Art. 2352 c.c.
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Il custode delle quote è il solo legittimato a partecipare all’assemblea e a impugnare la delibera
In virtù del combinato disposto degli artt. 2471 bis e 2352 c.c., in caso di pignoramento delle quote sociali, il custode giudiziario delle quote è l’unico soggetto legittimato a rappresentare le quote in assemblea, sussistendo in capo al socio pignorato un difetto di legittimazione alla rappresentanza delle partecipazioni pignorate in assemblea. Pertanto, in mancanza della relativa convocazione, le quote non possono ritenersi validamente rappresentate e il custode giudiziario è legittimato all’esercizio dell’azione di annullamento della delibera assembleare eventualmente assunta.
L’eventuale nuova convocazione dell’assemblea e la sostituzione della delibera assunta in mancanza della necessaria convocazione e partecipazione del custode giudiziario determina la cessazione della materia del contendere in relazione all’impugnazione della delibera precedentemente assunta. Tale declaratoria, peraltro, non pregiudica la domanda di condanna alla refusione delle spese di lite, domanda che deve essere vagliata facendo ricorso alla regola delle soccombenza virtuale.
In caso di CdA con due membri, la legittimazione a impugnare le delibere assembleari spetta all’organo collegiale
All’amministratore revocato è riconosciuta la legittimazione a impugnare la deliberazione di revoca, qualora intenda lamentare che la stessa non è stata correttamente assunta, facendo valere non già un proprio interesse, bensì l’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il potere gestorio sia attribuito a un consiglio di amministrazione composto da due membri, la legittimazione a impugnare le delibere non conformi alla legge o allo statuto spetta all’organo gestorio e non individualmente a ciascun amministratore.
Ai sensi dell’art. 2352 c.c., in caso di pignoramento di partecipazioni sociali, l’esercizio del diritto di voto è assegnato, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio; tale attribuzione del diritto di voto costituisce elemento connaturale al pegno di partecipazioni sociali. La convenzione contraria richiamata dalla disposizione va intesa quale eventuale accordo tra socio datore di pegno e creditore pignoratizio, derogatorio della disciplina ordinaria e da comunicare alla società al fine di consentire in assemblea l’esercizio del diritto di voto al soggetto legittimato, e non già quale patto tra soci versato nello statuto. Si tratta infatti di un diritto disponibile da parte del creditore pignoratizio nei rapporti interni con il proprio debitore.
Patti parasociali: criteri di interpretazione dei contenuti del contratto e limiti all’adempimento dei paciscenti
La domanda di accertamento del significato di un patto parasociale passa attraverso l’individuazione del quadro dei vincoli di fonte negoziale intervenuti e operanti tra le parti e, ancor prima, dell’individuazione dei relativi effetti e dei soggetti vincolati, ottenibile mediante l’interpretazione degli accordi intercorsi, alla luce dei criteri fondamentali, da applicarsi senza necessità di riconoscere alcuna priorità al senso strettamente letterale: (i) dell’esame del dato letterale e della comune intenzione delle parti, nonché della valutazione del comportamento complessivo tenuto dalle medesime anche successivamente alla stipulazione (ex art. 1362 c.c.), fermo restando che oggetto della ricerca ermeneutica è il significato oggettivo del testo, rispetto al quale il senso letterale delle parole è il primo, ma non esclusivo strumento, imponendosi un’indagine comprensiva dell’elemento logico, in un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione che devono fondersi e armonizzarsi; (ii) della valutazione congiunta delle clausole nel loro insieme (art. 1363 c.c.); (iii) della buona fede interpretativa (art. 1366 c.c.); (iv) dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.); nonché avuto, comunque, riguardo alla causa in concreto, intesa come lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto.
L’onere processuale incombente sulla parte attrice asserita creditrice, nelle azioni contrattuali, ricomprende, oltre all’allegazione dell’inadempimento, anche e ancor prima la prova del titolo negoziale costituente la fonte genetica della pretesa creditoria azionata; prova includente quella della ricorrenza in concreto dei presupposti fattuali che determinano l’insorgenza e l’operatività degli obblighi asseritamente disattesi e la cui assoluzione presuppone, a monte, la puntuale delineazione del contenuto e dei limiti dell’impegno contrattualmente assunto e asseritamente inadempiuto.
