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Francesco Ilari

Francesco Ilari

Counsel presso van Berings

Per molti anni sono stato associate presso la sede Milanese di una boutique italiana, maturando una consistente esperienza nel contenzioso societrario. Attualmente sono responsabile del contenzioso presso la sede di Milano uno studio internazionale. Tratto principalmente cause di diritto societario e da responsabilità da prodotto.

14 Settembre 2024

Il socio tiranno. Simulazione relativa nella cessione di partecipazioni

La figura del socio tiranno costituisce una tipizzazione giurisprudenziale e dottrinale che si inserisce nella più generale categoria dell’abuso del diritto. Il socio tiranno utilizza, infatti, la personalità giuridica della (o delle) società da lui controllate come un mero schermo allo scopo di beneficiare impropriamente della responsabilità limitata, a fini diversi da quelli per cui è prevista dall’ordinamento e in danno dei creditori. A sua volta, la tutela accordata ai creditori della società danneggiati dall’abuso si ispira al modello della exceptio doli, negando al socio tiranno il beneficio della limitazione della responsabilità e disconoscendo l’esistenza dello schermo societario abusato. Il socio tiranno è tale quando si serva della struttura sociale come schermo al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata e allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Più nel dettaglio, la figura del socio tiranno è riferita alla fattispecie in cui un socio non titolare dell’intero pacchetto di quote o di azioni, spesso occulto, gestisce o fa gestire la società di capitali come un proprio strumento, perseguendo finalità egoistiche e personali, abusando della distinta soggettività giuridica della società stessa, con conseguente disprezzo delle norme fondamentali del diritto societario e con confusione del patrimonio personale con il patrimonio della società tiranneggiata, dimostrando che la società è stata costituita o proseguita al solo scopo di frapporre tra sé e i terzi lo schermo di un soggetto di diritto per sottrarsi alle pretese dei creditori e per fruire indebitamente del beneficio della responsabilità limitata. In tema di simulazione, la cosiddetta controdichiarazione costituisce un atto di riconoscimento o di accertamento scritto che, non avendo carattere negoziale e non facendo parte del procedimento simulatorio come elemento essenziale, può non essere coeva all'atto simulato e può altresì provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione. Il contratto di cessione di quote di s.r.l. non soggiace tra le parti a particolari requisiti di forma, con la conseguenza che la prova della controdichiarazione non incontra, in via generale, limiti diversi e ulteriori da quelli inerenti alla prova testimoniale e per presunzioni ai sensi degli artt. 1417 e 2722 c.c. Peraltro, allorché la simulazione relativa riguardi un contratto a forma libera, non opera la limitazione di cui all'art. 2725 c.c., sicché, nel rapporto tra le parti, si potrà invocare la prova per testimoni o per presunzioni, sia quando la prova venga richiesta per dimostrare l'illiceità del contratto dissimulato ex art. 1417 c.c., sia quando ricorra una delle condizioni prescritte dall'art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento), che costituiscono eccezioni al divieto di prova testimoniale del patto aggiunto o contrario al contenuto del documento simulato, per il quale si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contestuale ex art. 2722 c.c. [ Continua ]
3 Maggio 2024

Inammissibilità della domanda di accertamento della legittimità della delibera di esclusione del socio di cooperativa

L’interesse ad agire, costituendo una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l'azione, si identifica nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. In particolare, nell'azione di mero accertamento esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto e attuale, che si sostanzia in un'illegittima situazione di fatto continuativa. L’interesse ad agire che connota l’azione di accertamento presuppone, dunque, la violazione del diritto vantato dall’attore mediante la contestazione del convenuto che minando la certezza della sua esistenza arreca concreto pregiudizio al suo titolare. [ Continua ]
26 Aprile 2024

Annullabilità della delibera assunta da un’assemblea non regolarmente costituita

La deliberazione dell’assemblea dei soci di s.r.l. costituisce un atto negoziale riferibile all’assemblea stessa ancorché questa sia riunita in difetto dei presupposti di legge o di statuto. L’irregolarità della costituzione dell’assemblea per violazione delle previsioni statutarie relative al quorum costitutivo determina l’annullabilità della deliberazione, non rientrando in alcuna delle fattispecie tipiche di nullità delineate dall’art. 2479 ter, co. 3, c.c. Tale vizio deve, dunque, essere fatto valere dal socio entro il termine di decadenza previsto dall’art. 2479 ter, co. 1, c.c. [ Continua ]
14 Aprile 2024

