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Gabriele Azoti

Laureato all'Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano con una tesi in diritto societario. Mi occupo di operazioni straordinarie e contenzioso commerciale e societario presso lo studio legale Masotti Cassella.

27 Novembre 2023

La prescrizione del diritto alla restituzione di un finanziamento infragruppo effettuato in regime di cash pooling

L’applicazione dell’art. 2949, co. 1, c.c., che fissa un termine prescrizionale breve per i diritti aventi origine da rapporti sociali, non ha portata smisurata, bensì ristretta, riguardando unicamente i diritti che derivano da rapporti inerenti all’organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto sociale, nonché da rapporti relativi alle situazioni propriamente organizzative determinate dal successivo svolgimento della vita sociale. Tuttavia, non tutte le vicende che intercorrono fra socio e società possono essere indistintamente ricondotte al rapporto sociale, o all’organizzazione sociale. Infatti, il socio può erogare somme di denaro in favore della società a vario titolo, sicché, per ritenere esistente il diritto alla restituzione e verificare l’eventuale intervento della prescrizione, occorre qualificare giuridicamente i versamenti effettuati, previa interpretazione della volontà delle parti, tenendo conto che la prescrizione breve, prevista dall’art. 2949 c.c., riguarda solo quei diritti derivanti da relazioni fra i soggetti dell’organizzazione sociale che dipendono dal contratto sociale o da deliberazioni societarie, esclusi tutti gli altri diritti fondati su ordinari rapporti giuridici che la società può instaurare al pari di qualsiasi altro soggetto, anche, ovviamente, con un socio, senza che tale qualità muti la natura del rapporto. Il rapporto contrattuale c.d. di tesoreria accentrata non può essere certo ricondotto ai rapporti che si generano come effetto automatico dell’appartenenza a uno stesso gruppo societario, assumendo invece la natura di vero e proprio modulo organizzativo infragruppo, che traduce in concreto lo specifico interesse comune delle società del gruppo a gestire i reciproci rapporti finanziari. Tale contratto atipico, che solitamente viene stipulato fra le società appartenenti a uno stesso gruppo e che prevede che una delle società parte dell’accordo (di solito la holding) funga da centro di tesoreria al fine di semplificare i flussi di cassa, è un servizio di cui le società del gruppo possono scegliere di avvalersi. La relazione tra l’accordo con il quale si aderisce al servizio di tesoreria accentrata e il contratto sociale è occasionale, non necessaria, e tantomeno è conseguente alla costituzione dell’ente. Dovendo l’interprete ricercare la disciplina che più si attaglia a tale negozio, considerata la funzione e l’operatività dello stesso, esso deve essere ricondotto – per la funzione che svolge – al genere dei contratti di finanziamento. In tema di rapporti di finanziamento intercorrenti fra socio e società, non si applica l’art. 2949 c.c. Infatti, l’interesse del socio ad erogare un finanziamento alla società è collegato al rapporto sociale solo in via di fatto poiché opera soltanto sul piano dei motivi ed è connesso alla soddisfazione delle esigenze finanziarie della società, salvo che non rinvenga la sua fonte in un obbligo giuridico derivante da una deliberazione o dal contratto sociale. Ne consegue che il diritto del socio a ottenere la restituzione del finanziamento erogato si prescrive nel termine ordinario e non in quello breve, quinquennale, di cui all’art. 2949, co. 1, c.c., la cui portata riguarda le sole relazioni tra i soggetti dell’organizzazione sociale, sorte in dipendenza diretta del contratto di società o di deliberazioni sociali. Il credito fondato sul contratto di c.d. cash pooling può essere provato dagli estratti di conto corrente e dalle schede contabili dei movimenti infragruppo. Se a queste ultime annotazioni non può essere attribuita la forza probatoria di vero e proprio riconoscimento di debito, neppure, per vero, possono essere ignorate, in considerazione del generale principio di cui all’art. 2710 c.c., qualora fossero indice dei pacifici rapporti intercorsi fra le società e del sistema di cash pooling pacificamente operante con reciproci vantaggi. [ Continua ]
19 Ottobre 2023

