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21 Settembre 2023

Improcedibilità ex art. 83 TUB e ambito applicativo dell’art. 2358 c.c.

L’improcedibilità ex art 83 TUB delle domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria riguarda tutte le domande che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione, che incidono sull’accertamento del passivo, anche qualora dette domande siano costitutive o di accertamento, ma vengano invocate quali presupposto del credito risarcitorio o restitutorio da far valere verso la procedura, non potendosi in tali casi derogare all’accertamento del credito e dei suoi presupposti secondo le regole del concorso. Al contrario, nonostante il riferimento all’improcedibilità di “alcuna azione” di cui al medesimo art. 83 TUB, rimangono escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo quelle domande che sono volte a conseguire un quid ulteriore e diverso, che non è nei poteri e nella competenza della procedura fallimentare o dell’impresa in liquidazione coatta amministrativa di riconoscere alla parte, quali le domande finalizzate a provocare la liberazione della parte dagli obblighi contrattuali (non ancora adempiuti) verso l’impresa in Lca, posto che la relativa declaratoria non può certo essere ottenuta nell’ambito della procedura e non è prodromica a richieste restitutorie. Invero, l’ampia formulazione dell’art. 83 TUB nel riferirsi all’improcedibilità di “alcuna azione” nei confronti dell’istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa non può essere interpretata in modo da escludere qualsivoglia tutela giurisdizionale in relazione a dette controversie che non possono essere trattate nel procedimento di accertamento dello stato passivo.

La disciplina di cui all’art. 2358 c.c. si applica anche alle società cooperative per azioni e alla fattispecie delle obbligazioni convertibili. Affinché la violazione di detta norma produca una nullità negoziale del rapporto tra banca e cliente tale da investire anche il contratto di finanziamento non basta che vi sia stato un utilizzo da parte del cliente di un finanziamento per l’acquisto azionario, o che il cliente operi con conto affidato, ma necessita che vi sia un collegamento tra negozi tale da realizzare, attraverso uno specifico collegamento tra erogazione di specifica finanza e l’acquisto, il perseguimento di uno specifico comune interesse, ovvero quello di acquisto finanziato dalla banca delle azioni proprie, con ciò integrandosi il negozio in violazione della norma imperativa.

29 Maggio 2023

Banca Popolare di Vicenza: il divieto di promuovere o proseguire azioni previsto dall’art. 83 t.u.b.

La ratio dell’art. 83 t.u.b. è quella di devolvere al giudice della procedura, oltre alle domande cautelari ed esecutive, l’accertamento delle poste di credito vantate nei confronti della liquidazione nel rispetto della par condicio creditorum.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicchè la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.

Il discrimen tra procedibilità o meno della domanda passa per l’esame del bene della vita che la parte intende ottenere: se le domande di accertamento o costitutive perseguono scopi diversi ed ultronei rispetto all’accertamento del passivo fallimentare e quindi esorbitanti rispetto ai poteri del giudice della procedura (in via esemplificativa, domande finalizzate a provocare la liberazione della parte in bonis rispetto agli obblighi contrattuali assunti, conservazione del posto di lavoro tramite impugnativa del licenziamento), esse sono procedibili se proposte avanti al giudice ordinario.

26 Maggio 2023

Nullità del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni dell’istituto di credito

Rientrano nella competenza del giudice del concorso, e sono dunque improponibili o improseguibili avanti al giudice ordinario, tutte le domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione. La competenza di tale giudice riguarda, quindi, non solo le domande di condanna e di accertamento di crediti, ma anche tutte le domande che sono comunque funzionali ad incidere sul patrimonio del fallimento, compresi gli accertamenti che costituiscono la premessa di una pretesa nei confronti della massa o che sono diretti a porre in essere il presupposto di una domanda di condanna. Rimangono invece escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive che non siano dirette a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Di conseguenza, sono procedibili o proseguibili davanti al giudice ordinario tutte le domande che non sono funzionali all’accertamento di crediti da vantare verso la procedura, quali ad esempio, quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura, anche laddove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, annullabilità ovvero risoluzione del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.

A fronte di contratti autonomi, affinché possa opinarsi dell’esistenza di un collegamento che attribuisca rilevanza ad una causa concreta esterna ad essi, è sempre necessario che detto collegamento sia propriamente negoziale, ossia risulti voluto e condiviso dalle parti secondo le pattuizioni concretamente intervenute tra di esse. Tale prova può essere data, oltre che in via diretta, anche in ragione di accertamento presuntivo, sulla scorta di indizi gravi, precisi e concordanti. [Nel caso in cui si tratti di un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della banca, costituiscono indizi idonei a raggiungere tale prova la vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e l’acquisto delle azioni, nonché il fatto che precedentemente al finanziamento l’acquirente non disponesse di depositi sufficienti per l’acquisto azionario].