In nome del principio di buona fede, in forza del quale ogni contraente è tenuto, nell’esecuzione del contratto, alla salvaguardia dell’interesse perseguito dalla controparte con la pattuizione, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio, l’estensione e il contenuto degli obblighi giuridicamente cogenti del patto parasociale e delle condotte adempitive dell’obbligo assunto con la pattuizione non può condurre il paciscente sino alla violazione di norme di legge imperative o al compimento di atti illeciti, tali da esporlo a responsabilità nei confronti della società: donde, se è pur vero che la natura extrasociale del patto può condurre a incorrere in responsabilità da inadempimento nei confronti delle controparti il contraente che esprima il proprio diritto di voto in maniera divergente dall’impegno assunto, pur nell’ambito di una delibera normativamente conforme e pertanto valida ed efficace erga omnes, non è invece vero l’opposto, non essendo possibile ritenere rimproverabile e fonte di danno sine iure l’omissione, da parte del paciscente, di condotte che, pur necessarie e idonee alla realizzazione dell’interesse perseguito della controparte, implichino la violazione di norme e doveri di legge o statutari.
Nomina del custode a seguito del sequestro delle partecipazioni sociali
A norma dell’art. 2471 bis c.c., richiamante la disciplina prevista dall’art. 2352 c.c., ove siano sottoposte a sequestro le partecipazioni sociali, è d’uopo provvedere, ai fini dell’attuazione della misura cautelare, alla nomina del custode che eserciti i diritti di voto, provvedendo alla gestione delle partecipazioni sequestrate mediante esercizio dei relativi diritti amministrativi.
In caso di pignoramento di quote di s.r.l. il voto è esercitato dal custode
In caso di quota sottoposta a pignoramento, la legittimazione all’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi spetta al custode per applicazione analogica del combinato disposto degli artt. 2471 bis e 2352 c.c., atteso che sia il pignoramento che il sequestro assolvono ad una funzione conservativa del valore del bene tale per cui la situazione del creditore pignorante è equiparabile a quella del sequestrante. Ne deriva che il mancato avviso di convocazione di un’assemblea al custode rileva come causa di nullità della delibera assembleare assunta ai sensi dell’articolo 2479 ter, co. 3, c.c., dovendosi assimilare l’ipotesi di carenza assoluta di informazione a quella di carenza assoluta di convocazione.
Sequestro conservativo di quote di s.r.l. e nomina del custode
Il sequestro conservativo si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento e, dunque, l’esecuzione del sequestro conservativo di quote di s.r.l. è disciplinata dall’art. 2471 c.c. Peraltro, nelle ipotesi in cui il provvedimento cautelare sia stato adottato nel contraddittorio sia con il socio-debitore che con la società, la tempestiva iscrizione del sequestro nel registro delle imprese costituisce l’unica formalità sufficiente al perfezionamento del vincolo sulle quote: la notifica prescritta dall’art. 2471 c.c. non è necessaria, perché il vincolo di indisponibilità è opponibile alle altre parti sin dalla pronuncia in udienza o dalla successiva comunicazione del provvedimento.
A fronte del sequestro conservativo di quote, l’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi spetta al custode, la cui nomina è necessaria ex lege, al fine di preservare il valore economico delle partecipazioni. Il valore delle partecipazioni sociali può essere, infatti, facilmente condizionato nel loro valore dalla carente gestione societaria che, ovviamente, dipende anche dalle modalità di esercizio dei diritti spettanti ai soci.
Assemblea convocata dal socio, espressione abusiva del voto e nullità della delibera assembleare
È nulla la delibera assembleare assunta a seguito della convocazione da parte di un socio a ciò non abilitato e nella quale il voto determinante sia stato espresso, in violazione del disposto di cui all’art. 2471 bis c.c., dal socio e non dal creditore pignoratizio.
