Art. 2033 c.c.
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Ripetizione dell’indebito in caso di mancata costituzione della società
E’ legittima la richiesta di ripetizione dell’indebito per assenza di giustificazione causale allorquando l’attribuzione patrimoniale sia avvenuta al fine di costituire una società, entro un dato termine risultante da scrittura privata, ad opera della parte incaricata, e quest’ultima non abbia costituito la società medesima entro detto termine.
Illegittimi prelevamenti dal conto corrente della società compiuti dall’amministratore e azione di ripetizione ex artt. 2033 c.c.
La ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto per inesistenza di un rapporto obbligatorio, il che si verifica o quando il solvens erroneamente ritiene l’esistenza di un’obbligazione cui è vincolato od in ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione del negozio (qualunque esso sia) che fu elemento genetico del rapporto obbligatorio. La ripetizione di indebito ex art. 2036 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto dal solvens, essendo altro il soggetto passivo del rapporto obbligatorio in realtà esistente.
Se il pagamento effettuato va direttamente collegato sotto il profilo eziologico ad un atto illecito dell’accipiens (come deduce parte attrice che chiede accertarsi la illegittimità dei prelevamenti dal conto corrente della società operati dall’ex amministratore), è l’atto illecito in sé che si pone quale unica genesi dell’esborso sostenuto dal solvens, esborso che, quale ingiusta diminuzione patrimoniale è da qualificare come danno risarcibile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda della configurazione che la parte danneggiata voglia dare della responsabilità in base alla fonte delle obbligazioni (contratto di amministrazione o neminem laedere). Invero, se un diritto può eventualmente vantare la società è solo a titolo di risarcimento danni per responsabilità sociale da azionare verso il suo ex amministratore, che “in occasione” della sua carica ha prelevato somme destinate a sue personali.
L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. ha natura residuale e non è esperibile quando sussiste nel sistema un rimedio tipico, nel caso di specie l’azione di responsabilità sociale ex art. 2476, comma 3, c.c.. L’eventuale intervenuta prescrizione della azione tipica ex art. 2476, comma, 3 c.c. non consente di considerare ammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. posto che “l’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta” (Cass. 30614/2018).
Sulla natura giuridica dei versamenti in conto futuro aumento di capitale
Nei “versamenti in conto futuro aumento di capitale” l’acquisizione patrimoniale da parte della società è risolutivamente condizionata alla mancata deliberazione e/o esecuzione di un aumento nominale del capitale sociale.
Se non è espressamente stabilito un termine entro cui l’aumento di capitale deve aver luogo, le somme versate dal socio restano nella piena disponibilità della società, essendo il riferimento al futuro aumento di capitale funzionale soltanto a ribadire la possibilità che la società imputi in tal senso la relativa riserva, fermo il diritto del socio di chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale la società è tenuta a convocare l’assemblea per deliberare in ordine all’ipotizzato aumento nominale del capitale, in applicazione analogica dell’art. 1183 c.c.
Qualora l’aumento non venga deliberato dall’assemblea entro la scadenza del termine espressamente pattuito dalle parti o di quello stabilito dal giudice ex art. 1183 c.c., il socio ha diritto alla restituzione della somma versata: non perché si è trattato di un mutuo, ma per essere successivamente venuta meno la giustificazione causale dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quindi secondo la disciplina della ripetizione dell’indebito, stante l’efficacia retroattiva dell’avveramento della condizione.
In assenza di una delibera di aumento di capitale, colui che ha eseguito il versamento non ha mai acquisito la qualità di socio e, pertanto, non gli è applicabile la disciplina sulla mancata esecuzione dei conferimenti prevista dall’art. 2466 c.c., la quale riguarda esclusivamente le partecipazioni già emesse a fronte dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto costitutivo o di un successivo aumento di capitale.
