Art. 670 c.p.c.
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Sequestro giudiziario e conservativo delle quote sociali
Nel procedimento cautelare proposto ante causam è necessario che il ricorso contenga la precisa indicazione non solo del provvedimento cautelare richiesto, ma anche della causa petendi e del petitum del giudizio di merito, cui è prodromica l’azione cautelare, onde consentire alla controparte di poter adeguatamente difendersi in merito alla cautela invocata ed al giudice di compiere un adeguato accertamento sulla propria competenza a provvedere e sulla strumentalità della misura rispetto al diritto da cautelare.
La concessione di una misura cautelare ante causam va valutata nell’ottica della sua accessorietà rispetto al merito e della sua finalità di garantire la conservazione dell’utilità pratica che la decisione definitiva attribuirà alla parte, previo riconoscimento dei relativi diritti. La futura decisione sul merito costituisce altresì il limite per il contenuto del provvedimento cautelare sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, non potendo esso attribuire alle parti beni che le stesse non potrebbero conseguire per effetto della sentenza.
Il sequestro giudiziario può essere concesso nell’ambito di una controversia sulla proprietà o sul possesso non soltanto quando sia esperita azione di rivendica, ma anche in ipotesi di azioni personali aventi per oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta, in quanto il termine “possesso”, usato dall’art. 670 c.p.c. unitamente a quello di “proprietà”, non va inteso in senso strettamente letterale, rientrando in esso anche la detenzione.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 670 c.p.c., legittimati a chiedere il sequestro giudiziario sono non soltanto i titolari dei diritti reali, ma anche i titolari di diritti personali relativi a beni mobili o immobili, poiché la controversia sulla proprietà o il possesso può sussistere non solo quando siano esperite le tipiche azioni a presidio di tali diritti, ma anche quando si tratti di azioni personali ad effetto la restituzione della cosa da altri detenuta.
Può sussistere il nesso di strumentalità tra il sequestro giudiziario delle quote sociali e l’ azione di merito volta al trasferimento coattivo delle stesse. Infatti, si è in presenza di una controversia sulla proprietà o il possesso ex art. 670 c.p.c., non soltanto quando siano o saranno esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui sia stata proposta o debba proporsi un’azione contrattuale che, se accolta, importi condanna alla restituzione di un bene, come nelle ipotesi di azioni personali aventi ad oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta.
Per la concessione del sequestro giudiziario, non si richiede, come per il sequestro conservativo, che ricorra il pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo sufficiente, ai fini dell’estremo dell’opportunità richiesto dall’art. 670 n. 1 c.p.c., che lo stato di fatto in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso.
Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorchè riportati in apposito documento (cosiddetto “minuta” o “puntuazione”), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori.
Il periculum in mora nel sequestro giudiziario di quote
Caratteristica tipica di tutti i provvedimenti cautelari – sia tipici che atipici, indipendentemente dal fatto che la domanda venga proposta ante causam o nel corso del giudizio – è la strumentalità, da intendersi quale idoneità del provvedimento richiesto ad assicurare provvisoriamente gli effetti della pronuncia di merito.
La finalità del sequestro giudiziario è assicurare la fruttuosità dell’esecuzione conseguente all’accertamento del diritto alla restituzione del bene al termine del processo di cognizione.
Il sequestro è strumentale all’esperimento sia di azioni reali che di azioni personali: si è in presenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso non solo quando siano esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui venga proposta un’azione contrattuale che, ove accolta, comporta la condanna alla restituzione di un bene.
Il requisito del periculum in mora va ravvisato nell’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene.
Quando la domanda cautelare di sequestro giudiziario si fonda sull’intervenuta risoluzione di diritto di un contratto di cessione di quote, tale opportunità è determinata dal timore che il cessionario, restando inerte a fronte della richiesta di retrocessione, possa compiere atti di alienazione o di disposizione giuridica delle quote ancora in suo possesso in favore di terzi ovvero eserciti i diritti sociali nonostante sia privo della qualità di socio.
Annullabilità per conflitto di interessi del contratto di cessione di quote
Il conflitto d’interessi idoneo, ex art. 1394 c.c., a produrre l’annullabilità del contratto, richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, il quale, dovendo essere dimostrato non in modo astratto o ipotetico, ma con riferimento al singolo atto, è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto le cui caratteristiche consentano l’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro. È da escludere, pertanto, una condotta abusiva del rappresentante e un pregiudizio del rappresentato quando il contenuto del negozio sia stato da quest’ultimo predeterminato.
Domanda di sequestro giudiziario fondata su rescissione contrattuale
Diversamente dal sequestro conservativo di cui all’art. 671 c.p.c., vòlto a garantire l’operatività della generica garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740, comma primo c.c., l’emissione di un provvedimento di sequestro giudiziario è finalizzata ad assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio nonché la sua fruttuosità in sede di esecuzione forzata, mediante la consegna od il rilascio dei beni sui quali, dunque, è posto il vincolo.
