Il danno diretto nell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.
La prospettazione da parte del socio o del terzo di un danno meramente riflesso rispetto alla lesione alla garanzia patrimoniale della società non integra le condizioni essenziali per l’accoglimento dell’azione ex art. 2395 c.c. Infatti, l’azione individuale del socio o del terzo nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio, o il terzo, sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
A norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall.
Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. La destinazione del patrimonio sociale di una società in sofferenza patrimoniale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare, e il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.
Il pagamento preferenziale può arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perché si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.
Abuso di dipendenza economica e responsabilità da direzione e coordinamento. Danno diretto e danno riflesso
La disciplina ex art. 2497 c.c. è specificatamente volta alla tutela dei soci di minoranza di società eterodirette, l’abuso nei confronti delle quali da parte della controllante si sia risolto in un pregiudizio al patrimonio dell’eterodiretta, comportante anche una diminuzione del valore della partecipazione dei soci di minoranza, i quali, in questa peculiare situazione, sono legittimati dalla norma a far valere, contrariamente alla regola generale, un proprio danno riflesso, non essendo plausibile, data la situazione di direzione e coordinamento esistente, che il danno diretto subito dal patrimonio della eterodiretta sia oggetto esso stesso di azioni risarcitorie e quindi potendosi escludere una duplicazione risarcitoria.
Proprio in relazione a tale finalità della disciplina, la responsabilità della società esercente attività di direzione e coordinamento viene quindi esclusa dall’ultima parte del primo comma dell’art. 2497 c.c. nel caso in cui il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento, ovvero sia integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Tale esclusione deve essere estesa, secondo la ratio della norma, anche all’ipotesi in cui il pregiudizio subito direttamente dalla società eterodiretta sia stato azionato da quest’ultima, poiché l’accoglimento sia della pretesa azionata dalla società eterodiretta sia di quella azionata dai soci della stessa verrebbe a rappresentare una duplicazione delle poste risarcitorie.
Qualora una società di capitali subisca un danno per effetto dell’illecito commesso da un terzo, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non una conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
La partecipazione sociale in una società di capitali costituisce un bene giuridicamente distinto e autonomo dal patrimonio sociale, come tale inidoneo a venire direttamente danneggiato da vicende legate all’inadempimento contrattuale di un terzo nei confronti della società, attesa la natura meramente riflessa che il pregiudizio patrimoniale conseguente può produrre sul valore della quota di partecipazione. Ne consegue che, posta la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello del socio, anche nell’ipotesi di partecipazione totalitaria, qualsiasi danno che colpisce direttamente il patrimonio della società può avere un’incidenza meramente indiretta sulla quota medesima e, conseguentemente, non è suscettibile di autonoma risarcibilità.
La domanda che sia fondata su una pretesa di abuso di dipendenza economica, e cioè di eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi negli esistenti rapporti commerciali regolati da un contratto, ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale rientra nella materia contrattuale, posto che la linea di demarcazione tra controversia contrattuale e quella relativa a delitti o quasi delitti è costituita dalla circostanza che nella prima vi deve essere prospettata una censura attinente alla mancata o imperfetta esecuzione di un programma di comportamento dovuto dal convenuto e non la semplice e autonoma lesione di un bene della vita tutelato in quanto tale dal diritto oggettivo. Rientrano, pertanto, nelle controversie di natura contrattuale non solo quelle riguardanti il mancato adempimento di un obbligo di prestazione di fonte negoziale (controversie pacificamente contrattuali), ma in genere le controversie in cui l’attore, allegando l’esistenza di una regola di condotta legata ad una relazione liberamente assunta tra lui e l’altra parte ne lamenti la violazione da parte di quest’ultima. In altri termini, va qualificata come controversia in materia contrattuale quella tra due soggetti, che non si pongono l’un l’altro come due consociati non relazionati reciprocamente, ma come soggetti che hanno già instaurato un rapporto di natura commerciale, dal quale ognuno attende che l’altro non ne abusi, ma tenga un comportamento determinato.
Anche nei confronti delle persone giuridiche, e in genere degli enti collettivi, è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, qualora il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, qual è il diritto all’immagine, determinando una diminuzione della considerazione dell’ente o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisca.
Il cessionario della totalità del capitale sociale non acquista il diritto all’azione ex art. 2395 c.c.
