisi, con l’attivazione di procedure idonee a prevenirne l’aggravamento e l’immediato blocco di nuove operazioni imprenditoriali quando non sussista più quel minimo di investimento che è il presupposto per il regime di responsabilità limitata dei soci.

15 Aprile 2024

Responsabilità dell’amministratore per prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione

La prosecuzione con una nuova società di un’impresa in stato di decozione, senza affrontare e risolvere le cause che hanno determinato la crisi, è operazione che, malgrado il principio di normale insindacabilità nel merito delle scelte gestorie, obbliga gli amministratori a  rispondere del pregiudizio arrecato perché compiuta senza alcuna diligenza nel preventivo apprezzamento dei margini di rischio ad essa connessi.

La responsabilità solidale prevista dall’art. 2112, co. 2, c.c. presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori.

La mancata o irregolare tenuta della contabilità non è in sé causa di danno risarcibile, poiché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro mancata o scorretta registrazione in contabilità. Ai fini risarcitori, dunque, occorre ulteriormente domandarsi se e quale pregiudizio sia potenzialmente ricollegabile a tale specifica violazione in termini di danno emergente o di lucro cessante a carico del patrimonio sociale e, una volta assolto l’onere della prova circa l’esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale, la mera mancanza di scritture contabili o la loro scarsa intellegibilità, ove effettivamente preclusiva di una ricostruzione specifica del danno cagionato al patrimonio sociale, può fungere semmai da criterio equitativo ai sensi dell’art. 2486 c.c., co. 3, c.c., dispensando non già dalla prova dell’inadempimento degli amministratori e del pregiudizio arrecato al patrimonio della società, ma soltanto dalla prova precisa del quantum debeatur.

5 Aprile 2024

Elementi identificativi della figura dell’amministratore di fatto e responsabilità risarcitoria

L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur formalmente privo della qualifica di amministratore, non essendo stato nominato dall’assemblea, ne esercita sostanzialmente le funzioni decisorie, impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.

La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.

Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per danni eventualmente cagionati; all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex artt. 2392-2395, e 2476, c.c. in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi.

29 Marzo 2024

Responsabilità per aggravamento del dissesto e quantificazione del danno

La qualifica di amministratore di fatto può essere desunta dalla compresenza di indici sintomatici quali la conservazione del potere di firma ad operare sui conti correnti sociali, la conservazione della disponibilità delle auto di proprietà della società e il compimento, da parte di quest’ultima, di operazioni straordinarie aventi come effetto, anche indiretto, quello di recare esclusivo vantaggio a soggetti che formalmente non rivestono la carica di amministratori della società.

Nel contesto dell’esercizio di un’azione di responsabilità avanzata nei confronti di più amministratori, il tempestivo atto interruttivo della prescrizione rivolto a uno solo di questi è idoneo a interrompere il decorso del termine di prescrizione anche nei confronti degli altri amministratori, in virtù della natura solidale di tale obbligazione.

In presenza di una causa di scioglimento della società e di contestuale violazione dell’obbligo, gravante sugli amministratori, di attenersi a una gestione meramente conservativa dell’integrità patrimoniale, la mancanza della contabilità sociale , o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile, giustifica di per sé la condanna degli amministratori al risarcimento del danno in sede di azione di responsabilità promossa dalla società. In tale ipotesi gli amministratori agiscono in violazione di specifici obblighi di legge, idonei a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale e ad invertire l’onere della prova, normalmente gravante sul curatore, circa l’esistenza del rapporto di causalità tra condotta illecita degli amministratori e conseguente pregiudizio economico.

Qualora l’assenza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore quantificare il danno conseguente agli inadempimenti degli amministratori che hanno contribuito ad aggravare il dissesto, il curatore può chiedere al giudice una liquidazione in via equitativa che tenga conto della differenza tra passivo accertato e attivo realizzato nella procedura.

Accertata l’ingiustificata mancanza di determinati beni la cui esistenza è provata in epoca anteriore al fallimento, si presume che il fallito li abbia dolosamente distratti. Tale presunzione è rafforzata dalla mancanza di una corretta tenuta delle registrazioni contabili che rende impossibile la ricostruzione del movimento degli affari del fallito.