I presupposti per la concessione di un sequestro giudiziario sono individuati:
- nell’accertamento di un fumus boni iuris, ossia nell’esistenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso del bene, nel cui ambito sussistano elementi sufficienti a provare che la domanda, proposta o che verrà esperita, sia di probabile fondatezza;
- nell’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene, c.d. periculum in mora.
In relazione al fumus boni iuris, la misura cautelare deve essere riferita, non soltanto ai c.d. iura in re, ossia alle azioni nelle quali ciascuna delle parti si affermi titolare di un diritto reale sul bene, ma, altresì, alle azioni relative ai c.d. iura ad rem, ossia quelle azioni in cui l’attribuzione della proprietà costituisce conseguenza della decisione del giudice su un rapporto di natura obbligatoria. Inoltre, con riferimento al requisito della controversia sul possesso, alle azioni di carattere personale volte alla restituzione della cosa detenuta dal convenuto. Pertanto, devono essere annoverate tra le controversie sulla proprietà o sul possesso anche le vertenze su di un diritto personale, avente ad oggetto la pretesa alla restituzione di cose detenute da altri soggetti, ossia quando debba decidersi in ordine ad un’azione personale che comporti una decisione su detta pretesa.
Con specifico riferimento al periculum in mora, detta condizione non costituisce presupposto indefettibile per la concessione del sequestro giudiziale, atteso che il medesimo art. 670 c.p.c. richiede ai fini della concessione della misura semplicemente ragioni che rendano opportuna la custodia del bene controverso.
Qualora venga dedotto a fondamento della condizione del fumus bonis iuris l’esistenza della verosimiglianza di un diritto ad ottenere la rescissione di un contratto, mediante l’esperimento dell’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 1448 c.c. in sede di cognizione ordinaria, devono essere adeguatamente provati i requisiti:
- della sproporzione tra le prestazioni contrattuali delle parti, tale per cui il valore della prestazione, eseguita o promessa dalla parte danneggiata, deve eccedere di oltre la metà il valore della controprestazione. In particolare, la lesione ultra dimidium deve essere accertata in base ad una valutazione economica delle prestazioni compiuta, dunque tenendo conto il valore reale dei beni, in relazione al momento della conclusione del contratto;
- dello stato di bisogno di una delle parti, il quale deve avere inciso sulla libera determinazione del contraente danneggiato secondo un nesso di strumentalità. In mancanza di detta efficienza causale, lo stato di bisogno viene degradato a mera esigenza di realizzare il fine perseguito dal contraente in maniera più conveniente. Peraltro, ove la parte danneggiata sia una società, si deve avere a riguardo allo stato psicologico della persona fisica legittimata ad agire in rappresentanza dell’ente in base al rapporto organico;
- dell’approfittamento della controparte contrattuale, il quale deve risolversi nella mera consapevolezza dell’esistenza dello stato di bisogno in cui versa la controparte danneggiata, purchè essa abbia costituito la spinta psicologica a contrarre.
Detti requisiti, legittimanti l’azione rescissoria per lesione di cui all’art. 1448 c.c., devono sussistere tutti simultaneamente. Di tal che, una volta riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due.
Principio di libertà delle forme ed esercizio del diritto di prelazione nella cessione di quote di s.r.l.
Nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione di quota di s.r.l. è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse, non richiedendo la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem. La forma di cui all’art. 2470 c.c. rileva solo ai fini dell’opponibilità nei confronti della società. Ne deriva che, in presenza di un contratto di opzione di acquisto di quote di una s.r.l., che conferisca ad una parte la facoltà di accettare la proposta di vendita formulata dalla controparte, il momento del definitivo effetto traslativo è segnato dall’accettazione dello stipulante, non essendo richiesta né l’adozione di una forma particolare né la stipulazione con un unico atto di cessione ed in un unico contesto temporale [nel caso di specie, due soci titolari dell’intero pacchetto societario avevano espresso chiaramente una volontà di dismissione della propria quota in contrasto con l’esercizio del diritto di prelazione sulla quota dell’altro].
Barilla vs Bauli: contraffazione brevettuale relativa a prodotti soffici da forno
L’uso nuovo di una sostanza nota è in linea di principio brevettabile anche quando l’unica caratteristica nuova è il diverso uso della sostanza nota stessa, purché tale uso implichi un nuovo effetto tecnico descritto nel brevetto in esame e non prima riconosciuto. In tal caso la rivendicazione è da considerarsi nuova anche se l’effetto tecnico avrebbe potuto intrinsecamente essere ottenuto quando si fossero seguiti gli insegnamenti già noti.
