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Art. 2485 c.c.
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8 Febbraio 2023

Responsabilità degli amministratori per illecita prosecuzione dell’attività economica dopo il verificarsi di una causa di scioglimento

Nel caso cui gli amministratori, convenuti nel giudizio di responsabilità per illecita prosecuzione dell’attività sociale nonostante la perdita del capitale sociale, oppongano rifiuto alla richiesta del ctu di acquisire la documentazione contabile mancante, tale carenza di documentazione va a discapito degli amministratori stessi. Invero, non vi è un obbligo per la società di depositare tutto quanto in suo possesso, essendo sufficiente depositare quei documenti che possono fondare una domanda di risarcimento per inadempimento del mandato; è invece interesse degli amministratori che le scritture contabili siano integralmente depositate, poiché è solo attraverso esse che possono giustificare i movimenti finanziari e patrimoniali della società e dimostrare la correttezza del loro operato.

In questa ipotesi di responsabilità, è perfettamente legittima l’applicazione del criterio della differenza fra i patrimoni netti ai fini della quantificazione del danno.

14 Ottobre 2022

Sequestro conservativo di quote a seguito del fallimento della società

Nel caso in cui, a seguito della perdita integrale del capitale sociale, l’assemblea non adotti gli opportuni provvedimenti (ossia non deliberi la riduzione con contestuale aumento, lo scioglimento o la trasformazione), è esclusiva responsabilità dell’amministratore procedere ad accertare tempestivamente la sussistenza della causa di scioglimento e provvedere all’iscrizione dello scioglimento al registro. Non può invece configurarsi una responsabilità dei soci che, anziché provvedere agli adempimenti imposti dalla legge, abbiano riportato a nuovo la perdita di esercizio che erodeva completamente il capitale sociale.

Rientra pacificamente tra gli atti conservativi che possono essere compiuti dal creditore particolare del socio anche il sequestro conservativo di cui all’art. 671 c.p.c. sulla quota di liquidazione spettante al socio.

Le sezioni specializzate non sono competenti a conoscere della domanda di revocatoria degli atti di donazione di quote, in quanto l’art. 3, comma 3 del D.lgs. n. 168/2003 (nel prevedere la competenza delle sezioni specializzate anche per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2) deve esser interpretato in maniera restrittiva e riguarda quindi le sole ipotesi di connessione forte, rimanendo sottratta all’ambito della norma citata tanto la connessione propria debole per titolo od oggetto ex art. 33 c.p.c., quanto la connessione c.d. “impropria” o per mero cumulo oggettivo di domande diverse proposte nei confronti della stessa parte.

 

14 Aprile 2022

Quantificazione del danno per indebita prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento

Il danno arrecato alla società ed ai creditori sociali per l’indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento, nell’impossibilità di un più preciso conteggio, può quantificarsi, secondo i criteri consolidati nella più recente giurisprudenza di legittimità, nella differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.

29 Marzo 2022

Responsabilità dell’amministratore ex art. 2485 c.c. e mancata restituzione del ramo d’azienda in affitto

L’amministratore di S.r.l. che abbia ritardato nel rilevamento e accertamento delle condizioni di scioglimento della società per erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale ex art. 2484, co. 1, n. 4 c.c. omettendo l’assunzione di una delibera di aumento del capitale al di sopra del minimo ex art. 2482 ter c.c., di scioglimento o di attivazione di una procedura concorsuale per la soddisfazione dei creditori, è responsabile per il danno derivante dalla violazione dei doveri in qualità di amministratore ai sensi dell’art. 2485 c.c. laddove egli abbia omesso di restituire il ramo d’azienda in affitto già dal momento in cui l’attività caratteristica non poteva più continuare,  in considerazione dell’andamento negativo e l’aumento esponenziale dei debiti già desumibile dai bilanci degli esercizi precedenti che avrebbe richiesto piuttosto una gestione in chiave conservativa e liquidatoria, determinando per il locatore una perdita per i canoni insoluti anche tenuto conto della possibilità di affittare il ramo d’azienda a terzi a pari condizioni.

15 Dicembre 2021

Utilizzabilità della c.t.u. e inadempimento dell’amministratore nell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall.

Nell’ambito di un’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., è inutilizzabile la c.t.u. contabile nella parte in cui sia finalizzata a svolgere indagini ricostruttive della documentazione copiosa e determinante depositata dalla parte in sede di apertura dei lavori peritali. Invero, essendo la c.t.u. uno strumento di conoscenza di fatti, ne deriva che possa avere ad oggetto solo fatti e documenti già versati in atti nel rispetto dell’art. 2697 c.c. La consulenza tecnica non può infatti diventare uno strumento con il quale le parti possono aggirare le decadenze dagli obblighi di allegazione fattuale e deposito documentale in cui sono eventualmente incorse.

