Art. 1418 c.c.
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Prova della titolarità del credito, inapplicabilità del provv. Bankit 55/2005 al contratto autonomo di garanzia e mancata produzione del contratto principale
In caso di cessione “in blocco” dei crediti da parte di una banca ex art. 58 TUB, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti “in blocco” è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze.
Non può essere esteso il perimetro oggettivo dell’accertamento dell’intesa restrittiva della concorrenza effettuato da Banca d’Italia (Provv. 55/2005) al contratto autonomo di garanzia, avendo l’Autorità di vigilanza accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie e ciò in quanto il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag) ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale contrariamente dal contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui ed essendo diversa la causa concreta del contratto autonomo, che è quella di trasferire da un soggetto a un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, dalla fideiussione, nella quale ricorrendo solamente l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale
A prescindere dal nomen iuris dato dalle parti, le clausole contrattuali con le quali è previsto che “Il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente all’Azienda di credito, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutele per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio” e che“nessuna eccezione può essere apposta dal fideiussore riguardo al momento in cui l’Azienda di credito esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con debitore” qualificano il contratto quale autonomo di garanzia per cui il debitore non può avvantaggiarsi di un provvedimento amministrativo che ha riguardato esclusivamente i moduli utilizzati per le fideiussioni omnibus nel settore bancario e non anche per garanzie di diversa natura
Nel caso del contratto autonomo di garanzia, la mancata prova della trasmissione degli estratti conto a mezzo di raccomandata alla società e ai garanti non rileva ai fini della esigibilità del credito essendo irrilevante tale trasmissione ai fini della contestazione del debito laddove provato documentalmente dalla banca.
Il garante del debito principale non è tenuto al pagamento delle somme ingiunte dalla banca che non depositi il contratto dal quale si evincano le clausole applicabili al rapporto, non essendo sufficiente l’estratto delle scritture contabili certificato ex art. 50 TUB e ciò anche in presenza di un contratto autonomo di garanzia in quanto l’autonomia che caratterizza il rapporto tra garante e creditore beneficiario non può spingersi fino a realizzare un risultato vietato dall’ordinamento. Infatti, carattere fondamentale del contratto autonomo, che vale a distinguerlo dalla fideiussione, è soltanto l’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, consistente nel fatto che il garante non può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, fatta salva la facoltà di eccepire l’avvenuto soddisfacimento del creditore ovvero la mancanza di causa in quanto l’obbligazione principale non è sorta o è nulla, come nel caso di assenza del contratto bancario redatto in forma scritta
In difetto di una specifica domanda di indebito oggettivo (cfr. Cass. 188/2022) alla banca non può essere riconosciuta alcuna somma nemmeno a titolo di restituzione di quanto eventualmente erogato in forza del contratto nullo.
Delibera di esclusione del socio: valida se i motivi sono espressamente indicati nella deliberazione
Nel giudizio di impugnazione avverso la delibera di esclusione, l’indagine deve essere limitata ai motivi espressamente indicati nella deliberazione non potendo essere indicati altri ex post in giudizio.
Le clausole di esclusione del socio, previste dall’atto costitutivo, devono essere definite in modo chiaro e ancorate a parametri oggettivi preventivamente determinati, ossia devono consentire di conoscere in anticipo quali siano le condotte incompatibili con la conservazione del rapporto sociale, garantendo così al socio escluso la possibilità di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa in sede di opposizione.
Nullità del contratto di cessione di quote di s.r.l.
Sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale ed exceptio doli generalis ex art. 1993 c.c.
La sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale e, quindi, dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicché tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari.
Va esclusa l’applicabilità della sanzione della nullità virtuale al negozio giuridico violativo della c.d. normativa antiriciclaggio, dal momento che il d.lgs. 231/2007 prevede una sanzione amministrativa, esplicitando che, presupponendo la nullità virtuale l’assenza di esplicita sanzione dell’atto o della condotta, e la possibilità di affermare la nullità come sanzione, per così dire, implicitamente prevista dalla disposizione violata, essa deve escludersi ove, invece, vi sia la previsione di una espressa sanzione, come quella amministrativa.