La costituzione di parte civile interrompe la prescrizione dell’azione di responsabilità

La costituzione di parte civile nel processo penale a carico degli amministratori di società rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione considerati dall'art. 2943 cod. civ. e, come ogni altra domanda giudiziale, per tutta la durata del processo, ai sensi dell'art. 2945, secondo comma, cod. civ., sino al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, produce un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità spettante alla società, ai sensi dell’art. 2393 c.c., nei confronti degli amministratori per i danni subiti in conseguenza di comportamenti tenuti nell’esercizio della loro funzione. [ Continua ]

La responsabilità del revisore per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri doveri

Tutti gli organismi di controllo aziendale sono investiti di un ineludibile compito di costante verifica della corrispondenza dei meccanismi di gestione della società al paradigma della corretta amministrazione, sicché il revisore, deputato a svolgere una funzione di verifica e controllo generale sui dati di bilancio e sulla corretta gestione contabile della società, deve tempestivamente segnalare le incongruenze rilevate. Ed in funzione della incisività del controllo affidato al revisore contabile si prevede che esso risponda, in solido con gli amministratori, nei confronti della società che ha conferito l'incarico di revisione, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall'inadempimento ai loro doveri, nei limiti del contributo effettivamente dato al danno. [ Continua ]
2 Gennaio 2024

Autonomia delle diverse azioni di responsabilità esercitate dall’organo della procedura concorsuale

L’esercizio unitario delle azioni ai sensi degli artt. 206 l.f. e 36 D.Lgs. 270/1995 dell’impresa in amministrazione straordinaria e delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., non esclude l’autonomia stessa delle azioni, le quali  rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti e nei loro elementi costitutivi, tra cui in particolare, il danno, la qualificazione, la disciplina probatoria e la prescrizione, seppur tutte finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo della procedura tutto quanto sottratto o perduto per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori e/o ai sindaci. [ Continua ]
3 Gennaio 2024

Responsabilità di amministratori, sindaci e revisori di Valtur s.p.a. in amministrazione straordinaria

