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Art. 2468 c.c.
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31 Ottobre 2023

In caso di comproprietà di partecipazioni, solo il rappresentante comune ha diritto a impugnare una delibera

La disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza  necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.

In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea ed il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo titolare la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.

La controversia relativa all’impugnazione della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata per abuso del diritto di voto da parte della maggioranza consiste nella denunzia di una causa di annullabilità della delibera e non di nullità. Ne consegue che il terzo non è legittimato a proporre l’impugnazione per vizio di annullabilità della delibera.

Nell’azione di nullità di delibera assembleare, a differenza che nell’azione di annullamento ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse, il terzo deve allegare e dimostrare un interesse concreto ed attuale alla declaratoria di nullità in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò significa che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.

L’art. 2469 c.c. stabilisce che le partecipazioni sociali nelle s.r.l. possono essere liberamente trasferite, nei limiti delle previsioni dell’atto costitutivo, ma tale trasferimento ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito presso il registro delle imprese dell’atto notarile che attesta la cessione della quota, ai sensi dell’art. 2470 c.c. La qualifica di socio non interviene con il mero deposito della domanda pubblicitaria, ma dal momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. Quindi, l’iscrizione nel registro delle imprese fa sì che l’acquirente diventi socio della società e permette a quest’ultimo di opporre il proprio acquisto e la propria qualifica ai terzi.

L’operatività dell’art. 2500 bis c.c. è circoscritta alla sola delibera di trasformazione e a quelle a essa strettamente funzionali e non anche a delibere meramente contestuali o accessorie. L’invalidità della deliberazione contenente modifiche non consentite non è sanata dall’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., tutelando detta norma la stabilità dell’organizzazione del nuovo tipo societario, rispetto alla quale restano ininfluenti le deliberazioni solo occasionate dalla trasformazione.

La convocazione dell’assemblea non solo deve essere spedita anteriormente, ma deve comunque essere ricevuta prima dell’assemblea, di modo da consentire un consapevole esercizio del potere deliberativo. Nulla impedisce ai soci di convenire, all’atto della stipulazione del contratto di società, una disciplina diversa, che faccia decorrere il termine di convocazione dall’effettiva e documentata ricezione dell’avviso di convocazione anziché dalla sua spedizione. Occorre, però, sottolineare che la disciplina ha pur sempre per presupposto che il socio sia convocato: e ciò può dirsi avvenuto solo a condizione che l’avviso di convocazione abbia in qualche modo raggiunto il proprio scopo di far sapere al socio che si terrà un’adunanza in un certo luogo, in una certa data e con un certo ordine del giorno (anche se lo spazio di tempo a sua disposizione per prepararsi ad intervenire può in concreto risultare variabile).

21 Settembre 2023

Comproprietà di partecipazione in s.r.l. e legittimazione a impugnare la delibera assembleare

Qualora una quota di s.r.l. sia oggetto di comproprietà (volontaria o ereditaria), ogni posizione attiva dei diritti dei singoli comproprietari deve essere fatta valere dal rappresentante comune, il quale deve essere eletto a maggioranza, a sua volta calcolata non per teste, bensì avendo a riguardo al valore delle quote dei partecipanti alla comproprietà, ai sensi dell’art. 2468, co. 5 c.c., il quale rinvia agli artt. 1105 e 1106 c.c. Pertanto, in caso di comproprietà di partecipazioni, unico titolare della legittimazione a impugnare una deliberazione assembleare non è il singolo comproprietario – carente del potere di impugnare, così come di quello di esercitare il diritto d’intervento e di voto in assemblea –, bensì unicamente il rappresentante comune.

3 Luglio 2023

La destinazione degli utili, tra distribuzione e reimpiego degli stessi

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.

Il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

La sistematica mancanza di distribuzione di dividendi può costituire un indice rivelatore dell’atteggiamento prevaricatore della maggioranza assembleare, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il suo intento di penalizzare i soci di minoranza dal momento che la destinazione degli utili a riserva è fonte, al contempo, di non trascurabili vantaggi per il patrimonio sociale: infatti, gli utili destinati ad incrementare le riserve vanno, comunque, ad accrescere il patrimonio netto della società a beneficio del valore di liquidazione o di scambio della partecipazione sociale anche di minoranza oltre che a realizzare l’interesse all’autofinanziamento dell’impresa sociale.

