Rievocazione di fatti storici e plagio di un lungometraggio in riferimento ad alcune scene di una fiction in onda su Rai Uno
Mentre l’art. 44 l.d.a considera coautori dell’opera cinematografica l’autore del soggetto, l’autore della sceneggiatura, l’autore della musica e il direttore artistico, il successivo art. 45 l.d.a stabilisce che l’esercizio dei diritti di utilizzazione economica dell’opera cinematografica spetta al produttore (co. 1) e che si presume produttore colui che è indicato come tale sulla pellicola cinematografica (co. 2). Quest’ultima disposizione costituisce specifica declinazione, in materia di opere cinematografiche, della presunzione legale relativa prevista dall’art. 8 l.d.a. L’esclusiva riconosciuta dal diritto d’autore riguarda l’opera in quanto rappresentazione ed espressione di idee, sentimenti, conoscenze e realtà, ma non il contenuto o l’idea sottostante all’opera medesima. Di conseguenza, la protezione cade esclusivamente sulla forma rappresentata ed è solo a questa che deve farsi riferimento, non al contenuto o all’idea. Affinché l’opera contestata risulti plagiaria, è necessario che il suo autore si sia appropriato degli elementi creativi, ovvero del nucleo individualizzante dell’opera altrui, rappresentando in modo pedissequo quanto da altri precedentemente ideato ed espresso in una forma determinata e identificabile. Va esclusa, invece, la sussistenza del plagio nel caso in cui la nuova opera dell’ingegno, pur fondandosi sulla stessa idea ispiratrice, si differenzi negli elementi essenziali che ne caratterizzano la forma espressiva, evidenziando uno scarto semantico ed un diverso significato artistico rispetto a quello che aveva l’opera anteriore. In altri termini, il plagio sussiste quando la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra sia “camuffata” o “mascherata” mediante varianti solo apparenti, come tali scevre di apporto creativo, e dirette solo a nascondere la contraffazione, che lasciano intatto il nucleo creativo dell’opera altrui. Al contrario, non sussiste il plagio qualora le due opere, pur avendo in comune lo stesso spunto o motivo ispiratore, differiscano con riferimento agli ulteriori elementi essenziali e caratterizzanti.
Riguardo alle interviste, occorre distinguere il caso in cui la tutela autorale viene invocata dall’intervistatore o un suo avente causa, da quello in cui venga invocata dall’intervistato. In entrambi i casi, presupposto della protezione del diritto d’autore è che le domande poste dall’autore dell’intervista e/o le dichiarazioni rese dall’intervistato posseggano, come qualsiasi altra opera dell’ingegno, i caratteri di originalità e creatività, quest’ultima sia pure in misura minima. In genere, la qualifica di autore spetta di regola all’intervistatore, ove l’intervista stessa soddisfi i presupposti di creatività richiesti per l’accesso alla tutela propria del diritto d’autore, laddove cioè la sua impostazione e la sua conduzione comportino la capacità di sollecitare risposte tali da rivelare la personalità del l’intervistato al di là dei fatti specifici oggetto della narrazione. L’ipotesi che invece individui nella persona dell’intervistato l’effettivo autore dell’intervista – pure astrattamente possibile – dovrebbe applicarsi a situazioni in cui di fatto l’intervistatore si sia limitato a proporre domande semplici e banali, che costituiscano cioè solo la mera occasione per l’intervistato di spaziare in maniera del tutto autonoma ed imprevedibile su diversi temi al di là delle previsioni ed intenzioni dell’intervistatore stesso, integrando dunque di fatto le risposte così rese un testo sostanzialmente autonomo dalle sollecitazioni ricevute nel corso dell’intervista stessa e dunque del tutto preponderante nel contesto della stessa sul piano della rilevanza e creatività rispetto al contributo effettivo dell’intervistatore. Salvo casi eccezionali, la tutela autorale non comprende, dunque, anche il testo delle dichiarazioni rilasciate dai personaggi pubblici intervistati e i fatti narrati o le frasi pronunciate dalla persona intervistata non rappresentano il frutto di un’attività creativa dell’intervistatore tutelata dal diritto d’autore e possono essere, quindi, liberamente utilizzate da chiunque voglia rievocare quelle determinate vicende, dichiarazioni o espressioni verbali in successive opere dell’ingegno. La mancata menzione delle fonti dalle quali sono state tratte le frasi pronunciate non pregiudica il diritto di riprodurle in opera audiovisiva di altri.
