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19 Marzo 2022

I presupposti per la prova in giudizio dell’azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Non è fondata l’azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. senza dimostrazione in giudizio dei fatti costitutivi della stessa. Grava sulla parte che propone tale azione l’onere di dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie: la condotta, il danno, il nesso di causalità e l’elemento soggettivo. [ Continua ]
20 Febbraio 2023

Riduzione facoltativa del capitale sociale

L'art. 2482 c.c. contempla un’ipotesi di riduzione del capitale meramente facoltativa, a differenza di quelle disciplinate dagli articoli successivi che regolano la riduzione del capitale per perdite, dalla quale – in assenza di opposizione dei creditori – discende l’obbligo di rimborso ai soci delle quote pagate nei limiti deliberati. Nel caso di specie, la delibera di riduzione del capitale ricondotta all'art. 2484 c.c. stabiliva che «per quanto emerso dall’ultimo bilancio approvato, si è creata una liquidità di cassa ed una esuberanza del capitale sociale rispetti ai normali bisogni dell’azienda sociale. In considerazione di tutto ciò, si considera l’opportunità di effettuare un rimborso ai soci dei mezzi economici eccedenti le necessità sociali, attraverso una corrispondente riduzione del capitale sociale, così liberando delle risorse finanziarie che potrebbero essere più utilmente utilizzate dai soci». [ Continua ]

La responsabilità degli amministratori e il criterio dei netti patrimoniali

La responsabilità degli amministratori è regolata dall’art. 2476 c.c., il quale prevede che gli amministratori sono responsabili per i danni che la società patisce a seguito dell’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. L’attore è tenuto a provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno che si è verificato, mentre il convenuto ha l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta. Per verificare se la prosecuzione dell’attività di impresa per un periodo considerevole in presenza di perdita del capitale sociale sia fonte di danno, si può applicare applicare il “criterio dei netti patrimoniali o dell’aggravamento del dissesto”: la giurisprudenza consente di ricorrere a criteri presuntivi e in particolare alla determinazione del danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., utilizzando il criterio della differenza dei netti patrimoniali  nell’ipotesi in cui non sia possibile ricostruire con certezza le vicende che hanno determinato il dissesto e le singole operazioni dannose. L'applicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali deve rispondere ai principi della logica e del buon senso e richiede la presenza di due condizioni: (i) la corretta individuazione del primo termine di paragone, ossia il bilancio a partire dal quale la società risulta aver perso il capitale con conseguente obbligo per gli amministratori di convocazione dell’assemblea dei soci ai fini della messa in liquidazione della società medesima.  Tale bilancio, per essere comparabile a quello finale e per evitare che all’agente siano imputati danni legati alla mera variazione dei criteri valutativi (di regola da quelli di continuità a quelli liquidatori), deve essere rettificato alla luce dei criteri di redazione di un bilancio di liquidazione (secondo il principio contabile OIC 5). Esso deve essere, quindi, depurato di tutte quelle componenti che si giustificano solo in una prospettiva di continuità aziendale. In alternativa, occorre non applicare i criteri liquidatori alla situazione patrimoniale finale, così che le situazioni patrimoniali durante tutto l’arco temporale considerato siano omogenee. (ii) Quanto al secondo termine di paragone, esso coincide con la realizzazione del comportamento doveroso richiesto dalla legge ovvero con la messa in liquidazione o, se questa manca, con la dichiarazione di fallimento. Successivamente, occorrerà escludere dalla perdita incrementale “pura” eventualmente individuata quelle componenti negative costituite da costi ineliminabili e/o non imputabili che la società avrebbe sostenuto anche nel caso di tempestiva interruzione dell’attività (quindi in fase di liquidazione), qualora gli organi ritenuti responsabili avessero adempiuto ai propri obblighi; lo stesso dicasi per le minusvalenze derivanti dalla svalutazione di attività aziendali che si sarebbero in ogni caso verificate in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività di impresa. [ Continua ]
19 Luglio 2022

L’azione di responsabilità ex art. 146 L.F.: atti di mala gestio del liquidatore della società

Costituisce atto di mala gestio l'omessa tempestiva richiesta di auto-fallimento da parte del liquidatore di S.r.l. [ Continua ]
19 Luglio 2022

La ripartizione dell’onere probatorio tra cedente e cessionario di quote di S.r.l.