Gli utili non conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore non costituiscono danno diretto del socio
L’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2476 comma 7 (di natura extracontrattuale in quanto applicazione dell’art. 2043 c.c.) presuppone l’esistenza di un danno subito dal singolo socio direttamente, e non come mero riflesso del danno sociale di cui solo la Società direttamente o per via surrogatoria del socio ex art 2476 co 3 c.c. può chiedere il risarcimento all’amministratore. In particolare la mancata percezione di utili costituisce danno diretto del socio solo in ipotesi (i) di utili effettivamente conseguiti dalla società e (ii) di cui si sia deliberata la distribuzione al socio; qualora, invece, si è dedotto che gli utili non sono stati conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore, il danno lamentato dal socio non è un danno diretto.
Effettuazione di pagamenti, loro imputazione e onere della prova
Una volta dedotto che i pagamenti eseguiti dalla società convenuta in favore della società attrice per la restituzione dell’indebito versamento a titolo di deposito cauzionale da quest’ultima effettuato, sono compatibili con l’estinzione del debito, grava sul creditore l’onere di provare la loro imputazione a debito diverso, anche mediante l’analisi della specifica causale degli stessi.
Sull’adempimento del terzo e la ripetizione dell’indebito
Nell’ipotesi di estinzione dell’obbligazione pecuniaria per effetto dell’adempimento spontaneo del terzo, secondo la previsione dell’art. 1180 c.c., il pagamento resta riferibile a quest’ultimo, al quale soltanto, pertanto, spetta l’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, secondo il principio per cui è chi esegue il pagamento non dovuto a poterne richiedere la restituzione.
Giudicato sostanziale della sentenza e profili probatori ai fini dell’esperimento dell’azione di regresso ex art. 1299 c.c.
Ottenuta, con sentenza passata in giudicato sostanziale, la condanna di un debitore al pagamento del valore monetario in cui è convertita la prestazione originariamente dovuta (consistente in un facere), non è dato iniziare altro processo per domandare il risarcimento pe il (passato) mancato adempimento. Difatti, in tema di inadempimento contrattuale, il risarcimento ha una natura sostitutiva della prestazione mancata. Il giudicato sostanziale, di cui all’art. 2909 c.c., è da intendersi quale accertamento definitivo e incontrovertibile del diritto fatto valere con la domanda giudiziale, il quale esplica il c.d. effetto negativo-preclusivo di ne bis in idem, che impedisce ogni tentativo di superare l’accertamento ivi contenuto. Per esperire (proficuamente) azione di regresso ex articolo 1299 c.c., è imprescindibile provare che il co-obbligato abbia provveduto all’adempimento dell’obbligazione solidale nei confronti del creditore. Analogamente, per esperire (proficuamente) azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., è imprescindibile provare il difetto di causa, i.e. la circostanza che rende il pagamento in questione non dovuto, e dunque un arricchimento indebito per colui il quale lo abbia ricevuto.
Annullamento di contratti preliminari di cessione d’azienda e prova del pagamento mediante assegno bancario
La consegna dell’assegno bancario non determina l’estinzione del debito, che si perfeziona soltanto nel momento dell’effettiva riscossione della somma portata dal relativo titolo, la cui consegna deve considerarsi dunque effettuata, salva diversa volontà delle parti, “pro solvendo”: tale considerazione vale a fortiori per le matrici degli assegni che, costituendo una mera annotazione da parte del debitore, in assenza dei rispettivi titoli e della prova del loro effettivo incasso, non hanno alcuna rilevanza ai fini della prova del pagamento.
Rapporti tra procura e mandato. Presupposti e prova della qualità di amministratore di fatto. Indebito oggettivo e rilevanza degli stati soggettivi
Il rilascio di procura speciale irrevocabile non è di per sé idoneo ad integrare la stipula di un contratto di mandato, risolvendosi (i) la prima in un atto unilaterale avente ad oggetto il conferimento ad un terzo del potere di compiere un atto giuridico in nome e per conto di un altro soggetto e (ii) il secondo in un contratto in forza del quale una parte assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici nell’interesse dell’altra [nel caso di specie, in favore dell’attore era stata rilasciata procura a vendere una quota di s.r.l. (anche a se stesso, con espressa autorizzazione del rappresentato ex art. 1395 c.c.): avendo successivamente il rappresentato trasferito detta quota in favore di un terzo, l’attore aveva domandato la risoluzione per inadempimento del contratto di mandato e il risarcimento del danno, entrambe rigettate dal Collegio sul rilievo dell’insussistenza del mandato].