La norma dell’art. 2358 c.c. ha carattere imperativo, dal momento che il divieto di assistenza finanziaria è volto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e della società. In particolare, l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento del capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento e non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari a disposizione della società.

La nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. discende non solo dalla violazione di norme imperative che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche di quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Di conseguenza, nel caso in cui il collocamento di azioni avvenga in violazione delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c., la sanzione comminabile sarà quella della nullità.

L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. n. 105/1948 e il disposto dell’art. 150 bis TUB portano a ritenere che la disciplina del divieto di assistenza finanziaria è applicabile anche alle banche costituite in forma cooperativa.

13 Aprile 2023

Sul difetto di competenza delle sezioni specializzate nelle cause aventi ad oggetto la declaratoria di nullità delle operazioni baciate

L’art. 3 del d.lgs. n. 168/2003, come modificato dal d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012, attribuisce alla competenza distrettuale delle sezioni specializzate in materia di impresa le controversie relative ai rapporti societari, con relativa elencazione esemplificativa, e le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali od ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Detta competenza si determina in relazione all’oggetto della controversia, dovendo sussistere un legame diretto di questa con i rapporti societari e le partecipazioni sociali, riscontrabile alla stregua del criterio generale del petitum sostanziale, identificabile in funzione soprattutto della causa petendi, per la intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio. Così, la lettura della citata norma deve rispettarne lettera e ratio, concorrenti nell’indicarne la corretta interpretazione e che si concretano, da un lato, nell’esistenza di una controversia relativa a rapporti societari ed a partecipazioni sociali e, dall’altro, nel rilievo di situazioni rilevanti sulla vita sociale, sia pure in senso ampio, con riguardo quindi non solo alle vicende di governo interno, ma anche alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti con la società, con gli organi societari o con gli altri soci. Quando, di converso, nessuna questione la controversia coinvolga che sia relativa ad un rapporto societario, l’interpretazione razionale della disposizione induce ad attribuire la controversia medesima al giudice non specializzato. La partecipazione azionaria si presta, a seconda dei casi, a costituire lo strumento per esprimere le diverse possibili motivazioni dell’investimento azionario, ora volto ad una funzione propulsiva nell’impresa ed ora, invece, ad un ruolo essenzialmente finanziario del socio, la cui partecipazione in società resta un mero investimento, con sostanziale indifferenza alla dialettica assembleare, organo che diventa la sede delle istanze dei creditori-investitori rispetto alla maggioranza che la governa, con la conseguenza che in queste ipotesi le controversie che avessero ad oggetto la partecipazione azionaria rientrerebbero nel novero di quelle devolute al tribunale delle imprese.

Di converso, non sussiste la competenza della sezione specializzata qualora sia introdotta controversia non avente come precipuo oggetto, individuato in ragione del petitum e della causa petendi, un rapporto di natura societaria tra socio e società, benché si invochi la violazione dell’art. 2358 c.c., bensì la invalidità di contratti di finanziamento asseritamente collegati ad acquisti azionari, ove cioè l’acquisto delle azioni e la relativa titolarità non rileva quale partecipazione effettiva alle dinamiche societarie dell’impresa, così come non rileva come espressione di un ruolo anche semplicemente finanziario del socio.

20 Febbraio 2023

Obblighi e responsabilità del revisore; in particolare, la prescrizione

Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori, nei confronti della società, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri. L’attività di revisione è preordinata a svolgere un controllo in relazione alla regolarità formale e sostanziale delle operazioni contabili effettuate sui fatti di gestione e sul bilancio da parte della società revisionata, rilasciandone all’esito la relativa attestazione. Dunque, la sua attività è costituita da un complesso di verifiche allo scopo di esprimere un giudizio indipendente e veritiero sull’attendibilità della documentazione contabile e di bilancio del soggetto oggetto di verifica. Tale opera è volta, in esecuzione di un rapporto di carattere privatistico, a realizzare l’interesse pubblico della protezione dei mercati. L’attività dei revisori è delineata all’art. 14 d.lgs. n. 39/2010, che ne regolamenta gli obblighi, tra i quali rientra la verifica, strumentale alla prestazione principale del revisore, della regolare tenuta della contabilità della società soggetta a revisione, nonché la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabile. Tale attività comporta verso i singoli risparmiatori e investitori responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e 2409 sexies c.c., essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.