Periculum in mora per il sequestro giudiziario di quote nel caso di messa in liquidazione della società controllata
In tema di sequestro giudiziario di una quota di partecipazione ad una s.r.l., ed in particolare della sussistenza del requisito del periculum in mora, al fine della concessione della custodia deve ricorrere il concreto rischio di una dispersione della quota, ovvero l’opportunità di provvedere alla gestione temporanea della quota in presenza di un conflitto fra soci paritari ovvero la necessità di preservarne il valore.
Se la s.r.l. detiene una partecipazione totalitaria in un’altra s.r.l., l’opportunità della custodia della quota può essere desunta dalla messa in liquidazione della società controllata, che verosimilmente determinerà la svalutazione del valore della partecipazione iscritta a bilancio della controllante: il periculum necessario per disporre il sequestro giudiziario della partecipazione sociale oggetto di contenzioso deriva infatti dal rischio di perdita di valore della partecipazione totalitaria detenuta dalla società, per effetto della messa in liquidazione della stessa.
Sequestro giudiziario di azioni, efficacia della prelazione statutaria e conseguenze della sua violazione
Non vi è dubbio in ordine all’astratta ammissibilità del sequestro giudiziario di azioni di una s.p.a. anche alla luce dell’espressa disposizione normativa di cui all’art. 2352 c.c.; in relazione alla strumentalità del sequestro richiesto ad assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzati degli stessi beni su cui è stato autorizzato e posto il vincolo, spetta al ricorrente dedurre di aver proposto, nel giudizio arbitrale di merito pendente, la domanda di restituzione delle azioni in conseguenza della domanda principale di accertamento della nullità e/o inesistenza/annullabilità della delibera assembleare (e ciò a prescindere dall’eventuale ammissibilità e fondatezza di tale azione restitutoria).
Con l’inserimento della clausola di prelazione nell’atto costitutivo si attribuisce alla medesima, al pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente, anche un valore rilevante per la società, la cui organizzazione ed il cui funzionamento l’atto costitutivo e lo statuto sono destinati a regolare. Le clausole in questione, venendo ad assolvere anche ad una funzione specificamente sociale, atteso il loro inserimento nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente, cessano di esser regolate dai soli principi del diritto dei contratti, per rientrare, invece, nell’orbita più specifica della normativa societaria.
Alla clausola statutaria di prelazione deve attribuirsi “efficacia reale” i cui effetti sarebbero opponibili anche al terzo acquirente. Ad ogni modo, la realità della clausola non può condurre alla nullità del trasferimento operato in violazione del patto di prelazione, non versandosi in ipotesi di violazione di norma imperativa, né alla declaratoria di nullità per impossibilità dell’oggetto per indisponibilità della partecipazione ceduta; può condurre unicamente ad una pronuncia d’inefficacia del trasferimento in favore del socio pretermesso e/o della società. La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, secondo i principi generali in tema di inadempimento delle obbligazioni. La violazione della clausola statutaria di prelazione non comporta in favore del socio pretermesso anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela prevista dalla legge in specifici casi da reputarsi tassativi. La violazione del diritto di prelazione previsto nello statuto, dunque, non comporta la nullità del trasferimento né, tanto meno, l’assegnazione delle azioni oggetto di trasferimento al socio pretermesso.
Violazione del diritto di prelazione; presupposti e finalità del sequestro giudiziario di azioni
La violazione del diritto di prelazione previsto nello statuto non comporta la nullità del trasferimento né, tanto meno, l’assegnazione delle azioni oggetto di trasferimento al socio pretermesso. Con l’inserimento della clausola di prelazione nell’atto costitutivo si attribuisce alla medesima, al pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente, anche un valore rilevante per la società. Induce a siffatta conclusione il rilievo che clausole, come quelle di prelazione o di gradimento, sono senza dubbio finalizzate dalla volontà dei soci, secondo quanto i medesimi valutino più adatto alle esigenze dell’ente, ad incidere sul rapporto tra l’elemento patrimoniale e quello personale della società, accrescendo il peso del secondo rispetto al primo. Ne discende che le clausole in questione, venendo ad assolvere anche ad una funzione specificamente sociale, atteso il loro inserimento nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente, cessano di esser regolate dai soli principi del diritto dei contratti, per rientrare, invece, nell’orbita più specifica della normativa societaria. Infatti, alla clausola statutaria di prelazione deve attribuirsi efficacia reale, i cui effetti sarebbero opponibili anche al terzo acquirente. Ad ogni modo, la realità della clausola non può condurre alla nullità del trasferimento operato in violazione del patto di prelazione, non versandosi in ipotesi di violazione di norma imperativa, né alla declaratoria di nullità per impossibilità dell’oggetto per indisponibilità della partecipazione ceduta; al contrario, può condurre unicamente ad una pronuncia d’inefficacia del trasferimento in favore del socio pretermesso e/o della società. Più in particolare, la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, secondo i principi generali in tema di inadempimento delle obbligazioni. La violazione della clausola statutaria di prelazione non comporta in favore del socio pretermesso anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela prevista dalla legge in specifici casi da reputarsi tassativi.