Azione di responsabilità: prescrizione, C.T.U. e riduzione del capitale sociale per perdite

In materia di azione di responsabilità dei creditori sociali ex artt. 2394 e 2476, co. 6, c.c. sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra la data di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di insolvenza che può essere vinta dall’amministratore convenuto dimostrando l’insorgenza e l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i creditori in una data diversa, anteriore, a quella di dichiarazione di fallimento.

Il bilancio d’esercizio, anche quando espone delle perdite, non necessariamente conduce alla diretta conoscibilità dell’insufficienza patrimoniale da parte dei creditori e ciò in quanto i valori espressi nelle voci di bilancio – per espressa previsione dell’art. 2426 c.c. in materia di criteri di redazione – possono non coincidere con quelli di mercato.

In ogni consulenza tecnica, anche contabile, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio, il consulente può acquisire – anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti stesse – tutti i documenti che è necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare  e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio.

La rinuncia al credito da parte dei soci che incrementi il patrimonio netto (in ossequio al principio contabile OCI 18) ovvero gli apporti di capitale da parte dei soci che intervengano prima dell’assemblea che l’organo amministrativo ha l’obbligo di convocare senza indugio ai sensi dell’art. 2482 ter c.c., consentono all’assemblea stessa di evitare la riduzione del capitale sociale per perdite e il contemporaneo aumento del capitale sociale, in ragione della sopravvenienza attiva posteriore alle perdite che incrementa il patrimonio netto, posto che detta sopravvenienza attiva utilizzata per assorbire le perdite anteriori sterilizza dette perdite e la necessità, dunque, di ricorrere alla ricostituzione mediante riduzione nominale e successivo aumento di capitale resi inutili dalla già intervenuta patrimonializzazione.

Per poter far venir meno la necessità della convocata assemblea ex art. 2482 ter c.c. di procedere con riduzione e aumento del capitale, gli apporti di capitale dei soci devono essere effettuati con certezza, dovendo risultare eventi migliorativi della situazione patrimoniale della società, ancorché atipici, effettivamente intercorsi fra la data di convocazione e l’assemblea stessa.

Azione di responsabilità del curatore fallimentare nei confronti degli amministratori di s.r.l.

Quando l’amministratore sia inadempiente degli obblighi fiscali formali e sostanziali che gravano sulla società amministrata e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde verso la società stessa del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società.

Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per omesso pagamento delle imposte

L’amministratore della società è onerato dell’adempimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali, assistiti da sanzioni amministrative e penali, che gravano sulla società amministrata. Quando l’amministratore sia inadempiente all’assolvimento degli obblighi fiscali formali e sostanziali e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde, verso la società stessa, del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo invece l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società. L’amministratore risponde di questo danno sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui la società era in bonis – poiché, in tal caso, il pregiudizio subito dalla società dipende proprio e soltanto dalla negligenza dell’amministratore nell’adempiere ai doveri sopra indicati –, sia per gli inadempimenti occorsi nel periodo in cui, perduto il capitale, l’attività della società è illegittimamente proseguita a fini non conservativi. In tal caso, infatti, il danno alla società è dovuto al fatto che l’amministratore ha proseguito illegittimamente l’attività economica della società così determinando il verificarsi dei presupposti per l’insorgere dei debiti fiscali poi non onorati.

Il periculum in mora nel sequestro conservativo

Il fondato timore di perdere le garanzie del credito, necessario per la concessione di un sequestro conservativo, può essere provato per il tramite di elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, fermo restando, però, che la semplice insufficienza del patrimonio del debitore può non essere decisiva ai fini della concessione del sequestro, poiché la specificità della cautela consiste nell’assicurare la fruttuosità della futura esecuzione forzata contro il rischio di depauperamento del patrimonio nelle more del giudizio ed è quindi necessario che esistano circostanze oggettive (quali protesti, pignoramenti, azioni esecutive iniziate da altri creditori, ecc.) che facciano temere l’impoverimento del debitore nelle more del giudizio. Inoltre, il periculum in mora può essere provato anche con elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio, sottraendolo all’esecuzione forzata.