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Sulla natura dell’azione promossa dalla curatela contro l’organo gestorio e i requisiti del periculum in mora per il sequestro conservativo

Nell’ipotesi di azione promossa dalla curatela nei confronti degli organi gestori della società, la pretesa azionata per la quale la cautela è richiesta ha natura di credito risarcitorio per responsabilità contrattuale, in ragione della violazione dell’obbligo gestorio che l’amministratore ha nei confronti della società e relativo alla conservazione del suo patrimonio, azione che si cumula con quella dei creditori sociali, avente invece natura extracontrattuale. Di conseguenza, la curatela ha l’obbligo di allegare l’inadempimento imputato all’amministratore, così come ha l’onere di allegare e provare il danno derivante dall’inadempimento ed il nesso causale, essendo invece onere del convenuto, a mente dell’art. 1218 c.c., allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio, il che si traduce nell’onere di allegare e provare che le condotte imputate e che hanno determinato un depauperamento patrimoniale della società siano state poste in essere negli interessi della società stessa.

Quanto al periculum in mora per l’ottenimento di un sequestro conservativo, detto presupposto cautelare può essere indagato sia sotto il profilo eminentemente soggettivo, riferito alla stessa condotta inadempiente dell’amministratore che, in termini prognostici, possa far ritenere che il medesimo, nelle more del giudizio di cognizione, ponga in essere atti dispositivi del suo patrimonio volti a diminuire la garanzia generica di soddisfazione del credito risarcitorio vantato dalla procedura, così come può essere indagato sotto il profilo eminentemente oggettivo, riferito cioè alla oggettiva insufficiente consistenza del patrimonio rispetto alla verosimile consistenza del cautelando credito risarcitorio.

29 Maggio 2023

Principi in materia di diritto di prelazione e tutela cautelare

La prelazione deve sostanziarsi nella accettazione delle stesse condizioni (modalità, prezzo) offerte dal terzo acquirente al socio alienante, il che implica la fungibilità della controprestazione (prelazione c.d. propria); se questa, invece, è infungibile, il diritto di preferenza si configura in termini affatto diversi (c.d. prelazione impropria), non giustificandosi con l’accettazione delle stesse condizioni proposte dal terzo, ma con l’offerta di condizioni differenti, che i soci, approvando lo statuto, hanno ritenuto satisfattive.

La prelazione, intesa come mero obbligo di preferire un contraente piuttosto che un altro, può essere solo quella propria: l’infungibilità del corrispettivo dell’alienazione è, in sé stessa, ostativa all’ammissibilità dell’esercizio del diritto di prelazione, giacché rende impossibile il rispetto della parità di condizioni che ne costituisce il sostrato causale. Infatti, la prelazione di per sé è solo un obbligo di preferire a parità di condizioni. Per stabilire, invece, una facoltà di acquisto ad un prezzo dato, invece del trasferimento a terzi, è necessario che sia previsto nello statuto qualcosa in più, in realtà di diverso, della semplice prelazione.

La c.d. denuntiatio può avere natura di proposta o promessa contrattuale (rispetto alla quale la dichiarazione del prelazionario si configura come accettazione), oppure di invito ad offrire. Con riguardo alla prelazione convenzionale, a seconda di come è configurato il diritto, è possibile che la denuntiatio costituisca un mero avviso della disponibilità di un terzo a contrattare alle condizioni comunicate. Se configurata in tal modo dall’accordo delle parti, se ne dovrebbe dedurre non solo che, con l’esercizio della prelazione, il contratto non è ancora stipulato, ma addirittura che la denuntiatio neppure obbliga il denunciante a contrarre – tanto meno nei casi in cui il diritto di prelazione è riconosciuto a più soggetti –, né attribuisce al beneficiario un diritto alla conclusione del contratto, ma solo ad essere preferito ad altro contraente se ed in quanto un contratto abbia luogo.

