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Art. 614 bis c.p.c.
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28 Luglio 2021

Il fiduciario fa venire meno il pactum fiduciae se aliena azioni o quote senza previa indicazione del fiduciante

Nel caso di intestazione fiduciaria di azioni o partecipazioni societarie, il fiduciario che ne assume la titolarità, deve comportarsi nella modalità stabilita in precedenza con il fiduciante e restituire i titoli alla scadenza convenuta ovvero nel caso in cui venga meno tale patto fiduciario.

Il rapporto fiduciario avente ad oggetto il trasferimento di quote societarie, non richiede la forma scritta né “ad substantiam” né “ad probationem”, in quanto il patto in questione è equiparabile al contratto preliminare il quale, in base all’art. 1351 c.c., deve avere la medesima forma del contratto definitivo e la cessione di quote risulta essere un negozio che “che non richiede alcuna forma particolare, neppure nel caso in cui la società sia proprietaria di beni immobili”.

Il “pactum fiduciae” viene meno se il fiduciario aliena a terzi le azioni o partecipazioni senza previa indicazione del fiduciante. In tal caso, il fiduciario deve ritrasferire le partecipazioni al fiduciante ed essendo quella in oggetto un’obbligazione di fare infungibile, il fiduciario – soggetto obbligato – è assoggettato al pagamento di una penale in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 614 bis c.p.c. 

17 Giugno 2021

Violazione di patto di non concorrenza e tutela cautelare

Sussiste un rapporto di concorrenza tra due imprese che operino nel medesimo settore, anche se le stesse si collocano a livelli diversi della produzione interagendo la prima con una clientela composta di imprenditori e la seconda con i consumatori finali. Possono trovarsi in situazione di concorrenza anche imprese i cui prodotti e servizi concernono la stessa categoria di consumatori ma che operano in una diversa fase della produzione o del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato di un determinato bene.

A fronte dell’inadempimento dordini inibitori (quale quello di non svolgere attività in concorrenza) solo una misura di “coercizione indiretta” come quella introdotta dall’art 614 bis cpc offre una tutela effettiva al creditore, che si vede riconoscere una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva. I parametri di riferimento che il giudice deve utilizzare  per la determinazione della somma di cui al primo comma della norma citata sono: il valore della controversia, la natura della prestazione , il danno quantificato o prevedibile e ogni altra circostanza utile. 

Distribuzione non autorizzata di copie di quotidiani e concorrenza sleale

In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.

La concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598, n. 2, c.c.) non consiste nell’adozione di tecniche materiali o procedimenti già usati da altra impresa – che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile – ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.

La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, mediante l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.

L’ipotesi prevista dall’art. 2598, n. 3, cod. civ. – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda» – si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici previsti dai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente (v. ad es. Cass. civ. Sez. I Sent., 04/12/2014, n. 25652).

La messa in commercio dell’opera giornalistica, se, da un lato, può comportare l’esaurimento del diritto alla sua successiva circolazione, dall’altro, non determina un effetto estintivo con riferimento alla facoltà di sfruttamento anche pubblicitario dell’opera stessa che rimane in capo al suo autore o, comunque, al suo titolare.

22 Febbraio 2021

Competenza in materia cautelare

Anche in presenza di clausole di arbitrato irrituale è competente l’autorità giudiziaria ordinaria per i procedimenti di natura cautelare.

22 Febbraio 2021

Applicabilità della disciplina ex art. 614-bis c.p.c. in ambito cautelare

Deve ritenersi ammissibile l’applicazione del meccanismo dell’art. 614-bis c.p.c. anche nell’ambito dei procedimenti cautelari, trattandosi di disciplina prevedente in via generale mezzi di coercizione indiretta accessori a provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto la condanna ad obblighi di fare e, dunque, applicabile anche nel caso di ordini di fare adottati ex art.700 cpc e, come tali, suscettibili di effetti anticipatori della condanna senza che ne sia richiesto il consolidamento a mezzo della introduzione di giudizio di merito.