L’art. 2485 c.c. impone agli amministratori di accertare, senza indugio, il verificarsi di una delle cause di scioglimento e di procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’art. 2484 c.c., salvo quanto disposto dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c. Gli amministratori, accertata la perdita del capitale sociale (ovvero verificato il valore negativo del patrimonio netto), sono tenuti ad una rapida e decisa reazione: porre la società in liquidazione, ovvero ricorrente all’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione della società mediante azzeramento delle perdite e ricostituzione del capitale sociale (ex artt. 2447 e 2482 ter c.c.). Come chiaramente previsto dall’art. 2485 c.c., gli amministratori, in caso di ritardo o omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. La violazione di tali obblighi di legge determina l’illecito della c.d. indebita prosecuzione dell’attività di impresa. Quando la società ha un patrimonio netto negativo che aumenta per il compimento di attività non conservative con assunzione di rischio imprenditoriale il pregiudizio non può essere della società, che ha già perso tutto il suo patrimonio, ma solo dei creditori sociali. Il danno derivante dall’inerzia dell’organo gestorio a fronte della perdita del capitale sociale è un danno per i creditori sociali ed è rappresentato dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società (già in situazione di deficit) con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori. L'esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. presuppone la dimostrazione che il patrimonio sociale, per effetto della condotta negligente ascrivibile ad amministratori e/o sindaci, risulti insufficiente rispetto al soddisfacimento dei crediti sociali. Pertanto ai fini della esperibilità di tale azione è necessario che la condotta illegittima degli amministratori e/o sindaci sia fonte di pregiudizio patrimoniale per il ceto creditorio inteso nella sua generalità, tale da determinare l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le relative ragioni di credito, con dimostrazione della sussistenza di un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta/e illecita/e o di inadempimento/i ascritto/i, dovendosi commisurare l'entità del danno prospettato alla corrispondente riduzione della massa attiva di patrimonio. Con riguardo alla responsabilità degli amministratori non esecutivi di società azionaria si rileva come non si dà imputazione per responsabilità oggettiva in capo agli amministratori di società, posto che, in particolare, gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d'inerzia, il fatto pregiudizievole anti-doveroso altrui e il nesso causale tra i medesimi, nonché, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano dall’art. 2392 c.c. La norma, invero, stabilisce che la colpa può consistere o nell'inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l'evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere immuni da colpa, cui all'art. 2392, co. 3, c.c. Quando il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore, la colpa concorrente dell'amministratore che non lo abbia direttamente posto in essere - fattispecie omissiva colposa - può dunque consistere: (i) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d'allarme dell'altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; (ii) nell'inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l'evento evitabile con l'uso della diligenza predetta. Peraltro, la regola della responsabilità solidale e, se si vuole, presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell'organo gestorio cede a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno. L’art 2381 c.c. stabilisce che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società. Permane dunque ai sensi di questa norma il dovere di vigilare sul generale andamento della società rispetto al quale non ha alcun rilievo il difetto di delega, salva la prova che gli altri consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio. Poiché il compito relativo alla redazione del bilancio di esercizio non può essere oggetto di delega in favore di uno o più componenti del CdA e, secondo quanto disposto dall’art. 2423 c.c., gli amministratori sono collegialmente tenuti a redigere il bilancio secondo i principi ex lege previsti, consegue che tutti gli amministratori, anche quelli privi di deleghe, sono solidalmente responsabili quanto al rispetto degli obblighi di legge inerenti alla redazione del bilancio, fra i quali l’obbligo di attenersi ai principi di veridicità e chiarezza. Il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia; si esige, tuttavia, ai fini dell'esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in particolare, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c. – può dare concreto contenuto all'obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell'amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell'inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all'organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cc.dd. azioni correttive necessarie. Dall'altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall'ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall'attività dannosa, la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all'assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l'impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale, e altre simili iniziative. Il revisore, deputato a svolgere una funzione di verifica e controllo generale sui dati di bilancio e sulla corretta gestione contabile della società, deve, qualora ritenga che la gestione devii dalla correttezza, tempestivamente segnalare le incongruenze rilevate. In altri termini, la funzione del revisore non è meramente compilativa, limitata al solo controllo che al bilancio siano stati allegati tutti i documenti formali di verifica previsti dalle norme, poiché in tal modo non si realizzerebbe alcun controllo concreto sulla correttezza della gestione e delle appostazioni delle singole voci che compongono il bilancio. L’art 2409 ter c.c. descrive l’ampiezza del controllo demandato al revisore legale dei conti e il potere dovere di chiedere agli amministratori documenti ed informazioni utili alla