La clausola di prelazione, se inserita (solo) in un patto parasociale, non è opponibile alla società né al terzo acquirente; talché la cessione eventualmente avvenuta in sua violazione non può impedire all’acquirente di chiedere, e alla società di effettuare, la registrazione del trasferimento, mentre il diritto di prelazione – spendibile solo nei confronti del socio che ha alienato, non del terzo acquirente estraneo a quel patto – non consente al titolare dello stesso di ottenere il retratto della quota, ma solo il risarcimento del danno dal socio inadempiente. Se invece la clausola è inserita nello statuto, essa è opponibile anche al terzo acquirente e alla società, perché la sua espressione statutaria la rende parte integrante dell’ordinamento societario nel quale il terzo intende fare ingresso; e ciò vale tanto più, ovviamente, se l’acquirente è già socio. In tale ipotesi, sarà proprio la cessione delle azioni, avvenuta in violazione della clausola, a risultare inopponibile alla società, la quale non dovrà registrare il trasferimento, che resterà invece valido solo tra alienante ed acquirente; l’inefficacia relativa del trasferimento, inidoneo ad incidere sull’assetto societario, rappresenta ed esaurisce la tutela degli altri soci, i quali non hanno perciò (di nuovo) alcun diritto di retratto sulla quota ceduta. Se poi l’organo amministrativo procedesse alla registrazione, pur in presenza di una violazione della clausola e della contestazione da parte di altri soci titolari del diritto di prelazione, si esporrebbe ad una responsabilità personale nei confronti di questi ultimi.

15 Maggio 2023

Presupposti per la concessione del sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.

Per la concessione sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora, intesi, il primo, come dimostrazione della verosimile esistenza del credito per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario e prognostico, la probabile fondatezza della pretesa creditoria e, il secondo, come timore di perdere la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.

In particolare, per la sussistenza del requisito del periculum in mora occorre: da un lato, che la garanzia del credito tutelato si sia assottigliata oppure sia in procinto di assottigliarsi quali-quantitativamente rispetto al momento in cui il credito è sorto, a causa di condotte dispositive del debitore o dell’aggressione che dei suoi beni abbiano fatto o stiano per fare altri creditori; dall’altro, che il timore di perdere la garanzia del proprio credito si basi su elementi oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito, oppure soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio, non essendo comunque sufficiente a tal fine un mero giudizio di incapienza in sé del patrimonio del debitore né il mero sospetto circa la sua intenzione di sottrarre alla garanzia tutti o alcuni dei suoi beni.

Sequestro conservativo strumentale all’azione di responsabilità contro gli amministratori

Ai sensi dell’art. 2381 c.c., ciascun amministratore privo di deleghe gestorie è tenuto ad agire in modo informato, dovendo chiedere agli organi delegati che siano fornite informazioni relative alla gestione della società, di modo che, in presenza di segnali di allarme, si attivi per evitare condotte gestorie foriere di danno.

In assenza di una specifica previsione statutaria e di un’autonoma delibera di riconoscimento del diritto al compenso in favore degli amministratori, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è di per sé idonea a incorporare la specifica delibera assembleare di determinazione del corrispettivo, salvo che vi sia perfetta coincidenza tra la posizione degli amministratori e dei soci. In questo caso, la delibera di approvazione del bilancio è sufficiente a manifestare la volontà negoziale dell’assemblea stessa di approvare anche la determinazione dei compensi dovuti agli amministratori, pur in difetto di un verbale che evidenzi un’espressa discussione sul punto.

L’inadempimento delle obbligazioni tributarie espone gli amministratori a responsabilità per i danni subiti dalla società, che devono essere parametrati all’importo delle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e degli interessi maturati dopo la scadenza del termine di pagamento, atteso che tali esborsi sarebbero stati evitati se l’amministratore avesse diligentemente adempiuto ai propri obblighi. Grava sull’amministratore l’onere di eccepire e provare di non aver potuto pagare, pur avendo impiegato la dovuta diligenza, in ragione dell’incapienza finanziaria o patrimoniale della società

Ai fini della concessione del sequestro conservativo, il requisito del periculum in mora è desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, che riguardano l’inadeguatezza della consistenza del patrimonio del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore, i quali lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa compiere atti dispositivi idonei a provocare il depauperamento del suo patrimonio.