I presupposti per l’emanazione di un provvedimento di sequestro giudiziario sono il fumus boni juris e il periculum in mora, specificamente tipizzati dall’art. 670 c.p.c. In particolare, il sequestro giudiziario è ammissibile tutte le volte in cui ricorra la necessità di garantire l’attuazione di futuri provvedimenti di tutela giurisdizionale, tenuto conto della particolare correlazione esistente tra l’oggetto del sequestro e l’oggetto della pretesa che viene dedotta nel giudizio di merito.
In ordine al fumus boni juris della domanda di sequestro, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (c.d. jus in re), nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (c.d. jus ad rem). Il sequestro giudiziario, pertanto, è incompatibile con le azioni di accertamento o costitutive. Le finalità per cui l’ordinamento prevede l’autorizzazione al sequestro giudiziario di beni sono individuate, infatti, nell’assicurare la fruttuosità ed utilità pratica dell’esecuzione coattiva di un futuro provvedimento decisorio, mediante la consegna o il rilascio di quegli stessi beni sui quali è stato autorizzato e posto il vincolo.
Il secondo presupposto per la concessione del sequestro giudiziario è rappresentato dall’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione dei beni di cui si chiede il sequestro. Ed invero, il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del bene, dovendosi, peraltro, precisare che la nozione di conservazione nel sequestro giudiziario, a differenza di quanto accade per il sequestro conservativo, non si sostanzia necessariamente nel pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini della opportunità della cautela, che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determini una situazione tale che, al termine della lite, la parte istante, ove risulti essere vittoriosa, non riuscirebbe a ottenere il vantaggio spettante, vedendo così pregiudicata l’attuazione del diritto controverso.
È inammissibile per difetto di strumentalità il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. di azioni nel caso in cui nel giudizio di merito non sia stata proposta una domanda di restituzione delle azioni. La finalità del sequestro giudiziario è, infatti, quella di assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzati di quegli stessi beni su cui è stato autorizzato e posto il vincolo; un’azione di accertamento e/o costitutiva relativa alla illegittimità di una delibera e degli atti ad essa conseguenti non è compatibile con il sequestro giudiziario.
Sequestro giudiziario e prova della simulazione di cessione di quote sociali
Il sequestro giudiziario è ammissibile tutte le volte che ricorra la necessità di garantire l’attuazione di futuri provvedimenti di tutela giurisdizionale, tenuto conto della particolare correlazione esistente tra l’oggetto del sequestro e l’oggetto della pretesa che viene dedotta nel giudizio di merito. In ordine al fumus boni juris della domanda di sequestro, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale (e quindi anche mero contrasto di interessi, senza necessità della pendenza di una lite) di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (cd. jus in re), nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (cd. jus ad rem). Dunque, il sequestro è ammissibile non solo per le azioni reali (così come sembrerebbe suggerire il tenore letterale dell’art. 670 c.p.c.) ma anche per quelle personali che comportino comunque una restituzione del bene, restando il sequestro giudiziario incompatibile soltanto con le azioni di accertamento o costitutive.
E’ ammissibile un sequestro giudiziario richiesto da una procedura concorsuale che intenda proporre domanda di restituzione delle quote in conseguenza della domanda principale di accertamento della nullità e/o simulazione e di quella subordinata di risoluzione dei contratti di cessione di quote.
In tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, all’esito di un giudizio di sintesi di una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.), nei quali il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascuno di essi è idoneo a produrre a fronte di un fatto ignoto, la cui esistenza deve poter essere dimostrata in termini di ragionevole certezza. Costituiscono, invero, elementi presuntivi della simulazione: i1 dissesto del debitore; la causa simulandi, quale quella di volersi sottrarre alla improvvisa responsabilità di un obbligo; l’essersi con la vendita spogliato l’alienante di ogni suo avere; i1 mancato esborso di alcuna somma da parte del debitore o l’aver dato atto nel rogito di vendita che il prezzo era già stato versato; il prezzo di gran lunga inferiore al valore della cosa venduta; il patto di riscatto; la disponibilità ed il possesso della cosa rimasti nel venditore magari sotto forma di locazione; i rapporti di parentela, di affinità o di stretta amicizia tra alienante e acquirente; la clandestinità dell’atto; la coabitazione degli stipulanti.