L’art. 1993, co. 2, c.c., ai sensi del quale il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori soltanto se, nell’acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo, identifica la c.d. exceptio doli generalis. Affinché possano opporsi al possessore del titolo le eccezioni derivanti dai rapporti extracartolari opponibili al dante causa, se non occorre la prova di una vera e propria collusione, è necessaria almeno la dimostrazione che l’acquisto del titolo sia stato fatto con il programma di danneggiare il debitore, cioè con il sicuro proposito di impedire a quest’ultimo le difese, privandolo delle eccezioni che avrebbe potuto opporre al portatore precedente e di arrecargli così un danno.
ll rigetto della domanda di brevetto rende nullo il contratto di licenza per mancanza di oggetto
Il D.Lgs. n. 168 del 2003, nell’attribuire alle Sezioni specializzate in materia d’impresa la cognizione delle controversie previste dall’art. 3, prevede una competenza per materia avente carattere funzionale e quindi inderogabile. Deve essere dichiarata pertanto inefficace la clausola del contratto di licenza in cui le parti concordano un diverso foro competente.
Il contratto di licenza è nullo, mancando l’oggetto del relativo contratto, ove il titolo di proprietà industriale vantato oggetto di licenza (nella specie, un brevetto) venga rifiutato dall’UIBM per carenza dei requisiti di tutela.
Il fatto che una parti dichiari risolto di diritto il contratto non rende inammissibile l’accertamento successivo della nullità originaria del contratto essendo pacifico che l’adempimento e la risoluzione presuppongono l’esistenza di un atto morfologicamente valido, sicché la nullità può essere sempre oggetto di dichiarazione/accertamento da parte del giudice.
Nel caso in cui il differimento della prima udienza di comparizione da parte del giudice istruttore, ai sensi dell’art. 168-bis, comma 5, c.p.c. intervenga dopo che sia già scaduto il termine di cui all’art. 166 c.p.c. per la costituzione del convenuto, il differimento stesso non determina la rimessione in termini del convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico ai sensi dell’art. 167 c.p.c.
La nullità parziale delle fideiussioni omnibus
In relazione ai contratti di fideiussione omnibus, il provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 è stato ritenuto costituire prova privilegiata dell’intesa antitrust nel giudizio di nullità, ex art. 33 l. 287/1990.
L’eventuale nullità, discendente dall’intesa illecita, è limitata alle sole clausole contestate e non è estesa all’intero contratto.
La nullità parziale dei contratti di fideiussione è rilevabile d’ufficio solo ove la parte abbia scelto di chiedere l’accertamento della nullità dell’intero contratto.
La validità di un atto transattivo avente ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali
L’accordo transattivo che ha ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali è validamente concluso se, da un lato, ha ad oggetto una res dubia e, cioè, se la controversia verta effettivamente su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza e, dall’altro, se nell’intento di far cessare la situazione di dubbio i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. Tali concessioni reciproche devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già ai diritti effettivamente spettanti a ciascuna delle parti.
Ai fini di dichiarare la nullità di un atto transattivo è necessario svolgere un’indagine volta a stabilire se l’assetto d’interessi complessivamente programmato dalle parti si ponga in contrasto con norme imperative; solo in tal caso, infatti, sussisterà un divieto di transigere che comporterà il ripristino della situazione allo stato di fatto e di diritto anteriore alla stipulazione del negozio transattivo.
Morte dell’unico socio accomandatario
Se alla morte del de cuius è venuta meno la pluralità dei soci ex art. 2272, n. 4, c.c. (richiamato direttamente dall’art. 2308 c.c. e indirettamente dall’art. 2323 c.c.) e al contempo non vi sono più i soci accomandatari (art. 2323 .c.c.), queste due autonome fattispecie possono condurre ciascuna allo scioglimento della società in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro il semestre successivo. In caso di concorso tra cause di scioglimento del singolo rapporto sociale e cause di scioglimento della società diverse da quella prevista dall’art. 2284 c.c., prevale quella verificatasi e perfezionatasi per prima.
