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26 Maggio 2023

Nullità del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni dell’istituto di credito

Rientrano nella competenza del giudice del concorso, e sono dunque improponibili o improseguibili avanti al giudice ordinario, tutte le domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione. La competenza di tale giudice riguarda, quindi, non solo le domande di condanna e di accertamento di crediti, ma anche tutte le domande che sono comunque funzionali ad incidere sul patrimonio del fallimento, compresi gli accertamenti che costituiscono la premessa di una pretesa nei confronti della massa o che sono diretti a porre in essere il presupposto di una domanda di condanna. Rimangono invece escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive che non siano dirette a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Di conseguenza, sono procedibili o proseguibili davanti al giudice ordinario tutte le domande che non sono funzionali all’accertamento di crediti da vantare verso la procedura, quali ad esempio, quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura, anche laddove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, annullabilità ovvero risoluzione del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.

A fronte di contratti autonomi, affinché possa opinarsi dell’esistenza di un collegamento che attribuisca rilevanza ad una causa concreta esterna ad essi, è sempre necessario che detto collegamento sia propriamente negoziale, ossia risulti voluto e condiviso dalle parti secondo le pattuizioni concretamente intervenute tra di esse. Tale prova può essere data, oltre che in via diretta, anche in ragione di accertamento presuntivo, sulla scorta di indizi gravi, precisi e concordanti. [Nel caso in cui si tratti di un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della banca, costituiscono indizi idonei a raggiungere tale prova la vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e l’acquisto delle azioni, nonché il fatto che precedentemente al finanziamento l’acquirente non disponesse di depositi sufficienti per l’acquisto azionario].

La norma dell’art. 2358 c.c. ha carattere imperativo, dal momento che il divieto di assistenza finanziaria è volto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e della società. In particolare, l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento del capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento e non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari a disposizione della società.

La nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. discende non solo dalla violazione di norme imperative che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche di quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Di conseguenza, nel caso in cui il collocamento di azioni avvenga in violazione delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c., la sanzione comminabile sarà quella della nullità.

L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. n. 105/1948 e il disposto dell’art. 150 bis TUB portano a ritenere che la disciplina del divieto di assistenza finanziaria è applicabile anche alle banche costituite in forma cooperativa.

18 Aprile 2023

Qualificazione delle erogazioni disposte dal socio a favore della società

Nell’ambito delle erogazioni a favore della società disposte dai soci, è necessario distinguere tra gli apporti fuori capitale e i finanziamenti. Gli apporti fuori capitale sono versamenti effettuati causa societatis e senza obbligo di rimborso; sono in grado di garantire anche un rafforzamento patrimoniale e, dunque, non danno luogo a crediti esigibili, se non per effetto dello scioglimento della società. I finanziamenti soci, al contrario, configurano veri e propri prestiti, da cui deriva un obbligo di rimborso a carico della società; sono contabilmente inseriti tra i “debiti verso altri finanziatori”, nel passivo del conto economico, e sono assimilabili in tutto, fatta eccezione per la regola della postergazione di cui all’art. 2467 c.c., a finanziamenti erogati da terzi.

Talvolta, infatti, i soci, pur senza procedere ad un aumento del capitale sociale, versano alla società somme a titolo di conferimento, denominate a volte come “versamenti in conto capitale”, a volte come versamenti “a copertura delle perdite” e ciò al fine di sopperire alle esigenze della società ovvero di costituire un fondo destinato a ripianare eventuali perdite, evitando così di incorrere nella disciplina della riduzione obbligatoria del capitale. Tali apporti, pur caratterizzandosi dalla mancanza di un obbligo di restituzione a carico della società, non possono essere equiparati ai conferimenti di capitale per inosservanza del relativo procedimento di aumento; essi incrementano il patrimonio della società senza modificarne il capitale sociale e restano perciò sottratti alla disciplina dei conferimenti. Possono, ad esempio, essere effettuati solo da alcuni soci; non essere proporzionali alle quote di partecipazione al capitale e, se si tratta di apporti diversi dal danaro, non incontrano le limitazioni previste per i conferimenti in natura.

La qualificazione, in termini di apporto di capitale ovvero di finanziamento soci, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. In questa prospettiva, l’accoglimento della domanda con la quale il socio di una società di capitali chiede la condanna della società a restituirgli le somme in precedenza alla medesima versate richiede la prova – da fornirsi da parte del socio che invoca la restituzione del finanziamento – che detto versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione: prova che deve essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto, soprattutto, dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Il momento perfezionativo del negozio di mutuo (contratto reale ad efficacia obbligatoria) coincide, di regola, con la traditio – con la consegna, cioè, del denaro, o di altra cosa fungibile, al mutuatario, che ne acquista la proprietà –, ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della res da parte di quest’ultimo, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante. Il c.d. contratto di finanziamento (o mutuo di scopo, legale o convenzionale) è, per converso, fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica, che assolve essenzialmente funzione creditizia, con la conseguenza che, specie nella ipotesi di finanziamento legale (nel quale sono già individuati i soggetti erogatori ed i beneficiari del finanziamento), la consegna della somma da corrispondere, normalmente per stati di avanzamento, e con contestuale controllo della progressiva realizzazione dello scopo, rappresenta l’esecuzione dell’obbligazione principale, anziché (come nel mutuo) l’elemento costitutivo del contratto, onde l’appartenenza della intera somma, salvo i ratei già materialmente riconosciuti e corrisposti, è riferibile non al soggetto finanziato ma all’ente finanziatore.