Deve ritenersi valida la dichiarazione dell’acquirente delle partecipazioni sociali di rinuncia all’esercizio dell’azione ex art. 2395 c.c. indirizzata agli amministratori e soci della società oggetto di acquisto. La dichiarazione deve ritenersi sufficientemente determinata anche quando faccia riferimento generico ai fatti inerenti l’acquisto delle partecipazioni.
Legittimato all’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. (così come ex art. 2497 c.c.) è il socio che era tale nel momento in cui si è verificato il danno al valore o reddittività della partecipazione. Tale danno, inerendo alla partecipazione, si manifesta direttamente nel patrimonio personale del socio, sub specie di danno all’investimento: è solo in questo patrimonio che si determina la diminuzione di valore della partecipazione o la sua mancata reddittività. Ne consegue che il diritto al risarcimento ex art. 2395 c.c. non circola unitamente alla partecipazione ed invece separatamente da essa. Perciò il socio mantiene la legittimazione ad agire, rispetto a danni subiti alla partecipazione quando era socio, anche dopo che ha ceduto la partecipazione ad altri. E viceversa, i cessionari non acquistano, per il solo fatto di essere cessionari della partecipazione, il diritto al risarcimento del danno causato dall’abuso antecedente all’acquisito salvo specifiche pattuizione contenute nel contratto di cessione.
La nullità di cui all’art. 1229 c.c. deve ritenersi predicabile delle rinunce preventive, non di quelle successive. La ragione del divieto sanzionato da nullità non ricorre quando l’accordo o l’impegno siano assunti dopo che la condotta da cui potrebbe sorgere la responsabilità si sia già compiuta e quindi in un momento in cui il creditore sia posto in condizione di esaminare la condotta fonte di responsabilità. Non si tratta infatti di accordo preventivo di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave, ma dichiarazione di rinuncia ad un proprio diritto di azione e ad un (eventuale) credito risarcitorio.
Responsabilità degli amministratori verso i singoli soci o terzi
L’art. 2476, co. 6, c.c. prevede il diritto al risarcimento dei danni del singolo socio e del terzo direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. La chiave della distinzione di questa azione da quella sociale e dei creditori sociali è da rinvenirsi nell’espressione normativa “direttamente danneggiati”. Infatti, il danno arrecato al patrimonio sociale colpisce i soci e i terzi sempre indirettamente. Con particolare riguardo ai secondi, essi sono danneggiati indirettamente soltanto in quanto il patrimonio sociale non sia sufficiente a soddisfare i loro crediti. L’esempio classico di applicazione dell’art. 2476, co. 6, c.c. ricorre nell’ipotesi in cui gli amministratori redigano o rappresentino una situazione finanziaria alterata o comunque non veritiera sulla base della quale attirano delle banche a finanziare la società o dei risparmiatori a sottoscrivere azioni. In questo caso, non vi è danno per il patrimonio sociale che anzi risulta arricchito dai finanziamenti ottenuti. Pertanto il danno che il terzo subisce non è un riflesso del danno subito dal patrimonio sociale, ma investe immediatamente il loro patrimonio. Il criterio distintivo è proprio quello del danno diretto o indiretto. La giurisprudenza riconosce alla responsabilità individuale (o diretta) natura extracontrattuale, essenzialmente sul rilievo che tra gli amministratori ed il terzo non vi è rapporto contrattuale, sì che la norma sanziona la violazione del generale divieto, posto dall’art. 2043 c.c., di pregiudicare colpevolmente o dolosamente l’altrui sfera patrimoniale.
[Nel caso di specie l’amministratore unico di una società s.r.l., ha presentato e ceduto all’istituto di credito due fatture per crediti vantati nei confronti di una società terza e successivamente ha comunicato, in violazione delle regole di buona fede e correttezza, al debitore ceduto (e non all’istituto di credito) l’avvenuto storno, e quindi, il venir meno del credito. Un atteggiamento improntato a buona fede – ex art. 1375 c.c. – avrebbe imposto all’amministratore di comunicare tempestivamente l’istituto di credito dell’accaduto, anche per metterla in condizione di assumere eventuali conseguenti provvedimenti circa l’affido erogato.]
