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Tribunale di Napoli


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22 Luglio 2021

Responsabilità solidale del liquidatore di diritto per gli atti gestori del liquidatore di fatto

Il liquidatore di diritto, così come l’amministratore di diritto, risponde anche dell’operato di eventuali amministratori o liquidatori di fatto, per aver consentito loro di ingerirsi nella gestione sociale, senza impedirne gli atti dannosi, in quanto l’accettazione della carica comporta l’assunzione di obblighi il cui dovere di adempimento non può essere escluso in presenza di delega o di consenso all’ingerenza di terzi nell’attività liquidatoria.

Invero, in virtù del richiamo operato dall’art. 2489, secondo comma, c.c. in materia di responsabilità dei liquidatori alla disciplina dettata per gli amministratori, anche ai primi deve ritenersi applicabile il principio per cui il soggetto che accetti di ricoprire la relativa e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere al terzo. Sicché, ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso è pertanto ascrivibile, in via solidale, anche liquidatore di diritto.

19 Luglio 2021

Curatore speciale: non è necessaria la nomina se la delibera impugnata è stata sostituita da un’altra

Nella fase di merito di un giudizio di impugnazione di una delibera assembleare non è necessaria la nomina di un curatore speciale della società, sebbene già nominato nella precedente fase cautelare, qualora sia intervenuta l’adozione di una nuova delibera sostitutiva di quella impugnata che non sia oggetto di sospensione o impugnazione. L’adozione di una delibera sostitutiva ai sensi dell’art. 2377, c. 8, c.c. – a differenza della fase cautelare in cui tale delibera non era intervenuta – legittima il Presidente del C.d.A. a rappresentare la società, dovendosi escludere in concreto la ricorrenza del conflitto di interessi.

15 Luglio 2021

Omessa convocazione dell’amministratore in conflitto di interessi e validità della delibera di esclusione

In caso di omessa convocazione del socio-amministratore, non è invalida la delibera di CdA di esclusione dello stesso socio-amministratore per morosità nel versamento dei conferimenti sociali, attesa la posizione di conflitto di interessi in cui egli si trovava, non potendo votare in una deliberazione avente ad oggetto la sua esclusione.

 

8 Luglio 2021

Azione esercitata dal curatore fallimentare: responsabilità dell’amministratore e del socio di s.r.l.

L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto dal fallimento e pertanto ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Giacché l’art. 2476, co. 8 c.c. postula un legame di solidarietà passiva tra amministratore e socio, il socio non amministratore, responsabile della decisione o dell’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, può esser chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore.

8 Luglio 2021

Qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e azione di responsabilità esercitata dal socio di s.r.l.

I versamenti dei soci possono assumere natura di conferimento o di finanziamento a titolo di capitale di credito. Al fine di valutare con esattezza la natura dei loro apporti è necessario accertare quanto previsto dalla delibera assembleare che li dispone, nonché verificare la collocazione assunta nel bilancio, ossia tra i crediti, figurando come “patrimonio”, ovvero tra i debiti, componendo la voce “finanziamento”. Occorre distinguere i prestiti o finanziamenti a titolo di mutuo – attributivi del diritto alla restituzione nel termine stabilito dalle parti ferma restando l’eventuale applicazione della disciplina della postergazione di cui agli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. – dagli apporti spontanei diversi dai veri e propri conferimenti ma pur sempre riconducibili alla categoria dei mezzi propri e classificabili in: (i) “versamenti a fondo perduto”, (ii) “versamenti in conto capitale”, svincolati da una futura delibera di aumento del capitale sociale e diretti ad incrementare il patrimonio della società in via definitiva, lasciandola libera di utilizzare le somme conseguite per gli scopi più vari senza doversi preoccupare di un eventuale diritto alla restituzione, (iii) “versamenti in conto di un futuro e determinato aumento di capitale”, i quali, da un punto di vista contabile, sono allocati provvisoriamente tra le riserve “targate” nell’ambito del patrimonio netto prima di passare a capitale a seguito della delibera di aumento, o (iv) “versamenti in conto di un aumento di capitale” genericamente collocato nel futuro.

Al fine di stabilire se i versamenti di somme di denaro eseguiti dal socio alla società possano ritenersi effettuati per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell’ipotesi di liquidazione, ovvero che essi non siano rimborsabili, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. Al fine della corretta qualificazione giuridica dei versamente effettuati dai soci assume rilievo centrale la volontà negoziale, dovendosi trarre un indice inequivocabile non tanto nella denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere stato diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Per accertare volta per volta se tra i soci e la società sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo (o in altro titolo idoneo a giustificare la pretesa restitutoria), oppure se i versamenti stessi costituiscano apporti finanziari, aggiunti ai conferimenti originari o a successivi aumento del capitale sociale, traducendosi in incrementi del patrimonio netto della società, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. In tale indagine non è decisiva l’allocazione nel bilancio del relativo importo, in quanto – da un lato – il bilancio e le altre scritture contabili sono meri strumenti di rappresentazione del fatto di gestione e – dall’altro lato –  è incongruo che la volontà di chi esegue il versamento possa desumersi da un atto della società che lo riceve, quale l’iscrizione in bilancio.

