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10 Novembre 2023

Invalidità della delibera assembleare sul compenso degli amministratori per conflitto di interessi

L’inadeguatezza, l’incongruità e l’incompatibilità, valutate sotto plurimi profili, degli emolumenti stabiliti per gli amministratori sono, per natura, entità e conseguenze, di per sé sufficienti ad integrare gli estremi del conflitto di interessi. È perciò invalida ai sensi dell’art. 2479 ter, comma 2, c.c., una delibera assembleare assunta con il voto determinante dei soci di maggioranza, nella contemporanea veste di amministratori, che attribuisca a questi ultimi un compenso del tutto inadeguato rispetto all’attività gestoria demandata agli stessi nonché irragionevole e sproporzionato rispetto alla situazione economico-finanziaria della società e alle sue caratteristiche dimensionali.

Il positivo accertamento dell’irragionevolezza e/o incongruità dei compensi prospetta un conflitto di interessi in ragione dell’identità soggettiva tra i soci il cui voto favorevole ha reso possibile l’assunzione della delibera assembleare e gli amministratori che ne hanno tratto beneficio, e quindi determina l’invalidità della delibera assembleare in merito alle statuizioni relative alla determinazione dei compensi a favore degli amministratori (nella specie il Tribunale, sulla base di una CTU, ha ritenuto incongruo il compenso degli amministratori determinato in una misura di circa il 15% del valore della produzione della società, anche in considerazione della modesta attività effettivamente richiesta).

3 Maggio 2023

Il diritto di recesso del socio ex art. 2437, co. 1, lett. g), c.c.

L’eliminazione dallo statuto di una previsione che impone il raggiungimento di un quorum rafforzato per la nomina dell’amministratore delegato e del presidente e l’eliminazione di una che fa riferimento alla parità di genere all’interno del collegio sindacale sono modifiche non riguardanti direttamente i diritti di voto o di partecipazione che legittimano il socio, ai sensi dell’art. 2437, co. 1, lett. g), c.c., ad esercitare il recesso dalla società. Entrambe le modifiche, infatti, migliorano la condizione soggettiva del socio, perché, nel primo caso, si consente più agevolmente di addivenire a una decisione in ordine all’elezione dei componenti cardine dell’organo amministrativo e, nella seconda ipotesi, viene ampliata la libertà di scelta dei componenti.

In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il quorum per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g), c.c., perché l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del quorum.

Determina l’annullamento della deliberazione di modifica dello statuto sociale per mancato rispetto dell’art. 2437 ter, co. 5, c.c. la mancata informativa degli amministratori dovuta ai soci che hanno diritto di conoscere la determinazione del valore delle proprie azioni, ma non la mera inerzia degli amministratori, che comporta soltanto la possibilità per il socio di attivare il procedimento di cui al sesto comma dell’articolo.

La delibera assembleare di modifica dello statuto determinata esclusivamente dalla necessità di adeguare lo stesso a un nuovo testo normativo non fa sorgere il diritto di recesso.

L’abuso di maggioranza sussiste di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell’unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell’inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata. Si tratta di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche.

L’art. 2449 c.c. riconosce la possibilità che a singoli soci pubblici sia riservato il diritto di nomina di esponenti aziendali, ma non regola invece la diversa fattispecie in cui una clausola statutaria faccia riferimento (non a singoli soci individuati, ma più genericamente) a “soci pubblici”, senza ulteriore determinazione.

24 Aprile 2023

Impugnazione di delibera assembleare e interesse ad agire

Come per ogni altra azione, anche per l’azione di impugnazione di delibera assembleare occorre verificare in concreto l’esistenza dell’interesse ad agire e a contraddire ex art.100 cod. proc. civ., condizioni dell’azione che devono persistere in ogni fase del processo [Nel caso di specie l’interesse dell’attore all’impugnazione, sussistente al momento dell’iniziativa processuale, è venuto meno con la cessione, in corso di causa, delle proprie partecipazioni sociali ad un terzo e la conseguente fuoriuscita dell’attore dalla compagine sociale].

24 Febbraio 2023

Legittimazione all’impugnazione della delibera assembleare ed effetti della sospensiva cautelare

L’azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. È pertanto privo di legittimazione attiva ad impugnare una delibera assembleare colui che non era socio al momento dell’adozione della suddetta delibera, avendo egli perso la sua qualità di socio in conseguenza di una precedente delibera di esclusione di cui sia pur stata disposta la sospensione in via cautelare in un secondo momento.

