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Responsabilità degli amministratori e dei sindaci di s.p.a.

La sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli articoli 295 c.p.c., 654 c.p.c. e 211 disposizioni attuazione c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale.

L’identificazione dell’oggetto della domanda va peraltro operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, producendosi la nullità solo quando, all’esito del predetto scrutinio, l’oggetto risulti “assolutamente” incerto.

Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione (cfr. Cass. civ., 14 maggio 2024, n. 13345).

I provvedimenti resi sulla denuncia di irregolarità nella gestione di una società, ai sensi dell’art. 2409 cod. civ., ancorché comportino la nomina di un ispettore o di un amministratore con la revoca di quello prescelto dall’assemblea, ovvero decidano questioni inerenti alla regolarità del relativo procedimento, sono privi di decisorietà, in quanto, nell’ambito di attribuzioni di volontaria giurisdizione rivolte alla tutela di interessi anche generali ed esercitate senza un vero e proprio contraddittorio, si risolvono in misure cautelari e provvisorie, e, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non statuiscono su di essi a definizione di un conflitto tra parti contrapposte, nè hanno attitudine ad acquistare autorità di giudicato sostanziale.

In caso di decadenza del sindaco, è necessario anche ai fini dell’applicabilità del meccanismo di sostituzione previsto dall’art. 2401 c.c. e, ulteriormente, ai fini dell’iscrizione nel Registro delle Imprese della cessazione della carica e della nomina del nuovo del sindaco, una deliberazione formale risulta un passaggio inevitabile per consentire che l’avvenuta decadenza sia resa conoscibile alla società ed ai terzi, nei confronti dei quali la decadenza sarà opponibile solo in seguito a tale iscrizione.

Posto che è lo stesso art. 2938 c.c. a stabilire espressamente la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione – è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l’eccezione di prescrizione costituisce eccezione in senso proprio e che, come tale, deve essere tempestivamente sollevata dalla parte.

A norma dell’art. 50 c.p.c., se la riassunzione della causa — disposta a seguito di una pronuncia dichiarativa di incompetenza — davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato, il processo continua davanti al nuovo giudice mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali di quello svoltosi davanti al giudice incompetente, poiché la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario.

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte – in caso di fallimento – confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 L.F., la quale – assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime, attesa la ratio ad essa sottostante identificabile nella destinazione di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali – implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne immuta i presupposti.

Le due azioni, anche se esercitate cumulativamente ai sensi dell’art. 146 L.F., debbono considerarsi distinte, perché basate su presupposti differenti e soggette a diverso regime giuridico, con particolare riferimento al calcolo dei termini per la prescrizione.

Con riguardo all’azione sociale, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c., il termine prescrizionale decorre dal momento in cui il danno diventi oggettivamente percepibile all’esterno e cioè si sia manifestato nella sfera patrimoniale della società – non rilevando a tal fine che l’azione di responsabilità abbia natura contrattuale ex art. 2392 c.c., in virtù del rapporto fiduciario intercorrente con l’amministratore – ferma restando, però, la sospensione del termine fino a quando l’amministratore sia in carica (art. 2941 n. 7 c.c.).

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 2394 c.c., esercitata dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti; pertanto, in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. civ., 14 giugno 2014, n. 13378; Cass. civ., 4 dicembre 2015, n. 24715; da ultimo, Cass. civ., 6 febbraio 2023, n. 3552).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, dalla quale decorre la prescrizione dell’azione dei creditori, ex art. 2395 c.c., proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio, consiste nella eccedenza delle passività sulle attività: non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale (che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo) né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento (ex multis, cfr. Cass. civ. n. 25977/2008; Cass. civ. n. 24175/15).

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (c.d. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere (cfr. Cass. civ., , 22 giugno 2017, n. 15470).

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti (cfr. Cass. civ., 11 novembre 2010, n. 22911; Cass. civ., 7 febbraio 2020, n. 2975).