A fronte della transazione proquota stipulata con uno degli amministratori obbligati in solido per un importo inferiore alla quota interna di responsabilità, nella determinazione dell’importo per il quale il sequestro dev’essere concesso il debito residuo gravante sugli altri co-obbligati dovrà essere ridotto in misura pari al valore dell’intera quota del condebitore transigente.

2 Maggio 2023

Il periculum in mora nel sequestro giudiziario di quote

Caratteristica tipica di tutti i provvedimenti cautelari – sia tipici che atipici, indipendentemente dal fatto che la domanda venga proposta ante causam o nel corso del giudizio – è la strumentalità, da intendersi quale idoneità del provvedimento richiesto ad assicurare provvisoriamente gli effetti della pronuncia di merito.

La finalità del sequestro giudiziario è assicurare la fruttuosità dell’esecuzione conseguente all’accertamento del diritto alla restituzione del bene al termine del processo di cognizione.

Il sequestro è strumentale all’esperimento sia di azioni reali che di azioni personali: si è in presenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso non solo quando siano esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui venga proposta un’azione contrattuale che, ove accolta, comporta la condanna alla restituzione di un bene.

Il requisito del periculum in mora va ravvisato nell’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene.

Quando la domanda cautelare di sequestro giudiziario si fonda sull’intervenuta risoluzione di diritto di un contratto di cessione di quote, tale opportunità è determinata dal timore che il cessionario, restando inerte a fronte della richiesta di retrocessione, possa compiere atti di alienazione o di disposizione giuridica delle quote ancora in suo possesso in favore di terzi ovvero eserciti i diritti sociali nonostante sia privo della qualità di socio.

L’intenzionalità nella responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. e i presupposti della postergazione dei finanziamenti soci

L’art. 2476, co. 8, c.c. configura un concorso di responsabilità del socio, che si è ingerito nell’atto di gestione della società, con l’amministratore che ha posto in essere l’operazione foriera di danno. La disposizione in esame richiede che il comportamento del socio sia connotato da intenzionalità, cosicché chi intenda dimostrare la responsabilità del socio ex art. 2476, co. 8, c.c. è onerato di fornire la prova, se non della volontà del socio co-gestore di cagionare specifiche lesioni patrimoniali, perlomeno, della piena consapevolezza di questi della contrarietà dell’atto di gestione alle norme di legge o dell’atto costitutivo o ai principi di corretta amministrazione.

Occorre interpretare in modo unitario il secondo comma dell’art. 2467 c.c., nel senso che entrambi i presupposti ivi enucleati vanni ricondotti a situazioni di crisi che pongano la società a rischio di insolvenza, idonee a fondare una sorta di concorso potenziale tra tutti i creditori della società. Tali situazioni di crisi possono manifestarsi sia in fase di start-up se la società è sottocapitalizzata (proprio perché i soci hanno preferito finanziarla, anziché conferire capitale di rischio) e quindi v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori; sia in seguito, quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe “ragionevole”, effettuino finanziamenti, aumentando l’indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di crisi), proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, ragionevolmente in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti.

Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.

Alla prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si applica l’art. 2949, co. 2, c.c. e il termine quinquennale decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale, che deve essere oggettivamente conoscibile dai creditori. Vige una presunzione iuris tantum per cui lo stato di incapienza diventa conoscibile al momento della dichiarazione di fallimento; chi intende vincere la presunzione è tenuto a dimostrare che l’insufficienza patrimoniale si è manifestata in un momento anteriore e che tale stato di insufficienza patrimoniale era divenuto oggettivamente conoscibile ai terzi con l’uso dell’ordinaria diligenza. Ed invero, la nozione di insufficienza patrimoniale si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., costituita dal patrimonio della società, ed essa rappresenta un mero fatto contabile, che si verifica quando il patrimonio della società presenti una eccedenza delle passività sulle attività, ovverosia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, è insufficiente al loro soddisfacimento. L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori può risultare da qualsiasi fatto oggettivamente conoscibile all’esterno e pertanto anche dai dati e dalle informazioni desumibili dal bilancio. Tale situazione non coincide con la perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. D’altra parte, l’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, ovvero, all’opposto, presentare un’eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste per continuare ad operare.