Il legislatore ha introdotto, con l’art. 2476 c.c., la legittimazione del singolo socio della s.r.l. a proporre azione di responsabilità contro amministratori o liquidatori, valorizzandone il ruolo di iniziativa. Il singolo socio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduto, gode di una legittimazione straordinaria, nell’interesse della società, riconducibile alla nozione di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.: pur se non necessariamente di natura surrogatoria, quantunque la sua azione supplisca, nella normalità dei casi, all’inerzia dell’assemblea. In altre parole, l’art. 2476, co. 3, c.c. attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ad un soggetto, quale il socio, diverso dal titolare del diritto medesimo, che in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione per legge e per statuto incombenti sull’amministratore. La norma si giustifica concettualmente sulla base della considerazione che il socio che assume l’iniziativa è titolare di un interesse giuridicamente apprezzabile costituito dalla volontà di preservare il valore della partecipazione sociale di cui è titolare; valore che è influenzato, da un lato, dal danno cagionato al patrimonio sociale dalle condotte dell’amministratore infedele e, dall’altro, dall’esito favorevole dell’azione che egli intenta. L’azione esercitata dal socio ai sensi del terzo comma dell’art. 2476 c.c. costituisce la medesima azione di cui è titolare la società e, precisamente, l’azione volta a far valere la responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente: la legge si limita, in questa prospettiva, a delineare una legittimazione concorrente e disgiuntiva spettante, per un verso, alla società e, per altro, al singolo socio il quale esercita l’azione sociale sulla base di una sostituzione processuale eccezionalmente ammessa dalla legge (art. 81 c.p.c.). La legittimazione sostitutiva del socio è una legittimazione straordinaria che si cumula a quella del titolare del diritto senza eliderla, e che trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare al meglio il diritto della società alla reintegrazione del danno che le derivi da atti di mala gestio, attraverso un penetrante controllo del socio sull’amministrazione. La società a cui appartiene il socio che agisce in virtù della sua legittimazione straordinaria e concorrente, deve essere sempre evocata in giudizio essendo un litisconsorte necessario. Una volta costituitasi, può con tutta evidenza aderire alle domande del socio oppure discostarsene; in tale ipotesi, è la legge che disciplina i termini in cui le scelte divergenti della società possono incidere sul diritto di azione del socio, laddove, nell’art. 2476, co. 5, c.c., prevede la possibilità per la società di rinunciare all’azione o transigere con effetto preclusivo di ogni altra azione promossa individualmente dal singolo socio – a condizione che vi consentano i 2/3 del capitale e gli eventuali dissenzienti non raggiungano 1/10 del capitale –, così bilanciando gli interessi contrapposti e ponendo un argine a eventuali iniziative strumentali del socio di minoranza.

L’art. 2476, co. 1, c.c. statuisce che l’amministratore della società a responsabilità limitata risponde verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo; la responsabilità dell’amministratore sussiste quindi solo in presenza della violazione dei suddetti obblighi, della realizzazione di un danno al patrimonio sociale e della presenza di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Inoltre, il socio può dedurre che la condotta dell’amministratore ha causato un danno direttamente al suo patrimonio ai sensi dell’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c. ed essere risarcito del relativo danno nella misura in cui esso non costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., sostanzialmente richiamato per le s.r.l. dall’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c., esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscano danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

6 Luglio 2021

Procedimento di dismissione delle partecipazioni non più detenibili dagli enti pubblici e determinazione del valore della quota

Al fine di tutelare la concorrenza ed il mercato, gli enti locali non possono mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi per oggetto le attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. In caso di mancata alienazione mediante la procedura ad evidenza pubblica entro il termine indicato dall’art. 1, co. 569 della Legge 147/2013, si verifica una sorta di decadenza ope legis della partecipazione con il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all’ente del valore delle quote o delle azioni in base agli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2437 ter, co. 2 c.c.. Si tratta di un procedimento di dismissione delle partecipazioni che non può essere configurato come esercizio del diritto di recesso, il quale, diversamente, presuppone l’espressione di una volontà abdicativa legata all’interruzione del rapporto societario.

Il rinvio alla disciplina dell’art. 2437-ter c.c. è limitato esclusivamente ai criteri da utilizzare per individuare il valore della partecipazione da liquidare al socio uscente. Il procedimento di liquidazione della quota deve essere fissato al momento della cessazione di diritto della partecipazione, non potendo accollare al socio uscente gli effetti di scelte strategiche maturate quando ormai il socio non fa più parte di diritto della compagine societaria. Vista l’incompatibilità con il procedimento ordinariamente disciplinato dal diritto societario per addivenire alla liquidazione del socio e dovendo prescindere da una valutazione dell’assemblea sociale della partecipata circa le modalità attuative più idonee della scelta di dismissione dell’ente, non è consentita l’applicazione del procedimento ex art. 2437 quater c.c.