Tralasciando i profili di responsabilità propria dei sindaci, la responsabilità degli organi di controllo delle società di capitali può derivare anche da un comportamento doloso o colposo degli amministratori che i sindaci avrebbero potuto e dovuto prevenire od impedire nell’espletamento della loro funzione di vigilanza: si parla, con riferimento a tali ipotesi, di responsabilità dei sindaci concorrente con quella degli amministratori.

Come si vede, la responsabilità dei sindaci, anche nell’ipotesi in cui essa sia concorrente rispetto a quella degli amministratori, non costituisce una responsabilità indiretta, ma una responsabilità per fatto proprio consistente nella violazione del dovere di vigilare diligentemente sull’operato degli amministratori: si tratta, all’evidenza, di una responsabilità per culpa in vigilando. Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni dall’art. 2403 c.c. concerne l’operato degli amministratori e tutta l’attività sociale, al fine di assicurare che la stessa venga svolta nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo.

Integra violazione dei doveri di controllo, posti dall’art. 2407 c.c., l’omessa vigilanza circa il compimento da parte dell’organo amministrativo di irregolarità di gestione per operazioni non riportate nella contabilità e per finanziamenti a società collegate divenuti causa del dissesto finanziario della società poi dichiarata fallita (cfr. Cass. Civ., 6 settembre 2007, n. 18728).

I sindaci non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie” (cfr. Cass. civ., n.3459/2024).

L’accertamento, da parte dell’amministratore unico ovvero da parte del consiglio di amministrazione, del verificarsi di una causa di scioglimento della società non ha carattere, né effetto costitutivo dello stato di scioglimento, ma puramente e semplicemente dichiarativo del medesimo. Conseguentemente, il divieto di compiere atti non conservativi sorge per il solo verificarsi della causa di scioglimento, anche prima ed indipendentemente dal fatto che l’assemblea ne prenda o ne abbia preso atto.

Le condizioni della azione di risarcimento danni nei confronti degli amministratori, riconducibile all’attività da essi posta in essere dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, sono il compimento, dopo tale evento, di atti di gestione non aventi una finalità meramente conservativa del patrimonio sociale (liquidatoria), il danno ed il nesso di causalità tra condotta e danno….la parte che agisce in giudizio (la curatela) ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuta, invece, a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari. Di fronte all’allegazione della curatela relativa al compimento, da parte dell’amministratore, successivamente al verificarsi della causa di scioglimento della società, di atti produttivi di nuovi debiti è onere dell’amministratore provare che gli atti in oggetto non fossero espressione della normale attività di impresa, ma avessero una natura meramente liquidatoria” (Cass. civ., 5 gennaio 2022, n. 198).

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma 2, l.fall., la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo (cfr. Cass. civ., 17maggio 2021, n. 13220; Cass. civ., 12 maggio 2022, n. 15245).

In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali per il compimento di atti gestori non conservativi dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, i criteri di liquidazione del danno previsti dall’art. 2486, comma 3, c.c., come modificato dall’art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019, costituiti dalla differenza dei netti patrimoniali e dal deficit patrimoniale, attengono ad una valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. e sono applicabili – a meno che in causa non siano dedotti e individuati elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto – anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore della citata norma (cfr. Cass. civ., 25 marzo 2024, n. 8069).

In materia di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci (art. 2407, comma 2, c.c.), non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una evidente violazione, ovvero, non abbiano reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero. Pertanto ai fini della configurabilità della responsabilità dei sindaci, non è richiesto che un particolare comportamento, sia espressamente previsto dalla legge. Sussiste, infatti, un obbligo di attivazione e di immediata reazione dei sindaci tutte le volte in cui gli organi amministrativi abbiano compiuto atti di mala gestio (cfr. Cass. civ., 19 febbraio 2024, n. 4315).