Riduzione del valore della partecipazione sociale e danno diretto del socio
L’azione promossa individualmente dal socio nei confronti degli amministratori, ai sensi dell’art. 2395 cod. civ., richiede la realizzazione di un danno diretto alla sfera giuridico-patrimoniale del singolo socio danneggiato. Ne consegue che costituiscono condotte in relazioni alle quali difetta il carattere del danno diretto richiesto dalla norma indicata quelle degli amministratori che abbiano impedito il conseguimento di utili, danneggiato il patrimonio della società e reso impossibile la liquidazione delle quote sociali, trattandosi di comportamenti dolosi o colposi che colpiscono in via diretta esclusivamente la società, avendo un effetto solo riflesso sui soci.
Sul danno derivante dal mancato pagamento dei costi sociali da parte dei soci di s.r.l.
Il danno derivante dal mancato pagamento dei costi sociali da parte dei soci convenuti che ha portato alla liquidazione della società di servizi è un danno diretto del patrimonio della società e solo mediato di quello dei suoi soci e non costituisce valido presupposto per il risarcimento dei danni indirettamente subiti da questi ultimi.
Azione individuale del socio contro l’amministratore nelle società di persone
La struttura del diritto azionato dal socio amministratore di una società in nome collettivo contro l’altro socio amministratore a titolo di danno personale e diretto, e quindi la sua natura di azione di responsabilità del socio ad instar dell’art. 2395 c.c. [ LEGGI TUTTO ]
La legittimazione del terzo all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori successivamente al fallimento della società e la legittimazione del curatore fallimentare
In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) ex art. 2395 c.c. per ottenere il risarcimento dei danni [ LEGGI TUTTO ]
Azione individuale di responsabilità di soci di s.r.l. e necessaria sussistenza del danno diretto al patrimonio di questi ultimi
Il singolo socio può promuovere non solo l’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno arrecato al patrimonio della società (agendo in vece di quest’ultima) ma anche l’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno patito direttamente dal suo patrimonio (nelle s.r.l. ex art. 2476 sesto comma c.c., cui si applica il disposto di cui all’art. 2395 c.c., in quanto compatibile, previsto per la disciplina in tema di s.p.a.). Tale azione è volta a tutelare gli interessi individuali dei titolari di diritti non protetti dagli artt. 2393 e 2394 c.c. Infatti, il novero dei soggetti tutelati dalla disciplina sulla responsabilità degli amministratori non si esaurisce nella società e nei creditori, dal momento che l’offensività delle condotte può colpire direttamente i soci ed anche soggetti estranei alla compagine societaria: presupposto necessario per tale azione è il riscontro dell’incidenza diretta del danno – di cui all’avverbio “direttamente” ex art. 2395 c.c. – sul patrimonio del socio o del terzo medesimi.
I soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio.
L’azione promossa ai sensi dell’art. 2395 c.c., che si basi sulla contestazione all’amministratore unico di aver sostenuto spese non adeguate alla struttura sociale, costringendo quindi i soci a rinunciare al rimborso di finanziamenti erogati in favore della società al fine di coprire le perdite accumulate, fuoriesce dal perimetro della norma in oggetto: il danno subito dai soci, infatti, non può dirsi “diretto” ma risulta, al contrario, il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società per effetto della condotta posta in essere dall’amministratore medesimo.
Legittimazione attiva all’azione di responsabilità, litisconsorzio con la società e nomina di un curatore speciale
Nella s.r.l. l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori (volta ad ottenere il risarcimento del danno patito dal patrimonio sociale a causa dell’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo) può essere esercitata sia dalla società (titolare del diritto al risarcimento del danno) sia dal socio (ciò indipendentemente dalla consistenza della partecipazione sociale). Tuttavia, il socio – non essendo titolare del diritto al risarcimento del danno – fa valere in nome proprio il diritto spettante alla persona giuridica. Ne consegue, dunque, che la società – quale soggetto titolare del diritto in favore del quale è stata esercitata l’azione – deve necessariamente partecipare (ex art. 102 c.p.c.) sia al processo relativo all’azione sociale, sia ad eventuali procedimenti cautelari. Qualora, poi, al momento dell’esercizio dell’azione sociale, il soggetto asseritamente responsabile dei danni al patrimonio sociale sia ancora titolare dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, si rende necessaria la nomina di un curatore speciale (ai sensi dell’art. 78, co. 2, c.p.c.), atteso l’evidente ed attuale conflitto di interessi fra rappresentante (l’amministratore che sia anche dotato del potere di rappresentanza della società) e rappresentato (la società).