Conflitto di interessi, curatore speciale, impugnativa della delibera di S.r.l. per abuso di maggioranaza
Non sussiste un conflitto immanente d’interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, tenuto conto che, in tali giudizi, il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società in persona di chi ne ha la rappresentanza legale, né è fondata una valutazione del menzionato conflitto in capo all’amministratore che rappresenti in giudizio detta società, solo in ragione del fatto che la deliberazione impugnata ha ad oggetto profili di pertinenza di quest’ultimo (come avviene per l’approvazione del bilancio, redatto dall’organo gestorio, o per la determinazione del compenso spettante ex art. 2389 c.c. o per l’autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.), poiché ravvisare in tali ipotesi una situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale in tutte (o quasi tutte) le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari (o consiliari), con l’effetto distorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale, l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.
La circostanza che l’amministratore abbia redatto la situazione patrimoniale oggetto di impugnativa non è certamente idonea ad integrare un confitto di interessi con la società convenuta; diversamente opinando, sussisterebbe tale conflitto tutte le volte in cui sia impugnato un bilancio redatto dall’amministratore in carica al momento in cui viene proposta l’impugnazione. Del pari, la circostanza che l’amministratore sia il socio di maggioranza non integra, di per sé sola, la sussistenza di un conflitto di interessi con la società.
Il conflitto di interessi di cui all’art. 78 cpv. c.p.c. sussiste in tutti e soli i casi in cui vi sia un contrasto fra la società e il suo legale rappresentante, per essere quest’ultimo giuridicamente (e non solo in via di fatto) e direttamente interessato ad un esito della lite diverso da quello che possa invece avvantaggiare l’ente; tale giuridico conflitto non sussiste, invece, quando gli interessi confliggenti appartengano in realtà ai soci o a gruppi di essi, dei quali alcuni, fisiologicamente dissenzienti ma minoritari e altri, maggioritari, che abbiano concorso con il loro voto all’adozione di determinate decisioni assembleari o ad esprimere l’organo amministrativo.
La perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c., che rimane inalterata, in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’istante assume essere “contra legem” e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Una deliberazione assembleare può essere annullata, sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i “sintomi” di illiceità della delibera – deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente – in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all’infuori della ipotesi di un esercizio “ingiustificato” ovvero “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della deliberazione, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per una soluzione dissolutiva.
Nell’ambito della disciplina delle delibere assembleari, la regola della maggioranza, secondo cui i soci dissenzienti di minoranza si trovano vincolati alla decisione adottata, trova il suo limite nel necessario rispetto dei principi di correttezza a buona fede, che trovano espressione anche nell’esecuzione del contratto sociale, posto che, ove la maggioranza abbia espresso il suo voto in modo arbitrario e tale da ledere ingiustificatamente gli interessi della minoranza, la delibera medesima potrà essere legittimamente impugnata. L’abuso di maggioranza costituisce, in estrema sintesi, un vizio che va ad inficiare una delibera il cui profilo di invalidità consiste appunto nell’avere piegato fraudolentemente la maggioranza ad un proprio interesse personale, in danno di un altro socio, senza che l’operazione sia assistita da un interesse sociale. In altre parole, l’elemento di discrimine tra legittima soggezione della minoranza al principio maggioritario ed abuso di detto principio, tale da rendere arbitrario e ingiustificato il voto apparentemente vincolante, è la ricorrenza dell’interesse sociale: ove nel voto espresso dalla maggioranza non si possa individuare alcun interesse sociale, il pregiudizio sopportato dalla minoranza potrà considerarsi arbitrario ed ingiustificato, diversamente dal caso in cui il sacrificio della minoranza sia giustificato dal superiore interesse sociale.
Impugnazione delle delibere assembleari: profili processuali
Nei giudizi di impugnazione avverso delibere assembleari, legittimata passiva è esclusivamente la società, alla quale è soggettivamente imputata la manifestazione di volontà espressa dall’assemblea dei soci, mentre i soci non impugnanti devono sottostare agli effetti della sentenza di annullamento della delibera. L’azione di impugnazione della delibera di una società di capitali può essere proposta nei confronti della sola società e non già nei confronti degli altri soci non impugnanti che hanno votato favorevolmente, i quali possono tuttavia dispiegare intervento adesivo delle ragioni della società.
Il concetto di sospensione dell’esecuzione della deliberazione, di cui all’art. 2378 c.c., richiamato dall’art. 2479 c.c., deve essere interpretato come riferito alla sospensione dell’efficacia della delibera, dovendosi pertanto intendere che possano essere oggetto di sospensione cautelare anche le deliberazioni che siano già state eseguire, ma i cui effetti si protraggano nel tempo, pregiudicano i diritti dei soci assenti o dissenzienti.
Gli effetti caducatori o ripristinatori della sentenza di annullamento della deliberazione assembleare, di natura costitutiva, si producono solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza stessa.
Impugnazione della delibera assembleare di distribuzione degli utili
Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.
Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi dell’art. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.
Fermo restando che il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.
Liquidazione della quota del defunto: tutela dei diritti dei terzi in buona fede
L’impugnativa di una delibera assembleare che dispone l’utilizzo di riserve al fine di liquidare la quota del socio defunto in favore degli eredi non può sovvertire gli effetti del già avvenuto pagamento (in favore degli eredi), in virtù della regola di salvezza dei diritti dei terzi in buona fede ex art. 2388, ultimo comma, c.c., espressione di principio generale.