L’insussistenza della legittimazione all’esercizio del voto del promissario acquirente di quote di s.r.l. L’assemblea totalitaria
Quanto alla legittimazione all’esercizio del diritto di voto in assemblea da parte di colui che abbia sottoscritto un contratto preliminare di acquisto delle quote di una s.r.l., va considerato, da un lato, che l’art. 2479 c.c. dispone che il diritto di voto spetta esclusivamente ai soci e, dall’altro, che l’art. 2470 c.c. stabilisce che il trasferimento della quota è opponibile alla società, e conferisce, quindi, al nuovo socio il diritto di voto in assemblea, solo dopo che sia stato concluso, con la forma d’atto pubblico, il contratto definitivo di cessione della quota e l’atto sia stato depositato presso l’Ufficio del Registro delle Imprese. Solo in casi eccezionali, espressamente disciplinati dalla legge, il diritto di voto può essere esercitato da un soggetto diverso dal socio (ad es., le ipotesi di pegno, usufrutto o sequestro della quota, ex art. 2352 c.c., richiamato dall’art. 2471 bis c.c.).
Ai sensi dell’art. 2373 c.c. il conflitto d’interessi è causa di annullamento solo quando il socio sia portatore di un interesse che si pone in conflitto con quello della società, e la delibera possa arrecarle un danno.
Anche nel caso in cui si sia verificata un’ipotesi di irregolarità della convocazione assembleare, questa resta sanata – ai sensi dell’art. 2479 bis, co. 5, c.c. – dal fatto che all’assemblea abbia poi partecipato la totalità del capitale sociale, unitamente all’organo amministrativo e all’organo di controllo, e che nessuno dei presenti si sia opposto alla trattazione della questione.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata, quand’anche adottata in assenza di giusta causa, è da ritenersi in ogni caso valida, fermo restando il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato di ottenere il risarcimento dei danni eventualmente patiti.
Usufrutto di titoli azionari e garanzia ex art. 1002 c.c.
L’obbligo di garanzia di cui all’art. 1002 c.c. non trovi spazio applicativo nel caso di usufrutto di azioni, dal momento che lo “sdoppiamento” dei titoli ex art. 2025 c.c. rende superfluo l’obbligo di “restituire” la res in capo all’usufruttuario. Quest’ultimo, infatti, riceve un titolo del tutto distinto e diverso, rispetto a quello originario, che il nudo proprietario-proprietario non ha interesse ad ottenere. Al termine dell’usufrutto, invero, si effettueranno le annotazioni del caso sul titolo del proprietario e sul libro soci e il diritto del proprietario si espanderà nuovamente per essere venuto meno il vincolo reale, senza necessità di ottenere la restituzione di alcunché. Non sussistendo alcuna obbligazione di reintegrazione nel possesso della res, conseguentemente non sussiste alcuna necessità di fornire una garanzia specifica a copertura dell’obbligazione de qua. Inoltre, nel caso di usufrutto di partecipazioni azionarie, l’uso del bene non comporta alcuna “consumazione” del bene stesso, dovendosi sempre considerare che – a differenza di quanto accade per i beni materiali – l’esercizio di taluni diritti, connessi alla titolarità di una partecipazione sociale, non comporta sempre un potere di incidere in via diretta sul valore della partecipazione stessa, dal momento che “partecipazione” e “patrimonio” nell’ambito societario non sono concetti che stanno sullo stesso piano. D’altro canto è insito nella natura della “partecipazione” una oscillazione fisiologica del valore del titolo, dipendente per lo più da fattori intrinseci e non “controllabili” dall’usufruttuario. Così come va considerato che una certa “discrezionalità” nell’esercizio dei diritti amministrativi da parte dell’usufruttuario è ineliminabile e non sindacabile dal nudo proprietario. Elementi tutti che – diversamente opinando – renderebbero alquanto ardua la determinazione dell’ammontare della garanzia, ovvero tanto gravosa, da giungere ad annullare il contenuto stesso del diritto di usufrutto.
Mancata convocazione del socio la cui partecipazione è sottoposta a sequestro preventivo penale
La deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una società per azioni, che sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilità.
Il sequestro preventivo penale, ex art. 321 c.p.p., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate, sicché il diritto di intervento e di voto nelle assemblee spetta al custode designato in sede penale. L’attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l’annullamento ai sensi dell’art. 2377 c.c., stante la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà.