Principio di libertà delle forme ed esercizio del diritto di prelazione nella cessione di quote di s.r.l.
Nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione di quota di s.r.l. è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse, non richiedendo la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem. La forma di cui all’art. 2470 c.c. rileva solo ai fini dell’opponibilità nei confronti della società. Ne deriva che, in presenza di un contratto di opzione di acquisto di quote di una s.r.l., che conferisca ad una parte la facoltà di accettare la proposta di vendita formulata dalla controparte, il momento del definitivo effetto traslativo è segnato dall’accettazione dello stipulante, non essendo richiesta né l’adozione di una forma particolare né la stipulazione con un unico atto di cessione ed in un unico contesto temporale [nel caso di specie, due soci titolari dell’intero pacchetto societario avevano espresso chiaramente una volontà di dismissione della propria quota in contrasto con l’esercizio del diritto di prelazione sulla quota dell’altro].
Violazione del diritto di prelazione; presupposti e finalità del sequestro giudiziario di azioni
La violazione del diritto di prelazione previsto nello statuto non comporta la nullità del trasferimento né, tanto meno, l’assegnazione delle azioni oggetto di trasferimento al socio pretermesso. Con l’inserimento della clausola di prelazione nell’atto costitutivo si attribuisce alla medesima, al pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente, anche un valore rilevante per la società. Induce a siffatta conclusione il rilievo che clausole, come quelle di prelazione o di gradimento, sono senza dubbio finalizzate dalla volontà dei soci, secondo quanto i medesimi valutino più adatto alle esigenze dell’ente, ad incidere sul rapporto tra l’elemento patrimoniale e quello personale della società, accrescendo il peso del secondo rispetto al primo. Ne discende che le clausole in questione, venendo ad assolvere anche ad una funzione specificamente sociale, atteso il loro inserimento nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente, cessano di esser regolate dai soli principi del diritto dei contratti, per rientrare, invece, nell’orbita più specifica della normativa societaria. Infatti, alla clausola statutaria di prelazione deve attribuirsi efficacia reale, i cui effetti sarebbero opponibili anche al terzo acquirente. Ad ogni modo, la realità della clausola non può condurre alla nullità del trasferimento operato in violazione del patto di prelazione, non versandosi in ipotesi di violazione di norma imperativa, né alla declaratoria di nullità per impossibilità dell’oggetto per indisponibilità della partecipazione ceduta; al contrario, può condurre unicamente ad una pronuncia d’inefficacia del trasferimento in favore del socio pretermesso e/o della società. Più in particolare, la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, secondo i principi generali in tema di inadempimento delle obbligazioni. La violazione della clausola statutaria di prelazione non comporta in favore del socio pretermesso anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela prevista dalla legge in specifici casi da reputarsi tassativi.
I presupposti per l’emanazione di un provvedimento di sequestro giudiziario sono il fumus boni juris e il periculum in mora, specificamente tipizzati dall’art. 670 c.p.c. In particolare, il sequestro giudiziario è ammissibile tutte le volte in cui ricorra la necessità di garantire l’attuazione di futuri provvedimenti di tutela giurisdizionale, tenuto conto della particolare correlazione esistente tra l’oggetto del sequestro e l’oggetto della pretesa che viene dedotta nel giudizio di merito.
In ordine al fumus boni juris della domanda di sequestro, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (c.d. jus in re), nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (c.d. jus ad rem). Il sequestro giudiziario, pertanto, è incompatibile con le azioni di accertamento o costitutive. Le finalità per cui l’ordinamento prevede l’autorizzazione al sequestro giudiziario di beni sono individuate, infatti, nell’assicurare la fruttuosità ed utilità pratica dell’esecuzione coattiva di un futuro provvedimento decisorio, mediante la consegna o il rilascio di quegli stessi beni sui quali è stato autorizzato e posto il vincolo.