In caso di comproprietà di partecipazioni, solo il rappresentante comune ha diritto a impugnare una delibera
La disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.
In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea ed il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo titolare la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.
La controversia relativa all’impugnazione della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata per abuso del diritto di voto da parte della maggioranza consiste nella denunzia di una causa di annullabilità della delibera e non di nullità. Ne consegue che il terzo non è legittimato a proporre l’impugnazione per vizio di annullabilità della delibera.
Nell’azione di nullità di delibera assembleare, a differenza che nell’azione di annullamento ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse, il terzo deve allegare e dimostrare un interesse concreto ed attuale alla declaratoria di nullità in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò significa che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.
L’art. 2469 c.c. stabilisce che le partecipazioni sociali nelle s.r.l. possono essere liberamente trasferite, nei limiti delle previsioni dell’atto costitutivo, ma tale trasferimento ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito presso il registro delle imprese dell’atto notarile che attesta la cessione della quota, ai sensi dell’art. 2470 c.c. La qualifica di socio non interviene con il mero deposito della domanda pubblicitaria, ma dal momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. Quindi, l’iscrizione nel registro delle imprese fa sì che l’acquirente diventi socio della società e permette a quest’ultimo di opporre il proprio acquisto e la propria qualifica ai terzi.
L’operatività dell’art. 2500 bis c.c. è circoscritta alla sola delibera di trasformazione e a quelle a essa strettamente funzionali e non anche a delibere meramente contestuali o accessorie. L’invalidità della deliberazione contenente modifiche non consentite non è sanata dall’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., tutelando detta norma la stabilità dell’organizzazione del nuovo tipo societario, rispetto alla quale restano ininfluenti le deliberazioni solo occasionate dalla trasformazione.
La convocazione dell’assemblea non solo deve essere spedita anteriormente, ma deve comunque essere ricevuta prima dell’assemblea, di modo da consentire un consapevole esercizio del potere deliberativo. Nulla impedisce ai soci di convenire, all’atto della stipulazione del contratto di società, una disciplina diversa, che faccia decorrere il termine di convocazione dall’effettiva e documentata ricezione dell’avviso di convocazione anziché dalla sua spedizione. Occorre, però, sottolineare che la disciplina ha pur sempre per presupposto che il socio sia convocato: e ciò può dirsi avvenuto solo a condizione che l’avviso di convocazione abbia in qualche modo raggiunto il proprio scopo di far sapere al socio che si terrà un’adunanza in un certo luogo, in una certa data e con un certo ordine del giorno (anche se lo spazio di tempo a sua disposizione per prepararsi ad intervenire può in concreto risultare variabile).
Comproprietà di partecipazione in s.r.l. e legittimazione a impugnare la delibera assembleare
Qualora una quota di s.r.l. sia oggetto di comproprietà (volontaria o ereditaria), ogni posizione attiva dei diritti dei singoli comproprietari deve essere fatta valere dal rappresentante comune, il quale deve essere eletto a maggioranza, a sua volta calcolata non per teste, bensì avendo a riguardo al valore delle quote dei partecipanti alla comproprietà, ai sensi dell’art. 2468, co. 5 c.c., il quale rinvia agli artt. 1105 e 1106 c.c. Pertanto, in caso di comproprietà di partecipazioni, unico titolare della legittimazione a impugnare una deliberazione assembleare non è il singolo comproprietario – carente del potere di impugnare, così come di quello di esercitare il diritto d’intervento e di voto in assemblea –, bensì unicamente il rappresentante comune.
Sopravvenuta carenza di legittimazione a impugnare la delibera assembleare di s.r.l. per perdita della qualità di socio
Risulta improcedibile, per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire, l’impugnativa di delibera assembleare di s.r.l. nel caso in cui l’attore abbia perso la qualità di socio in corso di causa.
Impugnazione della delibera assembleare di cooperativa edilizia
L’interesse ad agire nell’impugnazione di delibera assembleare
Il giudice deve verificare d’ufficio che sussista l’interesse ad agire, ossia che la pronuncia richiesta sia idonea a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda e quindi la sussistenza di un interesse concreto e attuale di questa. Ciò vale anche con riguardo all’azione di accertamento della nullità di delibere assembleari. Tale azione può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, ma l’interesse in questione, oltre a dovere essere concreto e attuale, deve riferirsi specificamente all’azione di nullità e non può identificarsi con l’interesse a una diversa azione, il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare la pretesa dell’attore.
Il perimetro applicativo di una clausola compromissoria contenuta in uno statuto
Nel perimetro applicativo di una clausola compromissoria contenuta nello statuto che devolve al giudizio di arbitri ogni controversia insorta tra società, soci, amministratori e liquidatori in dipendenza dell’atto costitutivo e dello statuto rientra anche la controversia avente ad oggetto la validità di delibere assembleari impugnate da un individuo nella sua pretesa qualità di socio per successione ereditaria, prospettando violazioni di posizioni giuridiche attinenti esclusivamente alla sua sfera individuale e che, quindi, non investono diritti indisponibili. L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34, co. 1, del d. lgs. 5/2003.