Il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario ex art. 1723, co. 2 c.c. (c.d. mandato in rem propriam), ancorchè revocabile solo per giusta causa, non priva il mandante del potere di disporre dei propri diritti sul bene oggetto del mandato né lo esonera dai correlativi obblighi.
Il conferimento di una procura speciale a vendere un bene, ancorché in favore dello stesso rappresentante, non è idoneo a far sorgere in capo al rappresentato alcuna obbligazione di vendere il bene, essendo piuttosto rimessa al rappresentante la facoltà di avvalersi del potere all’uopo conferitogli con la procura.
La circostanza che una parte del prezzo oggetto di un contratto di compravendita di una quota venga corrisposta dall’acquirente direttamente in favore della società, piuttosto che del socio venditore, non fa venir meno la giustificazione causale del pagamento, allorquando risulti plausibile che il venditore intendesse destinare una parte del prezzo alla società, per far fronte alla crisi di liquidità in cui quest’ultima versava.
La qualifica di amministratore di fatto implica l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla funzione di amministrazione: il soggetto deve aver esercitato, in modo non episodico o occasionale, ma continuativo e sistematico, un’attività di gestione (non meramente esecutiva) della società, attraverso precise condotte aventi rilevanza esterna e tali da ingenerare nei terzi il convincimento che egli sia il gestore della società.
La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società ovvero in un qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare.
Ai fini della ripetizione dell’indebito oggettivo, non è necessario che il solvens versi in errore circa l’esistenza dell’obbligazione, posto che – diversamente dall’indebito soggettivo ex latere debitoris, in cui l’errore scusabile è previsto dalla legge come condizione della ripetibilità del pagamento, ricorrendo l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’accipiens, che riceve ciò che gli spetta, sia pure da un soggetto diverso dal vero debitore – nell’ipotesi di cui all’art. 2033 c.c. non vi è affidamento da tutelare, in quanto l’accipiens non ha alcun diritto di conseguire, né dal solvens né da altri, la prestazione ricevuta, rilevando il suo stato di buona o mala fede al solo fine della decorrenza degli interessi.
Gli interessi contemplati dall’art. 2033 c.c. hanno funzione compensativa e, costituendo oggetto di un’obbligazione autonoma (ancorché accessoria rispetto all’obbligazione restitutoria principale), in forza del principio della domanda devono essere puntualmente richiesti da chi abbia effettuato il pagamento indebito, non potendo altrimenti esserne pronunciata la corresponsione.
Le azioni di accertamento del Fallimento sugli amministratori della s.r.l.: natura indebita di compensi, rimborsi spese e acconti sugli utili
Nel caso in cui il Fallimento di una s.r.l. abbia esercitato l’azione finalizzata a conseguire la restituzione di somme indebitamente corrisposte agli amministratori, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non opera il termine di prescrizione quinquennale ma, al contrario, il diritto è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale ex art 2946 c.c.
La disciplina dei compensi degli amministratori prevista per le s.p.a. dall’art. 2389 c.c. si estende analogicamente anche alle s.r.l.; in assenza di una determinazione all’interno dell’atto costitutivo ovvero da parte dell’assemblea dei soci, il quantum del compenso dovrà essere stabilito giudizialmente.
L’atto di riassunzione di un giudizio davanti ad altro giudice, dopo che il primo adito si sia dichiarato incompetente, non introduce un nuovo grado di giudizio sicché la riassunzione non risulta abbisognevole di nuova autorizzazione del giudice delegato.