7 Marzo 2023

Limitazioni al diritto del socio a consultare i libri sociali

Il diritto a consultare i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione ex art. 2476 c.c. è riconosciuto, in analogia con quanto disposto dall’art. 2261 c.c., a qualunque socio non amministratore di una s.r.l., indipendentemente dalla consistenza della partecipazione di cui risulti titolare. Il diritto potestativo in questione soffre solo di una limitazione strettamente legata al principio di buona fede ex art. 1375 c.c., che vieta di esercitare il diritto per scopi estranei al controllo di gestione della società. I soci non possono esercitare i propri diritti di controllo con  modalità tali da recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti: una scelta puramente emulativa o vessatoria o antisociale di tempi e modi dei diritti di controllo farebbe, infatti, esorbitare questi ultimi dallo scopo per cui sono stati concessi dall’ordinamento ai soci stessi.

Deve ritenersi consentito limitare il diritto alla consultazione della documentazione sociale e alla estrazione di copia attraverso l’accorgimento del mascheramento preventivo dei “dati sensibili” presenti nella documentazione, quali, ad esempio, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori, laddove le esigenze di controllo individuale della gestione sociale – cui è preordinato il diritto del socio ex art. 2476 c.c. secondo comma – si contrappongano a non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società, tra cui rientra sicuramente la necessità di mantenere la riservatezza su dati e informazioni che il socio, anche involontariamente, potrebbe diffondere nell’ambito familiare avente interessi imprenditoriali contrastanti.

10 Febbraio 2023

L’esercizio del diritto di ispezione dei soci di s.r.l.: il diritto di estrarre copia della documentazione

Deve essere concessa al socio la possibilità di estrarre copia della documentazione sociale consultata ai sensi dell’art. 2476, co. 2, c.c., tenuto conto che tale possibilità appare connaturata alla effettività dell’esercizio del diritto di controllo, altrimenti in fatto limitato o, comunque, richiedente modalità di consultazione che, data la complessità della documentazione da esaminare, risulterebbero eccessivamente onerose ovvero non esaustive.

L’esercizio della facoltà di controllo non trova limiti specifici, se non quelli desumibili dal comportamento secondo buona fede e, in genere, dalle esigenze di tutela della società medesima; attengono all’esercizio della suddetta facoltà anche la possibilità di estrarre copia della documentazione richiesta, nonché di operare l’esame così richiesto attraverso terzi professionisti appositamente incaricati.

Il diritto di controllo può essere esercitato in via potestativa, senza che il socio debba indicare o dimostrare l’utilità della documentazione a cui intende accedere rispetto ad uno specifico interesse fermo restando il limite di azioni palesemente abusive e del necessario rispetto di esigenze di riservatezza di sociali. Pertanto, salvi casi di palese violazione del dovere di buona fede e salve le esigenze di riservatezza della società, che possono comportare l’adozione di accorgimenti opportuni, come il mascheramento di dati sensibili o la stipulazione di accordi di riservatezza, negare al socio la possibilità di estrarre copia dei documenti, sia pure a sue spese, si traduce in una violazione mediata del diritto del socio a esercitare il controllo ex art. 2476, co. 2, c.c.

L’interesse del socio a informarsi e ispezionare la documentazione relativa alla gestione non è strettamente legato al tempo di formazione del singolo documento ed è ben possibile che una verifica sull’operato degli amministratori, anche ma non soltanto ai fini di un’azione di responsabilità, richieda l’esame combinato di documenti formatisi in tempi diversi, purché tuttora conservati dalla società e quindi nell’arco dei dieci anni previsti dall’art. 2220 c.c.

L’interesse del socio a informarsi e ispezionare i documenti sociali, per sua natura, è normalmente incompatibile con i tempi di un giudizio ordinario di cognizione.