28 Giugno 2021

Legittimazione processuale del fallito

La legittimazione processuale in capo al fallito sussiste solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico, se l’intervento è previsto dalla legge, nonché nei giudizi di natura tributaria qualora possano derivare, da questi, fatti oggetto di imputazione penale, ovvero in caso di inerzia assoluta del curatore fallimentare (nel caso di specie, è stata esclusa la legittimazione processuale del fallito all’azione revocatoria volta ad assicurare gli esiti di un giudizio relativo a fattispecie di responsabilità civile, i cui diritti ai sensi dell’art. 42 l.f. erano stati già esercitati dal curatore, che con autorizzazione del giudice delegato ha inteso non coltivare il giudizio connesso, ritenendolo non utile per la massa ed assumendosi la responsabilità dell’atto).

28 Giugno 2021

La valutazione dell’avviamento nel bilancio

In materia di criteri di valutazione delle voci di bilancio, l’art 2426, co. 1, n. 6, c.c. prevede che l’avviamento possa esser esposto in tale documento contabile se acquisito a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto, e non già nei limiti del prezzo di acquisto dell’azienda in cui è incluso. 

Codice RG 25479 2016
18 Giugno 2021

Nesso causale tra condotta dell’amministratore e danno, conseguenze della mancata dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio

L’azione ex art. 146 l. fall. presenta natura inscindibile ed unitaria, in quanto cumula le due possibili forme di tutela previste per la società e per i creditori le quali si trasferiscono, con l’apertura del fallimento, in capo al curatore.

La responsabilità dell’amministratore sussiste solo in presenza (i) della violazione degli obblighi posti a suo carico dalla legge o dallo statuto, (ii) della causazione di un danno al patrimonio sociale e (iii) di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Una volta individuati quindi i comportamenti violativi, che siano addebitabili agli organi gestori, occorre dedurre e provare che gli stessi abbiano arrecato un danno al patrimonio sociale (e quello conseguente alle aspettative dei creditori) e che tra condotta e pregiudizi sussista un nesso causale.

L’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno sicché l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Sull’attore grava l’onere di allegare, e poi di provare, gli altri elementi indispensabili per aversi responsabilità civile, che sono perciò al tempo stesso elementi costitutivi della domanda risarcitoria: danno e nesso di causalità.

L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

16 Giugno 2021

Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.

La nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, come da giurisprudenza prevalente, devono – oltre che riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori – essere attuali, per cui nessun provvedimento potrà essere adottato qualora le stesse abbiano esaurito ogni effetto. Infine, esse devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale.

Con riferimento alle condotte, alla luce dell’opzione legislativa per l’atipicità delle irregolarità, il requisito della gravità postula fatti e deficienze non altrimenti eliminabili, concretanti violazioni di legge e, segnatamente, delle norme civili, penali, amministrative e tributarie e dello statuto e – in virtù del richiamo di cui all’art. 2392, comma 1, c.c. – delle regole generali di gestione diligente nell’interesse sociale e in assenza di conflitti di interesse, che si sostanzino in fatti specificamente determinati e ascrivibili agli amministratori.

Inoltre non rilevano né il tipo di norma violata né lo stato soggettivo (dolo o colpa) di amministratori e sindaci, non essendo il procedimento instaurato in seguito a un ricorso presentato ai sensi dell’art. 2409 c.c. direttamente collegato all’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto trattasi di procedimento volto a ripristinare la regolarità dell’attività gestoria e privo di ogni finalità sanzionatoria.

Quanto al requisito dell’attualità, non rilevano vicende societarie esaurite e non ulteriormente produttive di possibili effetti nocivi, non potendosi dar luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria quando sia già stato ripristinato l’ordine amministrativo e gli effetti della condotta siano ormai intangibili, come si evince anche dalla previsione di cui all’art. 2409, comma 3, c.c.

Inoltre, le irregolarità devono essere idonee alla causazione di un danno alla società. Deve reputarsi sufficiente anche il mero pericolo di danno futuro, purché patrimonialmente rilevante, alla società; non rivestono, invece, alcuna rilevanza ai fini dell’art. 2409 c.c. eventuali profili di danno ai singoli soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Sono, invece, irrilevanti le censure attinenti al merito delle scelte gestorie, con due sole eccezioni: in primo luogo, le scelte palesemente irragionevoli o negligenti, atteso che il controllo dell’autorità giudiziaria è di legalità e di regolarità della gestione, intesa quale attività materiale e giuridica diretta alla realizzazione dell’oggetto sociale in modo conveniente, cioè tale che la quantità delle risorse complessivamente consumate nella produzione dei beni e dei servizi sia inferiore o corrispondente ai ricavi; in secondo luogo, il tribunale può sindacare anche il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa. In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgment rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza, quanto dell’obbligo di fedeltà, comunque compreso tra quelli richiamati dall’art. 2409, comma 1, c.c. e sotteso ai precetti normativi in tema di conflitto di interessi.