Colui che agisce in giudizio contro i revisori, deve fornire la prova: (i) dell’inadempimento ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione contenuta nelle scritture contabili e trasfusa nei bilanci; (ii) del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievo; (iii) del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.

Ai sensi dell’art. 15, co. 3, d.lgs.39/2010 l’azione di risarcimento nei confronti dei revisori si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. La disciplina di derivazione comunitaria (Direttiva 43/06 e Racc CE 5-6-2008) è il risultato di una scelta del legislatore di equilibrio tra l’esigenza di garantire al danneggiato la possibilità di agire per il pieno ristoro del suo pregiudizio e quella di contenere l’eccessiva esposizione del revisore per troppo lungo ed incerto tempo. Il legislatore, dunque, al fine del raggiungimento degli obiettivi delle direttive comunitarie e seguendo le raccomandazioni in materia da parte della Commissione Europea, ha deciso, da un lato, di lasciare in capo ai revisori la responsabilità senza limiti e in solido con gli amministratori; dall’altro, di rendere tuttavia certo il dies a quo della prescrizione, individuato a partire dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento. Tale scelta, coerente con gli obiettivi della legislazione comunitaria, non appare irragionevole né eccessivamente limitativa dei diritti dei danneggiati. La specificità della materia del controllo esterno da parte del revisore giustifica la scelta del legislatore di discostarsi dal principio generale ex art 2935 c.c. che vuole che la prescrizione decorra da quando il diritto può esser fatto valere mantenendo, da un lato, la totale responsabilità del revisore in solido con gli organi sociali della società soggetta a revisione (amministratori) predisponendo tuttavia un limite di esposizione temporale che garantisca al revisore di non rimanere esposto sostanzialmente per un periodo di tempo indefinito al rischio di chiamate in corresponsabilità nei confronti di soggetti la cui individuazione ex ante è praticamente impossibile. Ciò al fine di permettere ai revisori, nell’ambito di quel contemperamento con gli interessi degli investitori, di avere contezza certa di quali possano essere i periodi contestabili nonché di sapere ex post nei confronti di quali soggetti la responsabilità solidale possa permanere. L’inadempimento imputabile ai revisori riguarda l’esercizio negligente dell’attività di revisione di ogni singolo bilancio dove il pregiudizio informativo è istantaneo e si verifica con la pubblicazione del bilancio non veritiero corredato del parere del revisore; l’eventuale differimento della manifestazione all’esterno della lesione al bene giuridico tutelato costituisce un ostacolo di mero fatto, non derivante da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto le sole che, nell’ambito dei principi generali, cui però fa eccezione la disciplina speciale ex d.lgs. 39/2010, possono impedire la decorrenza del termine di prescrizione.

10 Gennaio 2023

Banca popolare di Vicenza: applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle cooperative

L’art 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative per azioni. La disposizione normativa in esame prevede che l’operazione di assistenza finanziaria debba essere preventivamente autorizzata dall’assemblea straordinaria dovendo essa essere illustrata nella relazione accompagnatoria degli amministratori indicante le relative condizioni, quali il prezzo delle azioni, l’interesse praticato, la valutazione del merito creditizio dell’acquirente, nonché indicante la convenienza rispetto alle ragioni, agli obiettivi imprenditoriali, ai rischi che essa comporta per la solvibilità e la liquidità della società, dovendo il verbale dell’assemblea e la relazione degli amministratori essere iscritti nel registro delle imprese. Da detta disciplina emerge che l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni.

La violazione dell’art. 2358 c.c., che prevede obblighi comportamentali aventi come destinatari gli organi sociali, produce effetti non solo in ambito endosocietario, ma determina anche la nullità negoziale nel rapporto tra banca e cliente solo laddove ricorra un collegamento tra negozi volto al perseguimento di quello specifico comune interesse costituito dall’acquisto finanziato dalla banca delle azioni proprie della stessa con ciò integrandosi sul piano negoziale la violazione della norma imperativa comportante nullità negoziale. È necessaria la prova che l’assetto di interessi perseguito dai contraenti con i negozi collegati sia quello di conseguire gli acquisti finanziati vietati dalla normativa imperativa, non essendo sufficiente che il cliente, una volta ottenuto un finanziamento, abbia deciso, in autonomia e senza averlo preventivamente concordato, l’impiego della somma per l’acquisto delle azioni.