24 Novembre 2022

Sull’efficacia della clausola di liquidation preference non inserita nello statuto sociale

La clausola di liquidazione preferenziale (cd. “liquidation preference clause“) inserita in un accordo di investimento – e non replicata in alcuna disposizione statutaria – ha efficacia esclusivamente tra i sottoscrittori dell’accordo di investimento nel quale è stata inserita e non è opponibile, all’interno della società, ai soci non aderenti, nell’ambito della distribuzione dell’attivo di liquidazione, non avendo trovato tale clausola di liquidazione preferenziale collocazione nello statuto sociale; il bilancio finale di liquidazione che non abbia correttamente individuato il riparto dell’attivo ai soci deve essere dichiarato invalido.

27 Giugno 2022

Legittimazione all’impugnativa di delibera assembleare in caso di contitolarità di una quota del capitale sociale

Va esclusa la legittimazione all’impugnativa di una delibera assembleare in capo al singolo socio in fattispecie di contitolarità, pro-indiviso, di quote di partecipazione al capitale sociale, in quanto la disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che, nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.

In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea e il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo socio la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.

Appartenendo la legitimatio ad causam alla generale categoria delle condizioni dell’azione, ovvero operando quale indefettibile presupposto affinché possa rendersi una decisione sul merito, essa deve essere valutata al momento della decisione. Occorre distinguere i presupposti processuali – ossia i requisiti che devono sussistere ai fini della instaurazione del rapporto processuale –, che devono esistere sin dal momento della domanda, e le condizioni dell’azione – ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilità della controversia nel merito –, che devono esistere al momento della decisione. L’intervenuta divisione, in corso di causa, della quota di capitale sociale originariamente in comunione può essere considerato evento idoneo a conferire la legittimazione ad agire (c.d. legitimatio superveniens) al socio attore che ne era inizialmente carente.

7 Febbraio 2022

Comproprietà della partecipazione sociale e clausola di gradimento

L’eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato, configurandosi come una rinuncia all’esperimento dell’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, costituisce un’eccezione propria e in senso stretto (avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale) con la conseguenza che deve essere proposta dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito.

Alla comproprietà della partecipazione sociale – traducendosi in una sorta di comunione avente ad oggetto la quota sociale – è applicabile in via diretta la disciplina della comunione ordinaria, la legittimazione ad agire rimanendo in capo ai comproprietari della partecipazione societaria ogni qual volta l’azione è esercitata unitariamente da tutti i comproprietari della partecipazione stessa. La nomina del rappresentante comune infatti è determinata dalla necessità di assicurare sul piano organizzativo un corretto e trasparente svolgimento dei rapporti fra società e comunisti ma non sottrae il potere ai singoli laddove l’iniziativa concordata prevenga i rischi che conflittualità interne abbiano a riflettersi sulla portata delle deliberazioni assembleari.

Qualora lo statuto sociale di una s.r.l. preveda una clausola di mero gradimento e tale gradimento sia concesso, non spetta ai soci il diritto di recesso. Ai sensi infatti dell’art. 2469 c.c. il diritto di recesso non deve ritenersi accordato ai soci per il mero fatto della presenza di tale clausola, ma dalla circostanza che non sia consentito ai potenziali soci l’ingresso in società. Il diritto di recesso infatti non è la contropartita della pattuizione, compiuta dai soci nell’esercizio dell’autonomia privata, di una clausola di gradimento, bensì dalla limitazione alla libera trasferibilità delle quote che consegue al diniego del gradimento.

Codice RG 848 2017
19 Novembre 2021

Sulla (non) abusività della delibera di scioglimento della società

La facoltà di deliberare lo scioglimento anticipato della società previsto dall’art. 2484, primo comma, n. 6), c.c. è espressione delle prerogative della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e di autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), tanto che la decisione non deve essere motivata ed è sindacabile nel merito da parte dell’autorità giudiziaria solo quando si alleghi l’esistenza di una situazione di abuso del diritto.

Pertanto, la tutela giuridica della chance attribuita al socio di conseguire in futuro un diritto amministrativo non può raggiungere un’ampiezza tale da precludere il diritto della maggioranza di deliberare lo scioglimento anticipato della società.