Obblighi del liquidatore in caso di conclamata insufficienza patrimoniale

La responsabilità dei liquidatori è disciplinata dalle stesse norme in tema di responsabilità degli amministratori (ex art. 2489, co. 2, c.c.). In base al principio dell’autonomia patrimoniale piena delle società di capitali, il mero inadempimento contrattuale dell’ente non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti del terzo contraente (ex art. 2394 c.c.), dal momento che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, sicché deve escludersi che il mero inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti per l’accoglimento dell’azione. Allo stesso modo, il liquidatore di una società di capitali non può essere chiamato a rispondere personalmente per il mancato pagamento dei creditori sociali, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto l’onere di dedurre e provare non solo che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto degli obblighi che la legge impone al liquidatore (fatto illecito), ma anche, con ragionamento contra-fattuale, che qualora il liquidatore si fosse diligentemente attenuto a tali obblighi, i risultati della liquidazione dell’attivo patrimoniale avrebbero effettivamente consentito l’eguale ed integrale soddisfazione dei creditori sociali (nesso di causalità fra condotta omissiva e danno). In una situazione di già conclamata insufficienza patrimoniale – suscettibile, inoltre, di prevedibile ulteriore aggravamento in sede di riscrittura dei bilanci in ottica liquidatoria, attesa la compressione dei valori dell’attivo in conseguenza della perdita dell’avviamento e dalla prospettiva di immediato realizzo –, è dovere del liquidatore non solo di procedere a una ordinata e utile liquidazione del patrimonio sociale, ma anche di procedere nel pagamento dei debiti sociali, secondo il principio della par condicio creditorum, nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione, e ciò al fine di evitare pagamenti preferenziali che andrebbero a determinare una ingiustificata compressione dei diritti di tutti gli altri creditori: quelli che godono ex lege di privilegi e, in caso di capienza, quelli chirografari. [ Continua ]
2 Novembre 2023

Sulla legittimazione a chiedere la revoca dei liquidatori di s.n.c. da parte degli eredi del socio defunto

La legittimazione a chiedere la revoca dei liquidatori da parte degli eredi del socio defunto, pure esclusa in via di principio qualora essi non abbiano acquisito la qualità di socio, può tuttavia essere ricavata in via surrogatoria, tenuto anche conto del regime previsto dall’art. 2270 c.c. a tutela dei creditori del socio e del loro diritto di chiedere la liquidazione della quota dello stesso, dalla disciplina dell’art. 2900 c.c., attivabile, anche in via di urgenza, dagli eredi del socio ogni qual volta non residuino soci superstiti che possano agire per la revoca di liquidatori negligenti ovvero esercitare l’azione risarcitoria nei loro confronti, non quali soci della s.n.c., non essendo subentrati nella società in tale veste ex art. 2284 c.c.
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28 Giugno 2023

Responsabilità per danno indiretto dell’amministratore e domanda di risarcimento per responsabilità da direzione e coordinamento

La pronuncia di condanna per illecito dell’amministratore ai sensi dell’art. 2476, comma 7 c.c.,  presuppone, oltre al danno diretto al patrimonio del terzo, anche il compimento da parte dell’amministratore di un atto illecito nell’esercizio del suo ufficio. La responsabilità per danno indiretto dell'amministratore, ai sensi dell'art. 2476, comma 6 c.c., per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale deve essere provata con elementi che consentano di muovere un rimprovero per mala gestio nei confronti dell’amministratore, tale da aver reso la società incapace di far fronte alle sue obbligazioni. La domanda di risarcimento per responsabilità da direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c., presuppone, ai termini di legge, che la società esercitante la direzione e coordinamento arrechi un pregiudizio al patrimonio della società eterodiretta con ciò cagionando un danno (indiretto) al creditore. [ Continua ]