22 Gennaio 2024

Azione di responsabilità del curatore nei confronti dell’ex amministratore

In applicazione dei principi generali sull’onere di allegazione e della prova in tema di responsabilità civile contrattuale, il curatore che agisce verso l’ex amministratore per il risarcimento del danno deve fornire la prova della fonte del suo diritto (la carica di amministratore svolta dal convenuto) e allegare l’inadempimento ai doveri imposti all’amministratore di società dalla legge e dallo statuto, mentre sull’amministratore convenuto incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. Il curatore deve altresì allegare e dimostrare, quali elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, il danno e il nesso di causalità con l’inadempimento dell’amministratore, ma non è tenuto a provare l’imputabilità dell’inadempimento all’amministratore sul quale grava l’onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile ex art 1218 c.c. Tali oneri gravano sul curatore che agisce anche per far valere la responsabilità dell’amministratore verso i creditori sociali, azione cui si attribuisce natura di responsabilità extracontrattuale, dovendo in aggiunta farsi carico non solo di allegare, ma altresì di provare il comportamento dell’amministratore convenuto in violazione del dovere del neminem laedere. In generale, l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa, o concausa, efficiente del danno, sicché l’allegazione del creditore non può attenere a un inadempimento, qualunque esso sia, ma a un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.

I doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dallo statuto agli amministratori di società sono assai variegati. In parte risultano puntualmente specificati e s’identificano in ben determinati comportamenti quali, ad esempio, la predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, la tenuta delle scritture contabili, la predisposizione dei bilanci e i prescritti adempimenti fiscali e previdenziali, il divieto di concorrenza, e via elencando. Per il resto, si tratta di doveri il cui preciso contenuto non è sempre facile da specificare a priori, in quanto essi derivano dall’essere l’amministratore preposto all’impresa societaria e dal suo conseguente obbligo di compiere con la necessaria diligenza tutto ciò che occorre per la corretta gestione di essa. Ne discende che anche le conseguenze dannose – per la società e per i suoi creditori – che possano eventualmente scaturire dalla violazione dei suddetti doveri, dovendo essere in rapporto di causalità con quelle violazioni, non sono suscettibili di una considerazione unitaria, ma appaiono destinate a variare a seconda di quale sia stato l’obbligo di volta in volta violato dall’amministratore. In tanto, allora, ha senso parlare dell’individuazione del danno, del nesso di causalità che deve sussistere tra il danno medesimo e la condotta illegittima ascritta all’amministratore, della liquidazione del quantum debeatur e degli oneri di prova che gravano in proposito sulle parti del processo, in quanto si sia prima ben chiarito quale è il comportamento che si imputa all’amministratore di aver tenuto e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo amministratore, quel comportamento ha integrato.

6 Settembre 2023

Questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, recante disciplina di favore per i revisori in tema di prescrizione

L’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, per il quale il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione della responsabilità dei revisori deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, costituisce lex specialis, di indubbio favore, che esclude l’applicabilità in via analogica delle regole dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci con i quali pure il revisore sia chiamato in correità; e che ricomprende indistintamente tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 contro il revisore dalla società revisionata come anche dai soci di questa e dai terzi in genere. Tale norma presenta caratteri di possibile illegittimità costituzionale [pertanto, il tribunale ha sollevato, con separata ordinanza, quesitone di legittimità dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010].

La mancanza di autorizzazione del giudice delegato al curatore perché intraprenda un giudizio, concernendo un’attività svolta nell’esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria con effetto ex tunc, anche mediante successiva autorizzazione nel corso del processo, purché l’inefficacia degli atti non sia stata nel frattempo già accertata e sanzionata dal giudice.

L’atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, può tuttavia valere come atto di costituzione in mora, ed avere perciò l’efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore ex art. 2943, co. 4, c.c.

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali. L’azione ex art. 146 l.fall. implica una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti; tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare le domande risarcitorie in commento, una di natura contrattuale (l’azione sociale di responsabilità), l’altra di natura extracontrattuale (l’azione di responsabilità verso i creditori). Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.