La sospensiva cautelare di una delibera assembleare non retroagisce al momento della domanda ma produce i suoi effetti soltanto a partire dalla sua concessione. Invero, unicamente la sentenza di merito determina la rimozione totale del provvedimento gravato, provocando l’eliminazione, con efficacia ex tunc, degli effetti medio tempore prodotti e con preclusione di eventuali sue reiterazioni pedisseque, in virtù dell’exceptio rei judicatae: effetti, questi ultimi, che non conseguono in alcun modo alla mera sospensione interinale. Pertanto, alla sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio deve essere ascritta la mera finalità di evitare che la durata del processo possa incidere irreversibilmente sulla posizione del socio stesso, qualora, all’esito del giudizio, egli venga confermato tale (natura conservativa), consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario ed evitando che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, non solo non percependo gli utili, ma anche e soprattutto non potendo influire – cosa ancora più evidente quando si tratti, come nel caso concreto, di società di persone – sull’amministrazione e gestione della società.

Quando due giudizi tra cui sussiste pregiudizialità risultino pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario, non deve disporsi la sospensione di quello pregiudicato, ma occorre verificare la sussistenza dei presupposti per la riunione dei processi ai sensi dell’art. 274 c.p.c.

31 Gennaio 2023

Decorrenza del termine di impugnazione della delibera di aumento di capitale di s.r.l.

In tema di società a responsabilità limitata, il termine per l’impugnazione delle delibere relative ad operazioni sul capitale, qualunque sia il vizio fatto valere (nullità o annullabilità) è di novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 2479-ter c.c., ultimo comma, all’art. 2379-ter c.c., 1 comma, quello di centottanta giorni decorrente dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, laddove sia stata adempiuta solo questa formalità e non l’altra.

26 Gennaio 2023

Quorum costitutivo e deliberativo per le decisioni dei soci della s.r.l. e invalidità della delibera adottata in violazione dei detti quorum.

Non è nulla la clausola dello statuto che prevede che il quorum costitutivo previsto per l’assemblea dei soci sia più basso del quorum deliberativo, potendosi così verificare l’ipotesi di un’assemblea regolarmente costituita ma impossibilitata a prendere validamente qualsivoglia decisione, risolvendosi sostanzialmente in un difetto di coordinamento che, al più, rende inutile il raggiungimento del quorum costitutivo, qualora non sia raggiunta la superiore maggioranza richiesta per la deliberazione.

La previsione dell’unanimità per le decisioni dei soci della s.r.l. non risulta di per sé preclusa dalle norme del codice civile in quanto, mentre in materia di S.p.A. il codice limita le modifiche statutarie dei quorum previsti per le deliberazioni sociali alla possibilità di prevedere una “maggioranza più elevata” (art. 2368 c.c.) − elemento da cui si deriva l’inderogabilità statutaria del principio maggioritario − con riferimento alle S.r.l., a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 6/2003, il rinvio all’autonomia statutaria risulta assai più ampio, essendo la regola maggioritaria prevista “salva diversa disposizione dell’atto costitutivo”.

Ai sensi degli artt. 2479 ter e 2377 c.c. per le decisioni dei soci “che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo”, la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo legale o statutario − esistente e provvisoriamente efficace − è annullabile, essendo la categoria della nullità riservata ad ipotesi tassativamente individuate.

19 Gennaio 2023

Sulla validità degli atti posti in essere dall’amministratore invalidamente nominato in caso di annullamento della delibera di nomina

Gli atti compiuti dagli amministratori illegittimamente nominati sopravvivono anche all’eventuale annullamento della nomina stessa, dovendo la regola della retroattività giuridica della sentenza di annullamento di una delibera essere necessariamente temperata dalla limitata possibilità di ripristinazione della situazione giuridica preesistente in senso materiale. Dunque, la retroattività degli effetti delle sentenze di annullamento non è assoluta, ma incontra dei limiti, anche al fine di garantire la certezza dei rapporti medio tempore sorti. Con specifico riferimento al tema della legittimità degli atti posti in essere in esecuzione di delibera assembleare annullabile, cui attiene l’istituto della sospensione ai sensi dell’art. 2378 c.c., deve ritenersi che la sospensione dell’esecuzione della deliberazione, disposta dal giudice, rende illegittimi gli atti di esecuzione che vengano ciononostante posti in essere. Al contrario, la mancanza di un provvedimento di sospensione comporta la legittimità degli atti esecutivi, ancorché relativi a una delibera annullabile, e tale legittimità resiste al sopravvenire dell’annullamento, non travolgendo gli atti di gestione posti in essere medio tempore.

Ciò non comporta che i singoli atti, aventi contenuto negoziale, non possano essere rimossi su iniziativa dalla società, ma ciò è possibile, atto per atto, se ricorrano i presupposti dell’art. 2475 ter c.c., ossia l’ipotesi della conclusione di contratti da parte di amministratore in conflitto di interessi con la società.

L’annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 2378, co. 3, c.c., non incide – ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall’integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci – sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l’omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali.

18 Gennaio 2023

Determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali

In base al combinato disposto degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c., la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all’atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all’assemblea ordinaria. Resta di conseguenza escluso che l’assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto, senza una apposita modifica di questo.

La disciplina dettata in materia di compenso degli amministratori nella s.p.a. è applicabile anche alla s.r.l.