La chance prevista dallo statuto esiste fintanto che esiste la società; non è illegittima una decisione della maggioranza di sciogliere la holding perché sostenuta da una diversa valutazione circa l’assetto e l’organizzazione della gestione della controllata, rientrando tale valutazione e scelta nell’ambito del diritto della maggioranza. [In presenza di una clausola contenuta nello statuto della holding che prevede, come nel caso di specie, (i) l’attribuzione, ad uno dei due soci, del diritto di voto per una percentuale maggiore rispetto al capitale sociale dal medesimo detenuto all’interno della società e (ii) che, al venire meno della qualità di socio del titolare di detto diritto particolare, questo si trasferisce automaticamente in capo all’altro, il Tribunale di Milano ha escluso che la delibera assembleare di scioglimento della società controllante assuma natura abusiva per il fatto di privare l’altro socio dell’aspettativa di conseguire in futuro il diritto particolare attribuito dallo statuto].

4 Giugno 2021

Delibera di sospensione della distribuzione degli utili e formalità dell’iscrizione dei soci nel registro delle imprese

La delibera di distribuzione degli utili fa sorgere in capo al socio (ancora) proprietario delle quote – in base al mero dato formale dell’iscrizione al registro delle imprese – il diritto individuale alla corresponsione dei dividendi, anche
nel caso in cui si sia nel frattempo perfezionato un negozio traslativo delle quote medesime ma in assenza del deposito dell’atto e dell’iscrizione.

La delibera con la quale l’assemblea dei soci vota la distribuzione degli utili può incidere sull’an e sul quantum, ma non può stabilire peculiari modalità di distribuzione o ripartizione tra i soci stessi che non siano previste nell’atto costitutivo o, in mancanza, che deroghino al principio c.d. di proporzionalità. Tantomeno, ai sensi dell’art. 2478-bis, co. 3, c.c., l’assemblea può disporre la distribuzione degli utili per una parte delle quote di titolarità di alcuni soci e l’accantonamento per altra parte di titolarità di altri e diversi soci, in quanto tale decisione lederebbe ingiustificatamente e iniquamente il diritto individuale di questi ultimi alla corresponsione degli utili.

28 Maggio 2021

Approvazione del bilancio finale di liquidazione e legittimazione a proporre reclamo in caso di comproprietà di una partecipazione in srl

Qualunque socio, indipendentemente dall’entità della sua partecipazione, è legittimato – secondo quanto stabilito nell’art. 2492 co. 3 c.c. – all’impugnazione del bilancio finale di liquidazione nei novanta giorni successivi all’iscrizione dell’avvenuto deposito. La mancata proposizione del reclamo, decorsi novanta giorni dalla data dell’iscrizione, vale quale approvazione tacita del bilancio finale di liquidazione. Tuttavia, al di là della procedura legale tipica di approvazione del bilancio finale di liquidazione contenuta nell’art. 2493 co. 1 c.c., è data ai soci la possibilità di approvare lo stesso espressamente prima del decorso del termine. Ove intervenga l’approvazione espressa, a maggioranza dei soci, del bilancio finale di liquidazione e l’autorizzazione all’immediata cancellazione della società dal registro delle imprese, il diritto del singolo di reclamare il bilancio finale è neutralizzato. Una volta avvenuta [come nella specie] la cancellazione della società alle condizioni di legge, questa non può più esser revocata e la persona giuridica è definitivamente estinta, in quanto, il sistema delineato dagli artt. 2492 / 2495 c.c. è speciale rispetto alla regola generale di cui all’art. 1421 c.c.

Nel caso di contitolarità di una quota di partecipazione indivisa, ai sensi dell’art. 2468 ult.co. c.c. il diritto a proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione è del rappresentante comune risultante dalla pubblicità commerciale, in quanto, l’efficacia nei confronti della società a responsabilità limitata delle vicende circolatorie – e quindi degli assetti proprietari – delle quote, dipende, per espresso disposto di legge, dalle iscrizioni nel registro delle imprese. Non può essere riconosciuta un’autonoma legittimazione al singolo contitolare, diverso dal rappresentante comune, ad impugnare il bilancio finale di liquidazione;  tantomeno, contro la volontà approvativa espressa dal rappresentante comune della quota. Eventuali abusi o inadempimenti del rappresentante comune alle indicazioni eventualmente ricevute dai contitolari rappresentati, possono trovare sanzione azionando in giudizio la sua responsabilità ex mandato.