L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso rimane sospeso per l’amministratore, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dalla carica. L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio sociale, per l’inidoneità dell’attivo, raffrontato alle passività, a soddisfare i loro crediti. In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione de qua e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti l’onere di fornire prova contraria della diversa data anteriore di conoscibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

Prescrizione dell’azione di responsabilità verso i creditori sociali

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società è soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado conoscere l’insufficienza del patrimonio sociale per la soddisfazione dei loro crediti. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione relativa di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando, quindi, all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale

25 Gennaio 2023

Presupposti per la concessione del sequestro conservativo di beni degli amministratori di una s.r.l. fallita

Ai sensi dell’art. 671 c.p.c., il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Per la concessione dell’invocato provvedimento cautelare è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, intesi, il primo, come dimostrazione della verosimile esistenza del credito per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario e prognostico, la probabile fondatezza della pretesa creditoria e, il secondo, come timore di perdere la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.

Il requisito del periculum in mora non deve consistere nel mero timore soggettivo del creditore di perdere le garanzie del proprio credito, ma deve concretarsi in una situazione di pericolo reale e oggettivo, evincibile sia da elementi oggettivi (concernenti la sopravvenuta inadeguatezza – qualitativa o quantitativa – del patrimonio del debitore rispetto al presunto credito da tutelare), sia da elementi soggettivi (desumibili dal comportamento del debitore che renda verosimile l’eventualità di un depauperamento del suo patrimonio). Quindi, a differenza dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., nella disciplina sul sequestro conservativo il legislatore non richiede la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile, ma esclusivamente la concreta possibilità che il patrimonio del debitore risulti inadeguato al soddisfacimento del credito.

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità di questi verso la società, quanto a quelli della responsabilità verso i creditori sociali. Ebbene, l’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Sono da considerarsi astrattamente efficienti a produrre un danno che si assuma corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato nell’ambito della procedura concorsuale quegli inadempimenti “qualificati” dell’amministratore di società, allegati quale ragione della domanda risarcitoria, che integrano violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza In considerazione della mancata consegna delle scritture contabili il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare: tale criterio può essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

13 Luglio 2022

Mala gestio per pagamenti per cassa non quietanzati

Nel contesto dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore, il pagamento di debiti verso fornitori ‘per cassa’ senza il rilascio di quietanze rappresenta comportamento dannoso dell’amministratore, non trattandosi soltanto di una pratica censurabile dal punto di vista fiscale, ma concretamente dannosa per la società.

9 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore e compensatio lucri cum damno

Il rimedio della compensatio lucri cum damno consente di tener conto delle conseguenze positive e immediate della condotta illecita, qualora producano un vantaggio economico al danneggiato. Tale strumento trova applicazione soprattutto nei casi in cui, in virtù di un fatto illecito al danneggiato spetti, oltre al risarcimento del danno, anche un altro indennizzo o beneficio patrimoniale, individuabile sulla base dell’entità del danno da risarcire. Si tratta, più in generale, di una figura che trova riferimento normativo nell’art. 1223 c.c., che riconduce al risarcimento del danno solo la perdita subita, come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Poiché il risarcimento, attesa la sua natura compensativa e non punitiva, non deve essere fonte di arricchimento per la vittima e la sua misura non deve quindi superare quella dell’interesse leso, è necessario tener conto dei benefici entrati nella sfera del danneggiato: la natura differenziale del danno – attesa la sua funzione compensativa – impone insomma di includere nel giudizio risarcitorio non solo le componenti negative elencate dall’art. 1223 c.c. (la perdita e il mancato guadagno), ma anche le componenti positive (il guadagno e la mancata perdita).

11 Ottobre 2021

Insindacabilità nel merito delle scelte gestorie: applicazione della “business judgment rule” agli addebiti mossi contro l’amministratore di S.r.l.

In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all’azione di responsabilità proposta unitariamente dal curatore ai sensi dell’art. 146 LF diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali e nella quale confluiscono sia l’azione prevista dall’art. 2393 c.c. che quella di cui all’art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare poiché i creditori sono terzi rispetto alla società.