Risoluzione del contratto di cessione di quote sociali per mancato assolvimento dell’onere probatorio

Spetta alla società convenuta fornire la prova di aver adempiuto nel termine pattuito il pagamento del corrispettivo della cessione delle quote sociali. In caso di tardiva costituzione del contumace, dovendo il convenuto accettare il procedimento nello stato in cui si trova e non potendo produrre in giudizio documentazione tardiva, non è più possibile per il convenuto fornire la prova dell'adempimento, con la conseguenza dell'accertamento dell'intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell'art. 1453 c.c.   [ Continua ]
28 Giugno 2023

All’azzeramento del capitale, è necessario annullare le azioni in circolazione prima di ricapitalizzare

Al momento dell’azzeramento del capitale sociale per perdite, l’operazione attraverso la quale l’assemblea straordinaria procede ad un aumento di capitale, senza prima annullare le azioni in circolazione, è contra legem in quanto contraria alle prescrizioni dell’art. 2447 c.c.

Nell’ambito di operatività della fictio di avveramento della condizione per condotta contraria a buona fede, se invocata dalla difesa del convenuto, l’art. 1359 c.c. consente eccezionalmente il compiersi degli effetti giuridici dedotti in contratto, in assenza dell’avveramento della condizione, solo qualora la condotta contraria a buona fede sia addebitabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento.

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29 Settembre 2023

Sostituzione della delibera impugnata e annullabilità della delibera assunta con il voto determinante del falsus procurator

L’art. 2384 c.c. – ove prevede che le limitazioni del generale potere di rappresentanza degli amministratori sono irrilevanti verso l’esterno, anche se pubblicate, salvo che i terzi abbiano intenzionalmente agito a danno della società – si applica anche alla c.d. rappresentanza processuale. In tema di annullabilità delle deliberazioni assembleari, la fattispecie di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. presuppone, affinché l’annullamento della delibera impugnata non abbia luogo, la sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto; la sostituzione preclude, cioè, la pronuncia di invalidità della delibera sostituita solo nel caso in cui la delibera sostitutiva sia valida. Pertanto, la sostituzione della delibera impugnata con una successiva delibera, a sua volta oggetto di impugnazione, impedisce l’applicazione dell’art. 2377, co. 8, c.c., essendo impedita, in pendenza di impugnazione, la valutazione di legittimità della delibera sostitutiva da parte del tribunale. La deliberazione assembleare, assunta con il voto di una società partecipante rappresentata da un falsus procurator, è viziata da annullabilità. Il voto così espresso, invalido per vizio di rappresentanza, è peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima società legittimamente rappresentata, ai sensi dell’art. 1399 c.c. Le delibere modificative non iscritte nel registro delle imprese ex art. 2436 c.c. – espressamente richiamato, in tema di s.r.l., dall’art. 2480 – costituiscono un’ipotesi tipica di delibera inefficace; l’inefficacia può, come tale, essere fatta valere anche oltre il termine di decadenza posto dall’art. 2377 c.c. da chiunque vi abbia interesse. [ Continua ]
22 Agosto 2023

L’azione sociale di responsabilità promossa contro gli amministratori ha natura contrattuale

In tema di responsabilità degli amministratori, gli elementi costitutivi dell’azione sociale di responsabilità si sostanziano nell’allegazione dell’inadempimento degli amministratori ai doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo (compresa la negligenza commisurata alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze, con il limite della c.d. business judgment rule) e nella domanda di risarcimento del danno che i loro comportamenti inadempienti abbiano provocato al patrimonio della società. L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali si fonda sulla violazione, da parte degli amministratori, degli obblighi derivanti dalla legge e dallo statuto e mira a reintegrare il patrimonio sociale anche in termini di mancato guadagno. L’azione ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi (al patrimonio della società), mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti dalla carica. [ Continua ]
29 Settembre 2023