Affinché ricorra il collegamento negoziale, sono necessari sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti, pur manifestato in forma non espressa, di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.

30 Novembre 2022

Prova della violazione del divieto di assistenza finanziaria, superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b.

In tema di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b. non costituisce motivo di nullità dell’intero contratto, bensì determina l’inapplicabilità della disciplina speciale di carattere sostanziale e processuale ivi stabilita. Ne consegue che la violazione di tale limite non inficia l’assetto negoziale complessivo, il quale viene preservato con la sola disattivazione dei privilegi che il puntuale rispetto di quel limite, funzionale ad un corretto ed equilibrato funzionamento del mercato del credito, avrebbe potuto comportare in favore del finanziatore

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicché la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.

Sul divieto di promuovere azioni nei confronti delle banche in l.c.a. ex art. 83, co. 3, t.u.b.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa deve essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice ordinario può conoscerne solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito.

Tale principio ha numerose implicazioni processuali: in primo luogo, l’inammissibilità colpisce anche la domanda volta a far valere in via indiretta un credito nei confronti della procedura; la regola si applica, pertanto, anche alle azioni volte a conseguire effetti costitutivi o di accertamento che siano comunque idonee ad alterare il principio della par condicio creditorum. Inoltre, l’effetto compensativo che può derivare dalla proposizione di una domanda di declaratoria di nullità o da una pronuncia di annullamento o di risoluzione del contratto determina l’attrazione della controversia al “foro fallimentare”, fatta salva l’ipotesi in cui la pretesa formi oggetto di eccezione riconvenzionale al solo fine di paralizzare la domanda dei commissari. Infine, l’attrazione delle controversie al tribunale concorsuale in misura così ampia assicura, almeno in linea tendenziale, la parità di trattamento tra i creditori della procedura.

31 Dicembre 2020

Il titolare del credito relativo alla liquidazione di azioni di Popolare di Vicenza, o Veneto Banca, non è legittimato ad agire nei confronti del cessionario dell’azienda

Ai sensi dell’art. 3 del d.l. 25.6.2017, n. 99 (conv. in legge 31.7.2017 n. 121), concernente l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., non possono formare oggetto di cessione, neppure sull’accordo delle parti: “a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180”, ossia il capitale e gli strumenti finanziari diversi dalle azioni computabili nel capitale, “con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali”; “b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività” (art. 3 comma 1).

Dei debiti che, per accordo tra le parti o in virtù dell’art. 3 del d.l. 25.6.2017 n. 99, sono esclusi dalla cessione, il cessionario non è tenuto a rispondere, né quale obbligato in via principale, né quale accollatario ex lege del debito, salvo rivalsa nei confronti del cedente, poiché l’art. 3 comma 2 del d.l. 99/2017 prevede testualmente che “il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1“. Tale norma ribadisce la consolidata eccezione alla regola generale dell’art.2560 c.c., prevista in materia concorsuale, analogamente alle disposizioni di cui all’art. 105 l.fall. ed all’art. 90, comma 2, T.U.B..

La liquidazione della quota azionaria, in conseguenza dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio – in specie, per decesso del socio e mancato subentro dei suoi eredi – non soltanto non rientra ad alcun titolo tra le Passività Incluse, ma è anzi espressamente e tassativamente esclusa dal perimetro della cessione in quanto oggetto della pretesa è la liquidazione della quota azionaria, ossia la restituzione del capitale conferito incrementato della quota parte delle riserve. Infatti, ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. a) del d.l. 99/2017 che rinvia all’art. 52 comma 1, lettera a), punto i) del d.lgs. 16.11.2015 n. 180 che, nell’individuare le passività soggette al c.d. bail-in ai fini della risoluzione della crisi bancaria, pone al primo posto “i) le riserve e il capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare [..] con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali”. Questi debiti sono espressamente classificati come “Passività Escluse” dall’art. 3.1.4. lett. b), punto iii) del contratto.

Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, dipenda esso da recesso esclusione o morte del socio, comporta pur sempre il diritto del socio uscente (o dei suoi eredi e aventi causa) alla liquidazione della quota capitale (cfr. art. 2535 c.c.). Il mancato subentro degli eredi nella posizione del defunto costituisce quindi condizione (in senso ampio) di maturazione del diritto alla liquidazione, ma non ne snatura il fondamento, che pur sempre consiste nel rimborso del controvalore dell’investimento azionario del defunto.