revisione con facoltà di procedere direttamente ad ispezioni in società. L’esercizio unitario ex art 206 l.fall. e art. 36 d.lgs. 270/1995 da parte dei commissari straordinari dell’impresa in amministrazione straordinaria unitamente all’amministratore giudiziario delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. non esclude l’autonomia delle azioni che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti, nei loro elementi costitutivi, tra cui il danno, la loro qualificazione, la disciplina probatoria e la prescrizione, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo della procedura tutto quanto sottratto o perduto per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori, ai sindaci in concorso. L’azione ex art 2394 bis c.c. una volta esercitata dal curatore non può essere sottratta dall’ambito di sostituzione dell’amministratore giudiziario. L’art 39, co. 1, e 40, co. 3, d.lgs. 159/2011 non prevede limitazioni alla facoltà di esercizio o subentro in azioni concernenti i rapporti relativi ai beni sequestrati da parte dell’amministratore giudiziario e in particolare l’art. 40, co. 3, prevede la facoltà per l’amministratore giudiziario di compiere atti anche a tutela di terzi, tra cui evidentemente i creditori sociali della società oggetto di sequestro e confisca. Da ciò consegue la legittimazione alle azioni dell’amministratore giudiziario e la sopravvenuta carenza di legittimazione atti dei commissari straordinari una volta subentrato nel processo il primo. La legittimazione all’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art 2394 c.c. in capo agli organi della procedura, commissari straordinari e amministratore giudiziario, trova fondamento nell’art 2394 bis c.c. o art. 206 l.fall. e art. 307 d.lgs. 14/2019. Si tratta di esercizio da parte dell’organo della procedura concorsuale di azione che non si trova nel patrimonio della società posta in fallimento, in liquidazione giudiziale, in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria, bensì di azione cui erano legittimati i creditori sociali. La legittimazione straordinaria degli organi della procedura all’azione dei creditori si fonda sull’art 2394 bis c.c., che trova la sua ratio nell’attuazione del principio della par condicio creditorum e nella necessità che ogni iniziativa recuperatoria sia finalizzata al soddisfacimento di tutti i creditori sociali una volta aperta la procedura concorsuale. La legittimazione ad agire straordinaria ed esclusiva vede la sostituzione del curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario ai creditori concorsuali. In ipotesi di fusione, i creditori sociali trovano principale tutela nello strumento dell’opposizione ex art 2503 c.c.; una volta divenuta efficace l’operazione straordinaria, esiste solo la società post fusione con i suoi organi. Dopo la fusione non è ipotizzabile un’azione ex art 2394 c.c. verso gli amministratori delle società partecipanti alla fusione ma non più esistenti, le iniziative dei creditori sociali potranno indirizzarsi agli amministratori della società risultante dalla fusione ai quali, eventualmente, si potrà anche contestare di non aver agito con azione di responsabilità sociale verso gli amministratori della società partecipante all’operazione di fusione e non più esistente per far valere loro una responsabilità per atti gestori che abbiano comportato la perdita del patrimonio sociale. Qualora, successivamente alla operazione di fusione, si dovesse aprire una procedura concorsuale i creditori della procedura possono qualificarsi creditori solo verso la società post-fusione coinvolta nella procedura, quindi solo verso gli organi gestori e di controllo della società risultante dalla fusione può ipotizzarsi l’esercizio dell’azione ex artt. 2394 e 2394 bis c.c. Non si ravvisa, invece, alcuna legittimazione attiva della procedura con l’azione ex art 2394 bis c.c. verso gli amministratori delle società incorporate. Il curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario è, invece, legittimato all’azione ex art 2393 c.c. anche verso gli ex amministratori delle società incorporate in quanto l’azione di responsabilità sociale già esercitabile dalla società partecipante alla fusione costituisce componete attiva della medesima che è transitata ex art 2504 bis c.c. nella società risultante dalla fusione ex art 2504 bis c.c. (nei confronti di quegli amministratori gli amministratori della società post-fusione possono agire per conseguire il ristoro di danni cagionati al patrimonio della società), la legittimazione all’azione si fonda sugli artt. 42 e 43 l.fall. o sugli artt. 142 e 143 d.lgs. 14/2019. A medesime conclusioni si giunge per l’azione di responsabilità verso i sindaci e verso i revisori. L’efficacia probatoria della relazione dei commissari straordinari ex art. 4, co. 2, d.l. 347/2003 e art. 28 d.lgs. 270/1999 va valutata a seconda della natura delle risultanze emergenti. Infatti, la relazione, formata da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere stati da lui compiuti o avvenuti in sua presenza; invece, il contenuto della relazione che riguarda circostanze desunte attraverso l'esame della documentazione dell'imprenditore o l’espressione di valutazioni da parte dei commissari straordinari rimane validamente valutabile. La relazione presenta, comunque, un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata mediante una specifica prova contraria. [ Continua ]
2 Gennaio 2024

Legittimazione del rappresentante comune degli obbligazionisti all’impugnazione delle delibere assembleari

In mancanza di un'apposita previsione legislativa deve escludersi che il rappresentante comune degli obbligazionisti possa impugnare le deliberazioni dell’assemblea dei soci per vizi determinanti l'annullabilità delle stesse. Ma anche qualora si volesse ritenere ammissibile l’impugnazione, il ritardo nella comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea al rappresentante comune degli obbligazionisti e l’impedito esercizio dell’intervento in assemblea non costituiscono vizi idonei a invalidare la delibera. [ Continua ]
21 Novembre 2023

Responsabilità dell’intero CdA per condotte distrattive poste in essere da un singolo consigliere

Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto. [ Continua ]