1 Dicembre 2020

Esercizio del diritto di consultazione ex art. 2476 c.c. da parte del socio titolare di quote pignorate

La legittimazione del socio privo di incarichi gestori ad esercitare il diritto di controllo della documentazione sociale ex art. 2476 c.c. sussiste anche in presenza di pignoramento delle quote di proprietà dello stesso, data la struttura prettamente individuale del diritto di ispezione, indipendentemente dall’interpretazione della disciplina ex art. 2352 c.c. (richiamata per le S.r.l. dall’art. 2471-bis c.c.) in tema di esercizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi in caso di pegno e sequestro delle quote.

23 Ottobre 2020

Esercizio del diritto di controllo ex art. 2476 c.c.

La s.r.l. è tenuta a soddisfare l’esercizio del diritto di controllo ex art 2476 c.c., nei limiti in cui tale esercizio non risulti vessatorio o fatto con deliberato proposito di ledere gli interessi societari. L’esercizio di tale diritto può ingenerare bisogno di approfondimenti e dare luogo a nuove richieste, che l’organo amministrativo è tenuto a soddisfare ai sensi dell’art. 2476, comma secondo, c.c. [ LEGGI TUTTO ]

2 Giugno 2020

Patti di non concorrenza e insussistenza dei presupposti comuni per la tutela cautelare

Non è ravvisabile un pregiudizio “imminente e irreparabile” – necessario presupposto per l’emanazione del provvedimento di urgenza ex art. 700 cpc – in relazione alla presunta violazione di un patto di non concorrenza da parte dell’amministratore delegato dimissionario se: (i) la pattuizione negoziale prevede il pagamento di una rilevante penale per il caso di violazione del patto di non concorrenza sicché il pregiudizio derivante dalla violazione del patto non possa dirsi di per sé irreparabile in quanto di difficile o impossibile monetizzazione; (ii) l’inadempimento contestato all’amministratore si concretizzi nell’impegno assunto da quest’ultimo di ricoprire un incarico simile o analogo a quello precedentemente ricoperto in una società operante sì nello stesso settore dell’attrice nonché ex datrice di lavoro dell’amministratore dimissionario, ma dedita in assoluta prevalenza a un segmento di mercato caratterizzato da peculiarità diverse da quelle proprie del segmento ove la reclamante opera in via principale e tale per cui la possibilità di future condotte dell’amministratore in grado di incidere sulla concreta operatività commerciale della reclamante appaia di per sé residuale; (iii) al momento della richiesta del provvedimento cautelare di urgenza, nessuna condotta dell’amministratore specificamente pregiudizievole della operatività dell’attrice possa dirsi in atto o essere valutata come imminente.

 

 

11 Novembre 2019

Importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto e diritto di recesso

Ai fini della risoluzione per inadempimento è necessario valutare che esso non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (art. 1455 c.c.).

In un contratto di licenza d’uso di marchio, le allegazioni relative alla convenienza dell’affare sono inidonee a integrare un inadempimento rilevante, per cui non si può procedere con la risoluzione quando l’iniziativa commerciale non ha avuto successo, non essendosi realizzata l’attrazione della clientela che ci si aspettava dall’utilizzo del marchio, o a causa dell’insufficienza dei volumi di vendita, che rende l’attività commerciale non più sostenibile.

In secondo luogo, non è possibile procedere con la risoluzione allegando a giustificazione un solo episodio comprovante l’inadempimento, senza avere riguardo al complesso delle circostanze e del contesto in cui ha avuto esecuzione il contratto. Qualora dalla corrispondenza tra le parti emerga un clima di positività, in cui sono comunemente tollerati reciproci inadempimenti in vista del mantenimento dell’accordo e della conclusione di una futura collaborazione commerciale, l’inadempimento dell’attrice relativo al rimborso di una quota dell’affitto “ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”, soprattutto se tale questione è stata trattata solo marginalmente.

In tale contesto, l’esercizio improvviso del diritto di recesso e dunque la cessazione inaspettata del rapporto non risultano rispettose del canone di buona fede, che impone “a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. 20106/2009).