In un contratto di promessa di cessione di quote di S.r.l. , la clausola in esame che ricollega alla mancata messa in mora una presunzione di avvenuto pagamento da parte del cessionario, comporta un’inversione dell’onere probatorio e fa gravare sul cedente una vera e propria probatio diabolica, giacché egli, qualora intenda contestare l’avvenuto pagamento, risulta onerato di dare dimostrazione del fatto che il cessionario non abbia adempiuto: prova negativa evidentemente quasi impossibile da fornire. Il patto in parola, dunque, contrasta con il disposto dell’art. 2698 c.c., secondo il quale alle parti è data la facoltà di intervenire sul regime dell’onere probatorio, salvo che l’inversione o la modificazione abbiano come effetto di rendere eccessivamente difficile all’interessato l’esercizio del diritto. La violazione di tale limite, rilevabile d’ufficio, comporta l’invalidità della clausola, che deve dunque essere ritenuta nulla e non produttiva di effetti nel caso di specie. [ Continua ]
8 Gennaio 2023

Interpretazione della clausola compromissoria: i criteri per la determinazione della natura rituale o irrituale dell’arbitrato

Al fine di accertare se una clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo alla volontà delle parti desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo l'arbitrato rituale quando debba ritenersi che le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice e, ricorrendo invece un arbitrato irrituale quando debba ritenersi che abbiano inteso demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi, dovendosi optare, nel caso in cui residuino dubbi sull'effettiva volontà dei contraenti, per l'irritualità dell'arbitrato, tenuto conto che l'arbitrato rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice ordinario, deve ritenersi abbia natura eccezionale. Nell'opera di individuazione della tipologia di arbitrato, è opportuno avere riguardo ad alcuni criteri generali, tra cui la presenza di elementi ed espressioni terminologiche utilizzate dai contraenti all'interno della clausola compromissoria. Sono decisivi per la configurazione di un arbitrato irrituale, ad esempio, le espressioni che individuano la materia devoluta all'arbitro ovvero l'indicazione della funzione assegnata allo stesso come la naturale evoluzione del mancato raggiungimento di un accordo tra i contraenti. Inoltre, è necessario individuare le espressioni che rinviano all'obbligatorietà delle determinazioni dell'arbitro anche con riferimento all'attribuzione delle spese tra le parti. [ Continua ]
24 Febbraio 2022

La delibera di esclusione del socio: requisiti e ipotesi di invalidità.

La delibera assembleare di esclusione del socio dalla compagine sociale deve essere adeguatamente motivata; al contrario, non è previsto il medesimo obbligo per la conseguente comunicazione di esclusione. Da tale assunto deriva che la comunicazione di esclusione del socio che risulti priva dell'indicazione dei motivi posti alla base della decisione adottata, può rilevare solamente sotto il profilo del termine previsto per l'impugnazione della delibera e non influisce, invece, sull'invalidità di quest'ultima.   [ Continua ]

L’azione di responsabilità ex art. 146 L.Fall.: la corretta tenuta delle scritture contabili e la gestione conservativa della società

L'amministratore di S.r.l. risponde dei danni conseguenti alla prosecuzione dell’attività sociale nonostante il sostanziale stato di liquidazione in cui versava la società stessa (nel caso, il sostanziale stato di liquidazione sarebbe emerso contabilmente ove l'amministratore avesse correttamente contabilizzato sanzioni, interessi tributari e ammortamenti). Il danno è correttamente stimabile nell’aggravamento del dissesto patrimoniale cagionato dall’indicata gestione non conservativa, depurato dei costi fisiologici della liquidazione. [ Continua ]
14 Settembre 2022

Azione di responsabilità contro gli amministratori: requisiti di prova e di allegazione del danno in giudizio

Nel caso in cui una S.r.l. promuova azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore lamentando la mancata rilevazione di ricavi da parte di quest'ultimo, essa è tenuta a produrre la documentazione attraverso cui ha determinato l'ammontare dei ricavi asseritamene non rilevati dall'amministratore (nel caso di specie, la società non aveva depositato i documenti sulla scorta dei quali il proprio consulente di parte aveva condotto le indagini, con conseguente impossibilità per il giudice di disporre eventuali accertamenti d’ufficio per difetto di materiale probatorio da analizzare).   [ Continua ]
21 Novembre 2021

La natura del rapporto contrattuale tra l’amministratore e la società

Il rapporto che lega l’amministratore, cui è affidata la gestione sociale, alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato né tout court solo come mandato né come rapporto di lavoro subordinato né come collaborazione continuata e coordinata, rientrando invero le prestazioni dell’amministratore piuttosto nell’area del lavoro professionale autonomo ovvero, secondo una tesi maggiormente convincente, dovendo lo stesso essere qualificato come rapporto societario con caratteristiche sue proprie. Gli amministratori sono tenuti a compiere non solo singoli e ben determinati atti giuridici, ma una complessa attività di gestione, tra cui anche le scelte strategiche più importanti della società. Gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, fatto salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, nel caso in cui la revoca avvenga senza giusta causa. La nozione di giusta causa di revoca dalla carica gestoria prevista dall’art. 2383 c.c. esclude il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno derivante dallo scioglimento anticipato del rapporto. Si distinguono le ipotesi di giusta causa in oggettive e soggettive: le prime si verificano nel caso in cui una circostanza, estranea alla volontà dell’amministratore, impedisca la prosecuzione del rapporto, mentre le seconde ricorrono quando viene meno il rapporto fiduciario fra la società e l’amministratore, a causa di un evento imputabile a quest’ultimo. [ Continua ]