È certamente inadempiente e come tale direttamente responsabile l’amministratore che abbia sistematicamente omesso il versamento di tributi e oneri previdenziali, al quale è tenuto ex art. 2392 c.c., gravando il bilancio della società di sanzioni ed interessi che non vi sarebbero stati in presenza di adempimento.

30 Novembre 2021

Principi sostanziali e processuali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci

Il potere-dovere di controllo dei sindaci non è limitato alla sola verifica del rispetto della legge e dello statuto, ma si estende alla valutazione dei principi di corretta amministrazione, compresa la verifica che il procedimento decisionale che ha determinato l’organo amministrativo nella scelta di gestione sia completo e corredato di tutte le informazioni del caso concernenti i potenziali rischi nel contesto della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società. Inoltre, il dovere di vigilanza e controllo dei sindaci, pur non potendo travalicare sulla opportunità e la convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato agli amministratori, si estende alla legittimità sostanziale dell’attività sociale.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.

Affinché si configuri la violazione del dovere di vigilanza da parte dell’organo di controllo, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, eventualmente anche mediante la denuncia al tribunale di cui all’art. 2409 c.c.

Il vincolo solidale ex art. 2055 c.c. tra sindaci e amministratori trova il proprio presupposto nell’unicità dell’evento dannoso, ancorché determinato dall’azione/omissione di più soggetti e indipendentemente dalla colpa (intesa come apporto causale) di ciascun partecipe, la quale rileva unicamente nei rapporti interni per l’eventuale regresso. Infatti, il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato.

Per dimostrare l’esistenza di una supersocietà di fatto che abbia eterodiretto altre società, abusando del proprio potere direzionale e di controllo, non è sufficiente la prova della sussistenza di un operare concertato e finalizzato, né della circostanza che i componenti di una stessa famiglia si siano alternati nei ruoli gestori in più società, connotazioni di per sé non anomale in un contesto di gruppo societario di fatto.

È improduttiva di effetti giuridici, perché tardiva, la costituzione in giudizio del convenuto che, a seguito di interruzione del processo e successiva riassunzione, si sia costituito con il deposito della comparsa conclusionale: con la rimessione della causa al collegio ex art. 190 c.p.c. solo le parti già ritualmente costituite possono interloquire con gli scritti conclusivi e non sono ammissibili ulteriori attività processuali; ne consegue che, espletate le attività ex art. 190 c.p.c., la parte contumace non può più costituirsi in giudizio e l’eventuale costituzione nei termini assegnati per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche va dichiarata inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame dell’atto eventualmente depositato.

5 Novembre 2021

Condotte distrattive e quantificazione del danno derivante dalla illecita prosecuzione dell’attività sociale

La voce di danno rappresentata dal valore complessivo dei beni per cui sia accertata l’avvenuta distrazione da parte dell’amministratore unico della società non può essere aggiunta a quella ulteriore – pari alla differenza tra i netti patrimoniali – ipoteticamente derivata dall’illecita prosecuzione dell’attività nonostante il verificarsi della causa di scioglimento, in violazione dell’obbligo di gestione meramente conservativo insorto a seguito della mancata ricapitalizzazione. Tale voce di danno – come da tempo chiarito dalla giurisprudenza e stabilito dal legislatore nell’art. 2486 c.c. riformulato con il nuovo codice della crisi di impresa – va quantificata invero verificando – sulla scorta dei bilanci depurati dalle poste fittizie o comunque errate – la differenza tra la consistenza patrimoniale della società al momento del verificarsi della causa di scioglimento e quella al momento del fallimento, sottraendo i costi fisiologici propri della fase di liquidazione (fase che comunque comporta dei costi di gestione) e ponendosi in una prospettiva liquidatoria (dunque quantificando il valore dei beni patrimoniali alla luce del loro valore di mercato e non a quello di costo). Occorre dunque effettuare un’indagine che attenga non solo al profilo dell’insolvenza, ma anche a quello della consistenza patrimoniale nella prospettiva della liquidazione.

Poiché la quantificazione della differenza tra i netti patrimoniali si fonda all’evidenza sulla consistenza effettiva del patrimonio rinvenuto dal curatore fallimentare e dunque sconta la mancanza dei beni distratti, sommare il valore di tali beni al deficit patrimoniale incrementale comporterebbe una duplicazione (quanto meno parziale) della voce di danno. Ciò che può essere sommato al controvalore dei beni distratti è invece il maggiore indebitamento accumulato nel periodo successivo al verificarsi della causa di scioglimento e ammesso al passivo.

In tema di azione di responsabilità promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146, co. 2, l.fall., il danno può essere quantificato avendo riguardo all’accertata colpevole dispersione di elementi dell’attivo patrimoniale da parte degli amministratori, oltre che al colpevole protrarsi di un’attività produttiva implicante l’assunzione di maggiori debiti della società, a nulla rilevando che l’importo oggetto di liquidazione sulla base di tali criteri sia ridotto ad una minor somma.

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4, 2941, n. 7, 2949 e 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c), ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alla giacenze di magazzino, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attività di impresa.