Come è noto, secondo costante giurisprudenza di legittimità, all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, pertanto, eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui le scelte adottate dall’ex amministratore presentassero, dal punto di vista tecnico-contabile e tecnico-giuridico, profili di irregolarità, dette scelte, in ogni caso, non risultano, per le ragioni sopra esplicitate, manifestatamente illogiche o irragionevoli, e gli eventuali errori ascrivibili all’amministratore dell’epoca possono ritenersi incensurabili in sede giudiziaria, rientrando tale operato gestorio, in concreto, nell’ambito di applicazione e dei limiti stabiliti dal principio della “business judgement rule” e, dunque, nell’alveo delle scelte insindacabili dell’amministratore, insuscettibili di costituire fonte di responsabilità ex art. 2476 c.c.

Sul tema, la Corte di legittimità, con elaborazione giurisprudenziale ormai costante e consolidata, ha affermato che, in tema di responsabilità degli amministratori, la regola dell’insindacabilità nel merito delle scelte gestionali da essi operate trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza delle stesse nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione contestata.

10 Agosto 2021

Corresponsabilità solidale dell’ente creditizio con gli amministratori nell’aggravamento del dissesto della società in liquidazione

La banca che abbia concesso finanziamento in mancanza dei requisiti di continuità aziendale presso la società finanziata, omettendo di effettuare un’attività istruttoria preliminare alla concessione del finanziamento (consistente nell’acquisizione di tutta la documentazione necessaria ad effettuare un’adeguata valutazione del merito creditizio, sia sotto il profilo patrimoniale che reddituale) viene meno al generale obbligo di diligenza imposto dall’art. 5 TUB che prevede che “la Banca deve seguire i principi di sana e prudente gestione valutando il merito di credito in base ad informazioni adeguate”, nonché viola le regole di comportamento dettate dalla Banca d’Italia nelle Istruzione di vigilanza per gli enti creditizi (cfr. Circolare n. 229 del 21.04.1999 e successivi aggiornamenti). Tale violazione rende illegittima la concessione di credito e costituisce un comportamento gravemente colposo per la banca. Qualora tale comportamento, per l’entità del credito irregolarmente concesso, abbia concretamente agevolato gli amministratori della società, di fatto e di diritto, nella prosecuzione dell’attività d’impresa, malgrado il verificarsi di una causa di scioglimento, assicurando loro la liquidità necessaria e mostrando all’esterno la società finanziata come solvibile, comporta la corresponsabilità dell’ente creditizio con gli amministratori nell’aggravamento del dissesto della società ai sensi dell’art. 2055 c.c. Tale principio vale anche quando la liquidità fornita dall’istituto di credito sia utilizzata non per il pagamento dei debiti sociali bensì per il finanziamento di altre società del medesimo gruppo.

Quanto al diritto di regresso, in presenza di condotte distrattive da parte degli amministratori, il terzo finanziatore, nel consentire colpevolmente la prosecuzione dell’attività di impresa, è responsabile dell’aggravamento del dissesto nei confronti dei terzi, ma nei rapporti interni ha diritto di regresso verso gli amministratori convenuti. Invece, per la parte di danno ascrivibile anche alla banca, ai fini del regresso interno fra condebitori, per la presunzione di eguale corresponsabilità di cui all’art. 2055 co. 2 c.c., la stessa risponde in misura pari agli altri convenuti.

19 Maggio 2021

Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare

Il termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c. e dell’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art.2394 c.c. decorre: per l’azione sociale di responsabilità dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società (termine il cui decorso rimane sospeso, ex art. 2941, n. 7 c.c. fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica); per l’azione di responsabilità dei creditori dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto.

Quando le due azioni sono esercitate congiuntamente, ai sensi dell’art. 146 l.f., dal curatore fallimentare sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

All’interno delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f., il danno alla società e ai creditori sociali derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa con finalità non meramente conservativa in costanza di una causa di scioglimento non è dato dall’incremento dei debiti, ma dall’eventuale incremento di perdita del patrimonio che costituisce la garanzia ex art. 2740 c.c. per il pagamento dei creditori sociali.