Il secondo presupposto per la concessione del sequestro giudiziario è rappresentato dall’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione dei beni di cui si chiede il sequestro. Ed invero, il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del bene, dovendosi, peraltro, precisare che la nozione di conservazione nel sequestro giudiziario, a differenza di quanto accade per il sequestro conservativo, non si sostanzia necessariamente nel pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini della opportunità della cautela, che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determini una situazione tale che, al termine della lite, la parte istante, ove risulti essere vittoriosa, non riuscirebbe a ottenere il vantaggio spettante, vedendo così pregiudicata l’attuazione del diritto controverso.
È inammissibile per difetto di strumentalità il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. di azioni nel caso in cui nel giudizio di merito non sia stata proposta una domanda di restituzione delle azioni. La finalità del sequestro giudiziario è, infatti, quella di assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzati di quegli stessi beni su cui è stato autorizzato e posto il vincolo; un’azione di accertamento e/o costitutiva relativa alla illegittimità di una delibera e degli atti ad essa conseguenti non è compatibile con il sequestro giudiziario.
Inefficacia della vendita di partecipazioni sociali in violazione del diritto di prelazione
L’atto di vendita di partecipazioni societarie in violazione del diritto di prelazione statutariamente previsto, realizzando un inadempimento ad una norma contrattuale, e non una violazione di legge, non comporta l’annullabilità né, tanto meno, la nullità dell’atto, ma solo la sua inefficacia nei confronti della società e dei soci pretermessi, con conseguente inopponibilità dell’acquisto nei confronti (solo) dei medesimi e, dunque, con incapacità dell’acquisto a fungere da titolo per l’esercizio di alcun diritto sociale. In applicazione di tale principio, deve affermarsi che, pur in presenza di una violazione statutaria, la cessione delle partecipazioni sociali nei rapporti interni fra socio cedente e terzo cessionario mantiene piena efficacia, in quanto atto valido e vincolante inter partes.
Grava sul convenuto cedente l’onere di provare di aver correttamente adempiuto agli obblighi informativi imposti dallo statuto, fornendo riscontro circa l’avvenuta corretta denuntiatio in favore di soci e amministratori.
Efficacia reale della clausola statutaria che prevede il diritto di prelazione
In virtù della natura organizzativa della clausola statutaria che prevede un diritto di prelazione, nel caso di vendita di partecipazioni societarie in violazione di tale diritto, la conseguenza è la mera inefficacia dell’atto di vendita nei confronti della società e degli altri soci. L’acquisto è inopponibile nei confronti di questi ultimi, mentre la cessione resta perfettamente valida tra le parti contraenti.
Dal patto di opzione scaturisce una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione. Con il patto di opzione è, quindi, contrattualmente convenuta la irrevocabilità della proposta di una delle parti, contenente tutti gli elementi essenziali dell’ulteriore contratto da concludere, in modo da consentirne il perfezionamento nel momento e per effetto della adesione dell’altra parte, senza necessità di ulteriori pattuizioni. Ciò in quanto la causa del patto d’opzione consiste nel rendere ferma per il tempo pattuito la proposta relativamente alla conclusione di un ulteriore contratto, con correlativa attribuzione all’altra parte del diritto di decidere circa la conclusione di quel contratto entro quel medesimo tempo. Ne consegue che il patto di opzione integra una fattispecie a formazione successiva (rectius, progressiva), costituita inizialmente dall’accordo avente a oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto.
Illegittimità della delibera di aumento di capitale che obbliga il socio al conferimento in natura
È illegittima la delibera assembleare che, nel quadro di un’operazione di aumento di capitale scindibile, preveda in capo a un socio l’obbligo di sottoscrizione mediante conferimento in natura e, in mancanza di esercizio di tale diritto d’opzione, la possibilità per gli altri soci di esercitare la prelazione sull’inoptato. In tal caso, infatti, il socio verrebbe posto di fronte all’alternativa se perdere la proprietà del bene e mantenere intatta la propria partecipazione o perdere (o vedersi diluita) la propria partecipazione, mantenendo la proprietà del bene.