Se due opere audiovisive trattano le medesime vicende biografiche, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’asserito plagio parziale va applicato il principio secondo il quale, in relazione alla rappresentazione di fatti storici e/o biografici, qualora due opere a confronto hanno la stessa matrice storica e si riferiscono a fatti realmente avvenuti, la tutela autorale non attiene al contenuto, ma solo al modo in cui l’accadimento è trattato, ovvero il punto di vista scelto dall’autore e, quindi, la sola estrinsecazione, nella forma d’arte scelta per la rappresentazione dei fatti storici. Per i fatti storici vige il principio della libera rievocazione dei fatti storici, che non sono di per sé monopolizzabili, essendo la tutela del diritto d’autore limitata alle sole scelte formali attraverso le quali l’episodio reale è stato concretamente rappresentato nell’opera cinematografica, ovvero alle tecniche stilistiche e redazionali personali attraverso le quali l’autore dell’opera precedente ha veicolato i medesimi fatti storici o biografici.
Sfruttamento illecito dell’immagine altrui per finalità commerciali e pubblicitarie
In virtù del principio del consenso, accolto dal nostro ordinamento e sancito all’art. 96 L. 633 del 1941, per riprodurre, esporre o mettere in commercio l’immagine di una persona è sempre necessario ottenerne il previo consenso. Lo sfruttamento dell’immagine altrui senza il consenso del soggetto rappresentato è ammesso solo in casi tassativamente indicati dall’art. 97 L. 633 del 1941, ossia quando si accompagni ad un’esigenza pubblica di informazione, se giustificata da notorietà o dall’ufficio pubblico coperti, da necessità di giustizia o polizia, da scopi scientifici o didattici e non invece per finalità di lucro.
Al di fuori delle ipotesi scriminanti- che vanno interpretate in senso restrittivo, in quanto hanno carattere derogatorio rispetto al diritto all’immagine che è diritto inviolabile della persona e protetto costituzionalmente- deve ritenersi pertanto fondata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, quale somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per acconsentire alla pubblicazione della propria immagine e del danno non patrimoniale.
Patto di opzione per la cessione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno
Il patto di opzione ex art. 1331 c.c., avendo natura di negozio preparatorio, deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto, in modo da consentirne la conclusione nel momento e per effetto dell’adesione dell’altra parte, senza la necessità di ulteriori pattuizioni.
Il contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno è un negozio consensuale a forma libera: esso non deve obbligatoriamente essere stipulato per iscritto, posto che l’art. 110 della L. 633 del 1941 ne impone la forma scritta ad probationem tantum.
La dichiarazione negoziale della parte che concede l’opzione si qualifica come proposta irrevocabile ai sensi dell’art. 1329 c.c.: al concedente non è perciò richiesto il compimento di alcuna attività ulteriore per lo sviluppo della dinamica negoziale che conduca all’eventuale perfezionamento del negozio definitivo, se non quella di non impedire al beneficiario dell’opzione l’esercizio del diritto di accettazione, a pena dell’obbligo di risarcimento dei danni. Ne consegue che la comunicazione con cui la parte concedente l’opzione dichiari di recedere dal rapporto – da qualificarsi giuridicamente come revoca della proposta – prima della scadenza del termine di efficacia dell’opzione è illegittima, perché preclude al beneficiario l’esercizio di un diritto ancora facente parte, in quel momento, della sua sfera giuridica.
In forza del principio generale di compensatio lucri cum damno, la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni subiti a fronte di costi inutilmente sostenuti, pur fondata, dev’essere rigettata allorquando si dia atto che l’attore in riconvenzionale abbia percepito delle somme, in dipendenza di quelle stesse attività [nella specie, si trattava di fondi percepiti dalla società convenuta a seguito della partecipazione a bandi di finanziamento, necessari per dare esecuzione all’accordo principale rimasto poi ineseguito]. Qualora tale importo ecceda l’ammontare del danno che la parte avrebbe avuto diritto a vedersi risarcito, la differenza non può essere devoluta in favore della controparte, in difetto di apposita domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.
Tutela autoriale delle banche dati e illecita sottrazione di informazioni riservate
La verifica della competenza va attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta, tenendo altresì conto che, qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice la individuazione dell’azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili.
L’utilizzabilità da parte dell’ex lavoratore delle conoscenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa non può estendersi fino al punto di ricomprendere un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, anche se non segretati o pretetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (in tal senso Cass. 12.7.2019 n. 18772).
Rientrano nella definizione di banche dati, secondo gli art. 2 n. 9 e 64-quinuies e sexies L. 633/41, le raccolte di opere, dati, e altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. Affinchè una banca dati possa rientrare nell’ambito di tutela della disciplina delle opere dell’ingegno è necessario che sia dotata del requisito della creatività, ovvero della capacità dell’opera di costituire espressione del suo autore.
La liquidazione equitativa del danno secondo quanto previsto dall’art. 158 L. 633/1941 in materia di violazione del diritto d’autore e dall’2600 c.c. in materia di concorrenza sleale presuppone in ogni caso la prova circa l’effettiva esistenza del danno. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22.2.2018 n. 4310, Cass. 30.7.2020 n. 16344).
Il mantenimento in funzione per un lungo periodo di tempo dell’account aziendale personale di un dipendente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza dello stesso.
Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 20.8.2020 n. 17383). Il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (Cass. 10.6.2021 n. 16402).
Successione mortis causa, trasmissione del diritto d’autore e condotte anticoncorrenziali
Quando ad invocare la tutela autorale è un soggetto terzo rispetto all’autore dell’opera dell’ingegno, il quale avrebbe acquistato la privativa sull’opera da un altro soggetto, anch’egli diverso dall’autore e che, a sua volta, avrebbe da quest’ultimo acquistato i diritti sull’operare in qualità di erede, occorre verificare la continuità e l’ampiezza dei trasferimenti del diritto fatto valere in giudizio, a partire dalla allegata cessione iure hereditatis.
L’autore può aver trasmesso iure hereditatis al figlio (dante causa, quest’ultimo, dell’odierna attrice) i soli diritti che, secondo la legge che regola la successione, facevano già parte del suo patrimonio al momento della morte. Da ciò consegue che il figlio non può aver acquistato i diritti esclusivi di sfruttamento economico di un’opera che, già prima della morte del padre, era caduta in pubblico dominio per la legge statunitense e che era, quindi, divenuta libera da privative. In questi termini, non può non rilevarsi che, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla legge nazionale applicabile in materia di tutela autorale, la successione mortis causa è pacificamente regolata dalla legge statunitense.
Deve escludersi che la commercializzazione della traduzione dell’edizione originale di un’opera configuri un illecito anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 2598 c.c. quando non ricorrono gli estremi della fattispecie di c.d. imitazione servile del prodotto per diversità strutturale e ontologica tra i due testi oggetto di traduzione, nonché per diversità del titolo e per la specifica indicazione che si tratta dell’“edizione originale” dell’opera. Il dato appare rilevante anche ai fini dell’esclusione dell’ipotesi di confondibilità tra i prodotti, atteso che il mercato di riferimento è rappresentato da studiosi e cultori, quindi da esperti della materia, difficilmente suscettibili di disorientamento circa l’origine e la natura della res posta in commercio, e non già da consumatori medi, se non proprio “profani”, sicuramente più esposti a ciò.
L’applicazione del prezzo del consenso per la liquidazione in via forfettaria del danno derivante da inadempimento contrattuale con conseguente violazione dei diritti d’autore
In giurisprudenza è diffuso il riferimento al c.d. prezzo del consenso in relazione al corrispettivo che potrebbe essere richiesto dal titolare del diritto per l’utilizzazione dell’opera (cfr. C. Appello Milano 7.6.2012, C. Appello Milano 24.11.2010, Tribunale Roma 22.4.2008, Tribunale Milano 8.7.2009). Sulla base di tale principio, alla luce della domanda di risarcimento del danno in via forfettaria formulata dalla parte attrice, è equo determinare l’importo dovuto a titolo di risarcimento in misura pari all’importo in precedenza percepito dallo stesso autore per la cessione dei propri diritti alla convenuta, oltre rivalutazione e interessi.
Non risulta doverosa l’applicazione di una maggiorazione alla royalty ricavabile dall’analisi di mercato, per il fatto che il contraffattore non assume gli stessi costi e rischi di un legittimo licenziatario. Non vi sono, infatti, nel nostro ordinamento, specifici riferimenti normativi da cui dedurre la doverosità della maggiorazione della royalty media di settore, considerato che l’art. 125, comma 2, CPI, cui è raffrontabile l’art. 158 L. 633/41, si limita a dettare una regola di semplificazione della valutazione equitativa per le ipotesi in cui sia difficile determinare l’importo effettivo del danno.
(Nel caso di specie l’attrice, l’erede universale del regista di un’opera teatrale, ha chiesto che l’entità del danno venisse determinata in via equitativa alla luce dell’intervenuta perdita di chance in relazione all’importo che avrebbe potuto percepire se la convenuta non avesse violato i propri obblighi contrattuali).
Distribuzione non autorizzata di copie di quotidiani e concorrenza sleale
In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
La concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598, n. 2, c.c.) non consiste nell’adozione di tecniche materiali o procedimenti già usati da altra impresa – che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile – ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.
La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, mediante l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.
L’ipotesi prevista dall’art. 2598, n. 3, cod. civ. – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda» – si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici previsti dai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente (v. ad es. Cass. civ. Sez. I Sent., 04/12/2014, n. 25652).
La messa in commercio dell’opera giornalistica, se, da un lato, può comportare l’esaurimento del diritto alla sua successiva circolazione, dall’altro, non determina un effetto estintivo con riferimento alla facoltà di sfruttamento anche pubblicitario dell’opera stessa che rimane in capo al suo autore o, comunque, al suo titolare.
Azione diretta all’accertamento di autenticità di un’opera del pittore Lucio Fontana
Il nostro ordinamento non riconosce un’azione generale di mero accertamento diretta a verificare la riconducibilità di un’opera artistica alla mano del suo autore. Siffatta tutela specifica viene espressamente configurata solo in capo a quest’ultimo, cui si accorda in ogni caso il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, e ad ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione (art. 20, c. 1, L. 633/1941, c.d. “Legge sul diritto d’Autore.”) nonché l’esercizio di azioni accertamento e di interdizione (artt. 156 e ss. l.d.a.) nelle ipotesi di falsa attribuzione, cui conseguono anche rilevanti risvolti penali.
In giurisprudenza sono, invero, rinvenibili diverse pronunce in cui è stata verificata, in corso di causa, l’autenticità di opere d’arte, sia mediante l’esperimento di consulenze tecniche d’ufficio, sia a seguito della valutazione complessiva di diversi elementi probatori (quali, ad esempio, expertise stragiudiziali o prove testimoniali). Tuttavia, ad eccezione di pochi esempi isolati, in tali fattispecie l’attività accertativa non risultava mai fine a sé stessa, bensì si poneva sempre come strumentale alla soddisfazione di un’ulteriore pretesa (per l’appunto diversa dal mero riconoscimento della paternità dell’opera d’arte oggetto del giudizio), nascente da un diverso rapporto giuridico esistente. Le pronunce in cui si rinvengono accertamenti incidentali di questo tipo riguardano, infatti, le ipotesi di acquisto e vendita di opere d’arte, rispetto alla quali siano successivamente intervenute valutazioni di inautenticità da parte di terzi soggetti.
Non costituisce contributory infringment ex art. 66 c.p.i. il concorso paritario ed originario nella realizzazione del macchinario in asserita contraffazione
L’art. 66, comma 2 bis, del c.p.i., punisce chi fornisce ad un terzo non autorizzato i mezzi per realizzare l’invenzione brevettata nella consapevolezza di tale uso illecito dei suddetti mezzi: tale norma, quindi, pare colpire l’attività di chi, nell’esercizio della sua ordinaria attività imprenditoriale, fornisca una componente del prodotto finale al realizzatore – appunto – del suddetto prodotto finale, ipotesi tuttavia insussistente nella fattispecie ove vi sono due soggetti che si pongono sin dall’inizio sullo stesso piano della catena produttiva finalizzata a realizzare il prodotto finale, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze professionali, ed insieme lo hanno commercializzato presentandosi come partecipi di un progetto commerciale comune.