7 Marzo 2023

Sulla natura del finanziamento effettuato a favore della società da parte di un soggetto non socio

Non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico – vietata dall’art. 11 t.u.b. – quella effettuata sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura del finanziamento. È, dunque, lecito il finanziamento privato effettuato a favore di una società da parte di un terzo non socio qualora lo stesso sia concordato mediante trattativa privata e sia indicata la natura e la destinazione del prestito.

Il fatto che nella delibera/testo contrattuale sia previsto che il mutuatario abbia richiesto la somma per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è di per sé indicativo della sussistenza di un mutuo di scopo convenzionale, in quanto, per affermare la sussistenza di quest’ultimo, occorre che lo svolgimento dell’attività dedotta o il risultato perseguito siano in concreto rispondenti ad uno specifico e diretto interesse proprio anche del mutuante, al fine di vincolare l’utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione. Ne consegue che la destinazione delle somme ad altro fine rispetto a quello indicato eventualmente nel contratto non incide sulla validità del negozio. La violazione dello scopo convenzionale si pone, comunque, sul piano della risoluzione del contratto e non della nullità dello stesso.

L’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del solvens. Alla luce di questo criterio, le spese e le attribuzioni in favore dell’altro convivente che, per la loro entità, frequenza, natura e destinazione, risultano funzionali all’amministrazione familiare non sono ripetibili.

3 Dicembre 2021

Azione surrogatoria e pregiudizio dei diritti del mandatario nel contesto di un contratto di finanziamento

L’art. 1705, comma 1, c.c., dispone che il mandatario senza rappresentanza diviene titolare dei diritti ed obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi “anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato”. Dal ché si desume che un mandato senza rappresentanza non diviene mandato con rappresentanza sol perché conosciuto dal terzo.
Invero l’art. 1705 comma 2 c.c., oltre a precisare che i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante, aggiunge che il mandante può sostituirsi al mandatario nell’esercizio dei diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, “salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni che seguono”.
Tra i diritti richiamati vi è quello stabilito dall’art. 1721 c.c., secondo cui: “Il mandatario ha diritto di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha conclusi, con precedenza sul mandante e sui creditori di questo”.
Il combinato disposto delle norme suindicate trova fondamento anzitutto nel fatto che, rispetto ai negozi conclusi dal mandatario con il terzo, il mandante è terzo estraneo ed in secondo luogo nel fatto che la stipula del mandato obbliga il mandante a proteggere le ragioni del mandatario quanto meno astenendosi dal recargli danno. Da qui il limite alla facoltà del mandante di sostituirsi al mandatario nell’esercizio dei diritti di credito e, con riferimento ai crediti pecuniari, l’espressa previsione di un diritto di prelazione a favore del mandatario, rispetto al mandante, nei rapporti con il terzo.

Non vi sono dunque ostacoli a riconoscere il diritto del terzo debitore a svolgere eccezioni ex artt. 1705 comma 2 e 1721 c.c., nei confronti del mandante che pretenderebbe di sostituirsi al mandatario, a tutela delle ragioni del mandatario e quindi delle proprie ragioni.

(Nel caso di specie le società X e Z risultano socie della società Y. L’attore Fallimento X – dopo che X stessa nulla hanno versato a Y a titolo di finanziamento – pretenderebbe di sostituirsi a Z – unico soggetto che ha finanziato Y anche per conto ma non in nome di X – nell’esercizio del suo diritto di credito verso Y, sicché, quando questi pagasse al Fallimento X, Z si troverebbe, per riscuotere il suo credito, a doversi insinuare nel Fallimento X stesso, vedendosi soddisfatto in moneta fallimentare.
Ne deriva che la sostituzione del Fallimento X a Z nell’esercizio del diritto di credito verso Y è preclusa perché danneggerebbe in modo grave ed evidente i diritti di credito del mandatario Z.)

 

19 Giugno 2017

Inidoneità della delibera che ha approvato la richiesta di un finanziamento ai soci a fondare un credito della società verso il singolo socio, in assenza di sua successiva adesione

La delibera dell’assemblea di s.r.l. avente ad oggetto la richiesta ai soci di un finanziamento non appare di per sé idonea a fondare alcun credito della società verso il singolo socio, occorrendo una ulteriore manifestazione di volontà negoziale da parte di quest’ultimo [ LEGGI TUTTO ]

24 Giugno 2016

Prova privilegiata in un procedimento di accertamento di pratica antitrust da parte di una banca

L’onere della prova di un illecito antitrust grava sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di [ LEGGI TUTTO ]