L’illegittimità della delibera che prevede una tale operazione non verrebbe inficiata da eventuali patti parasociali, dato che essi riguardano i rapporti tra soci e non possono, quindi, determinare il comportamento di questi ultimi verso la società.
Mancato perfezionamento di un’operazione di cessione di quote di s.r.l. e ammissibilità della domanda di sequestro giudiziario dell’assegno bancario consegnato alla cedente al momento della conclusione del contratto di cessione
Il sequestro giudiziario ex art. 670, n. 1, c.p.c. non è utilizzabile al fine di evitare il pagamento della somma di denaro portata da un assegno bancario, in quanto costituisce uno strumento di cautela “tipico” finalizzato a garantire, in pendenza di un giudizio di merito in ordine alla sussistenza di un diritto in re o ad rem, l’effettivo conseguimento del bene vantato dal richiedente in caso di accertamento del relativo diritto (nel caso di specie, la ricorrente chiedeva il sequestro giudiziario di un assegno bancario consegnato, a titolo controverso, alla controparte in sede di stipula del contratto di cessione di quote di s.r.l. – poi non perfezionatasi a causa dell’esercizio di un diritto di prelazione da parte di uno degli altri soci della società, con dichiarazione contestata – fintantoché non fosse stata accertata l’effettiva sussistenza del diritto in capo alla stessa ricorrente di acquistare le quote).
Pagamento del canone di affitto di azienda e invalidità del pegno costituito a garanzia dell’adempimento
In tema di pegno a garanzia di crediti, il principio di accessorietà desumibile dall’art. 2784 c.c. comporta la nullità per difetto di causa dell’atto costitutivo della prelazione stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ma non esclude, in applicazione analogica dell’art. 2852 c.c., l’ammissibilità della costituzione della garanzia a favore di crediti condizionali o che possano eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente; in quest’ultimo caso, peraltro, è necessaria, ai fini della validità del contratto, la determinazione o la determinabilità del credito, la quale postula l’individuazione non solo dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità e l’efficacia del contratto “inter partes”, comunque, la mera determinabilità del rapporto comporta l’inopponibilità del pegno agli altri creditori (ivi compreso il curatore, in caso di fallimento del soggetto che abbia costituito la garanzia), qualora, dovendo trovare applicazione l’art. 2787, comma 3, c.c., manchi la sufficiente indicazione del credito garantito.
Non è ravvisabile alcun difetto di causa del pegno qualora lo stesso risulti costituito a garanzia dell’adempimento di una obbligazione (pagamento del canone di affitto di azienda) derivante da un rapporto contrattuale già esistente e risultando chiaramente determinati sia i soggetti del rapporto, sia l’oggetto della prestazione.
La delibera dell’assemblea dei soci non può essere impugnata dalla società stessa.
Sostituzione delle delibere impugnate ex art. 2378, co. 8, c.c.
Deve ritenersi cessata la materia del contendere una volta che sia intervenuto il superamento e l’espressa sostituzione ex art. 2377, co. 8, c.c., delle delibere originariamente impugnate aventi ad oggetto l’approvazione del bilancio [ LEGGI TUTTO ]
Omessa denuntiatio a favore dei soci prelazionari
Nell’ambito della vendita di azioni, qualora lo statuto preveda una procedura di denuntiatio a tutela del diritto di prelazione dei soci e ponga il relativo onere a carico del socio alienante, spetterà a quest’ultimo attivarsi per verificare l’interesse di altri soci all’acquisto delle azioni, pena l’inesigibilità dell’obbligazione di pagamento del prezzo per colpa dello stesso creditore [nel caso di specie il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore del socio venditore per mancato assolvimento dell’onere della comunicazione ai soci titolari del diritto di prelazione].
Il patto di prelazione non contiene un pactum de non contrahendo bensì una semplice promessa di preferenza
Il patto di prelazione non pregiudica la sfera giuridica del soggetto promettente, che non è tenuto a concludere un contratto con il prelazionario, nè tantomeno [ LEGGI TUTTO ]