Le due disposizioni di cui agli artt. 2284 e 2272, n. 4, c.c. risultano compatibili, visto che la loro operatività si svolge su piani diversi e che ciascuna di esse conserva un proprio ambito applicativo. Pertanto, anche in caso di morte del socio in una società costituita da due soli soci rimangono comunque attivabili tutte le opzioni previste dall’art. 2284 c.c. Ove i superstiti optino per lo scioglimento della società, su tale decisione gli eredi, o legatari, del de cuius non possono incidere, giacché la loro posizione non è quella di soci, non essendo subentrati in tale veste al de cuius, ma di meri creditori della quota di liquidazione del loro dante causa. In tale ipotesi, quindi, cessa immediatamente il diritto a vedersi liquidata la quota del proprio dante causa nell’arco dei sei mesi dalla sua morte, e al fine di conseguire il valore di detta quota essi dovranno necessariamente attendere la conclusione delle operazioni relative alla liquidazione della società. In tale sede gli eredi del socio defunto, unitamente ai soci superstiti, potranno partecipare alla divisione dell’eventuale attivo, quale residuerà dopo l’estinzione di tutte le passività sociali. Invero, il diritto alla liquidazione della quota rimane attratto nel più esteso ambito della liquidazione della società, prodotta da tale scioglimento, e nella relativa sede è tutelabile. Gli eredi non assumono tuttavia la qualità di soci della società in liquidazione, partecipando solo alla distribuzione dell’eventuale attivo e, dunque, per converso, non dovendo anticipare le spese di liquidazione.
Il prezzo della compravendita è tale da determinare la carenza di causa del contratto solo laddove sia concordato un prezzo obiettivamente non serio o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. Da ciò consegue che la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, può rilevare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione e operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale.
Divieto di assistenza finanziaria e nullità contrattuale
Il divieto per la società per azioni di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni di cui all’art 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative per azioni in quanto l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per questo tipo di società. Tale disciplina trova applicazione altresì con riferimento alla fattispecie delle obbligazioni convertibili.
Il divieto de quo, laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria espressamente previste dall’art. 2358 c.c., è diretto a tutelare l’effettività del patrimonio sociale e a garantire la tenuta del sistema. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento al tempo dell’acquisto/aumento di capitale, ponendo in buona sostanza divieto per quelle operazioni di finanziamento o di garanzia attraverso le quali si può arrivare al risultato di depatrimonializzazione la società fino al suo svuotamento patrimoniale, dovendo il patrimonio essere costituito da risorse vere e non ad elevato rischio di essere vanificate.
L’operazione realizzata in violazione dell’art. 2358 dà luogo all’inosservanza di una norma imperativa di grado elevato, qual è quella tesa a tutelare interessi di sistema. Pertanto, il mancato rispetto del divieto, ove difettino le condizioni stabilite dalla legge, produce la nullità, ex art. 1418 c.c., dell’operazione di assistenza finanziaria nel suo complesso. Tuttavia, per aversi una nullità negoziale, occorre che vi sia un collegamento di natura negoziale tale per cui, in virtù dei patti intercorsi, vi sia una erogazione della provvista da parte della banca effettuata in favore degli acquirenti precisamente per l’acquisto dei titoli.
Nullità della cessione d’azienda che modifica sostanzialmente l’oggetto sociale della s.r.l. decisa dagli amministratori
La cessione d’azienda è un’operazione straordinaria, avente ad oggetto il trasferimento di un complesso aziendale a fronte di un corrispettivo in denaro o in natura. Ai sensi dell’art. 2112, co. 5, c.c., si considera trasferimento d’azienda una qualsiasi operazione, posta in essere in seguito a cessione contrattuale o fusione, che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità. Per la cessione di azienda è necessaria la forma ad probationem e non ad substantiam, salvo che la forma scritta non sia resa necessaria per la natura dei beni trasferiti o per il tipo di contratto attraverso il quale avviene il trasferimento. Inoltre, se le imprese cedute sono soggette a registrazione presso il registro delle imprese, gli atti di cessione devono essere iscritti presso il registro delle imprese e redatti con atto pubblico o scrittura privata autenticata, prevedendo il deposito della stessa iscrizione, da parte del notaio, entro trenta giorni.
La cessione d’azienda che trasformi l’attività dell’impresa cedente da produttiva a finanziaria rientra tra gli atti che modificano l’oggetto sociale stabilito nell’atto costitutivo, nonché i diritti dei soci. Il difetto del potere rappresentativo degli amministratori in relazione a tale operazione rende invalido l’atto di cessione stipulato dagli stessi in assenza di delibera assembleare ed è opponibile ai terzi, indipendentemente da qualsiasi indagine sull’elemento soggettivo. Ai sensi dell’art. 1418 c.c., infatti, il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, tra cui quella dell’art. 2479, co. 2, n. 5, c.c., che riserva ai soci il diritto di decidere se compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
La cessione di azienda o del ramo di azienda non integra un mero atto ultra vires realizzato dagli amministratori ed occasionalmente estraneo all’oggetto sociale, ma realizza un vero e proprio mutamento del settore di attività della società e del grado di rischio di investimento dei soci. Inoltre, nella categoria generale degli atti ultra vires, si distinguono quelli che, sebbene estranei all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica, da quelli estranei in quanto modificativi dell’oggetto sociale. I primi, da individuarsi negli atti aventi contenuto intrinsecamente esorbitante dal perseguimento dello specifico programma economico della società, sono opponibili solo alle condizioni di cui all’art. 2475 bis, co. 2, c.c., mentre i secondi sono sempre opponibili, in quanto posti in essere in violazione di una limitazione legale. Soltanto in relazione a tale ultima categoria di operazioni, quali, appunto, la cessione dell’azienda con modifica di fatto dell’oggetto sociale, il legislatore stabilisce, da un lato, la competenza decisoria dei soci e, dall’altro, l’opponibilità incondizionata ai terzi della violazione di tale regola di competenza da parte degli amministratori. Muovendo da tali premesse, si può affermare che l’art. 2479, co. 2, n. 5, c.c. pone un limite legale inderogabile ai poteri di rappresentanza degli amministratori, la cui violazione – a differenza del superamento dei limiti convenzionali – è sempre opponibile ai terzi. Si esclude, pertanto, che l’atto possa rientrare nella sfera di competenza degli amministratori in forza del carattere generale del loro potere di rappresentanza, sancito dall’art. 2475 bis c.c.
L’assenza di una decisione dei soci configura, così, la violazione di una norma inderogabile posta a presidio dei limiti non convenzionali, bensì legali del potere di rappresentanza degli amministratori, sicché non può essere invocata l’inopponibilità dell’invalidità dell’atto di cessione. Pertanto, se l’atto di disposizione d’azienda o di un suo ramo eccede i poteri che per legge spettano agli amministratori e implica una violazione del riparto legale delle competenze tra assemblea e amministratori, la sanzione va individuata non già nell’annullabilità del contratto, ma nella sua nullità. Non rileva in contrario che l’art. 2479, co. 2, n. 5, c.c. non prevede il rimedio della nullità quale conseguenza della sua violazione, poiché, in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, essendo applicabile l’art. 1418, co. 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.
Il complesso di beni costituito in azienda è una universalità di beni ai sensi dell’art. 816 c.c., per la quale non può trovare applicazione il principio dell’acquisto immediato in virtù del possesso, ai sensi dell’art. 1153 c.c., in virtù dell’esplicita esclusione sancita dall’art. 1156 c.c. La cessione di azienda da parte di chi non è divenuto titolare integra un’ipotesi di acquisto a non domino (e, pertanto, deve qualificarsi come vendita di cosa altrui), anche se l’acquirente non fosse a conoscenza dell’inesistenza di un valido titolo di proprietà dell’azienda in capo al venditore. Nei confronti del proprietario del bene, la cessione a non domino è inefficace, potendo, quindi, egli pretenderne la restituzione da colui che l’ha acquistato da soggetto non legittimato alla vendita.
La responsabilità civile del notaio ha natura contrattuale, ex art. 1218 c.c., rispondendo egli quale professionista incaricato dal suo cliente, in forza di un rapporto riconducibile al contratto di mandato. La prestazione alla quale è tenuto il notaio, quale professionista, non è di risultato, ma di mezzi. Tuttavia, ciò non vuol dire che egli possa limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a dirigere la redazione dell’atto notarile. Il notaio deve compiere le attività preliminari e conseguenti all’atto che si rendano necessarie per garantire che lo stesso sia certo e idoneo ad assicurare il raggiungimento dello scopo tipico e del risultato pratico perseguiti dalle parti.