Inammissibilità di un’azione di regresso anticipata

In tema di accoglimento della domanda di regresso, il principio secondo cui è ammissibile la condanna del condebitore solidale, chiamato in causa in via di regresso, condizionatamente all’adempimento dell’obbligazione solidale da parte dell’altro condebitore opera soltanto quando vi sia un simultaneus processus sul credito principale, che giustifichi, in termini di economia processuale, la contemporanea pronuncia sul regresso e sia definitivamente accertata, a carico del condebitore che chiede la condanna condizionata, la pretesa del credito. L’ordinamento consente, infatti, la pronuncia condizionata solo qualora l’evento futuro ed incerto cui viene subordinata l’efficacia della condanna si configuri come elemento accidentale del decisum. Il coobbligato in solido in tanto può proporre l’azione di regresso, in quanto abbia effettuato un pagamento valido. Il pagamento, che costituisce un presupposto essenziale di tale azione, è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, atteso che solo il pagamento da parte del coobbligato comporta il sorgere del credito nei confronti dell’altro condebitore; grava sull’attore l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della domanda entro il termine previsto rispettivamente per la formazione del thema decidendum e del thema probandum, salvo che il convenuto li riconosca o svolga difese incompatibili con la loro negazione, ovvero li contesti oltre il momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito.
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30 Giugno 2023

Ratio della risoluzione degli enti creditizi ed efficacia delle decisioni della Corte di Giustizia

In tema di risanamento e risoluzione degli enti creditizi, la ratio della disciplina del d.lgs. 180/2015, di derivazione europea, è quella di creare una netta distinzione tra l’ente in risoluzione e l’ente ponte al fine di garantire, nell’interesse pubblico generale, la stabilità del sistema finanziario con la prosecuzione dell’attività bancaria, a tutela anche dei rapporti di clientela in essere con la banca in crisi e al fine di scongiurare riflessi negativi sul tessuto economico delle aree interessate che deriverebbero dalla liquidazione della banca in crisi.
Le decisioni della Corte di Giustizia sull’interpretazione dei trattati sono vincolanti non solo per il giudice del rinvio, ma spiegano efficacia anche al di fuori del giudizio principale, data la loro portata generale ed astratta con efficacia vincolante erga omnes a garanzia dell’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione Europea in tutto l’ambito europeo. Inoltre, alle sentenze interpretative va attribuita efficacia retroattiva come conseguenza dell’effetto di incorporazione dell’interpretazione della Corte UE nel testo della disposizione interpretata. Le norme della Direttiva 2014/59 devono essere interpretate nel senso che esse ostano a che, successivamente alla svalutazione totale delle azioni del capitale sociale di un ente creditizio o di un’impresa di investimento sottoposti a una procedura di risoluzione, le persone che hanno acquistato delle azioni, nell’ambito di un’offerta pubblica di sottoscrizione emessa da tale ente prima dell’avvio di detta procedura di risoluzione, propongano, nei confronti dell’ente creditizio o dell’impresa in parola, ovvero contro l’entità succeduta a tali soggetti, un’azione di responsabilità a causa delle informazioni fornite nel prospetto oppure un’azione di nullità del contratto di sottoscrizione di tali azioni, la quale, in considerazione del suo effetto retroattivo, porti alla restituzione del controvalore dei titoli azionari suddetti, maggiorato di interessi a decorrere dalla data di conclusione di tale contratto. Il d.lgs. 180/2015 non preclude in assoluto ogni facoltà di agire per il risarcimento del danno ex art 94 TUF, ma solo la facoltà di agire verso il nuovo soggetto, l’ente ponte, nelle sole ipotesi in cui l’iniziativa non è stata assunta prima della cessione ex d.lgs. 180/2015, restando immutata la facoltà di agire verso gli altri possibili co-responsabili (quali l’offerente, l’eventuale garante, le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto, l’intermediario finanziario).
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