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Wilma Zanin

Wilma Zanin

Avvocato del Foro di Milano con pluriennale esperienza nel diritto della proprietà industriale e intellettuale. Collabora presso lo Studio Legale Avv. Carlo Sala

5 Gennaio 2025

Pretesa violazione di contratto di distribuzione per vendita al di fuori del territorio in esclusiva e illecito anticoncorrenziale ex art. 2598 c.c.

Deve ritenersi inefficace la risoluzione intimata da una parte nei confronti dell'altra avvalendosi di una clausola risolutiva espressa che, pur facendo riferimento a tutte le obbligazioni contrattualmente previste, finisca per configurare una clausola di stile, non essendo specificamente identificati gli inadempimenti ai quali consegua l'effetto risolutivo. Deve considerarsi contraria a buona fede la risoluzione intimata da una parte nei confronti dell'altra senza alcuna preavviso e con immediata interruzione della fornitura previta. Conformemente al disposto di cui all’art. 4 b) i) del Reg.n°330/2010, le limitazioni imposte dal concedente ai suoi acquirenti per proteggere l’esclusiva del concessionario in un dato territorio sono compatibili con i principi della libera concorrenza solo a condizione che riguardino le vendite “attive”, non essendo consentito porre alcuna limitazione alle vendite passive. Viceversa, quando le parti pattuiscono limitazioni territoriali alla rivendita dei prodotti al di fuori del territorio esclusivo, le “vendite passive” non possono essere impedite. A tale fine, sono considerate vendite “attive” ai sensi del § 51 degli “Orientamenti sulle restrizioni verticali” della Commissione Europea (2010/C 130/01): - il contatto attivo con singoli clienti ad esempio per posta, compreso mediante l’invio di messaggi di posta elettronica non sollecitati; - la visita diretta di questi ultimi; - il contatto attivo con uno specifico gruppo di clienti, o con clienti situati in uno specifico territorio attraverso inserzioni pubblicitarie sui media o via Internet o altre promozioni specificamente indirizzate a quel gruppo di clienti o a clienti in quel territorio. Sono invece “vendite passive”: -la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti; - le azioni pubblicitarie o promozioni di portata generale che raggiungano clienti all’interno dei territori (esclusivi) o dei gruppi di clienti (esclusivi) di altri distributori, ma che costituiscano un modo ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali territori o gruppi di clienti, ad esempio per raggiungere clienti all’interno del proprio territorio. [ Continua ]
15 Novembre 2024

La finalità della descrizione: soddisfacimento di esigenze istruttorie e rischio di dispersione della prova

La misura della descrizione è finalizzata all’acquisizione della prova della violazione del diritto, ed è quindi sia rimedio di istruzione preventiva, in quanto rivolta al soddisfacimento di esigenze istruttorie relative al prospettato giudizio di merito, cui è direttamente strumentale, sia rimedio di natura cautelare, in quanto la sua concessione è comunque subordinata alla sussistenza di un rischio di dispersione della prova, che in alcuni casi necessita della sua anticipata acquisizione, in quanto non altrimenti disponibile per il titolare del diritto che si assume leso. La tutela ha ad oggetto quindi l'istruttoria, cioè l'acquisizione di elementi che serviranno poi per decidere sulla ragione o sul torto. Il procedimento cui dà origine la richiesta di descrizione si diversifica da tutti gli altri procedimenti cautelari che hanno ad oggetto anticipazioni di tutela della posizione giuridica sostanziale. Viene infatti in rilievo, nel caso della descrizione, il diritto processuale alla prova e non già, quantomeno in via immediata, il diritto sostanziale in relazione al quale il diritto processuale svolge funzione servente. [ Continua ]
25 Aprile 2025

Responsabilità extracontrattuale per “bullismo mediatico” e risarcimento del danno

Non è configurabile un comportamento integrante un illecito di concorrenza sleale per atti di "bullismo mediatico" qualora non sia provata da chi si assume danneggiato la qualifica di imprenditore del danneggiante, necessaria ai fini di un’ipotesi di cui all’art. 2598, n. 2, c.c.. Presupposto della configurabilità di un atto di concorrenza sleale è infatti la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, con la conseguenza che essa ricorre solo se entrambi i soggetti, attivo e passivo, dell’illecito rivestono la qualità di imprenditori secondo la nozione delineata dall’art. 2082 c.c. Ai fini di tale prova, è irrilevante il fatto che il danneggiante avesse pacificamente provveduto alla commercializzazione di alcune magliette e adesivi contenenti messaggi volti a ridicolizzare l'altra parte, essendo tale circostanza, in sé considerata, insufficiente. Quanto all'elemento soggettivo, ai fini della configurazione di un illecito diffamatorio, integrante responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., non è necessaria la prova della sussistenza di un animus inuriandi vel diffamandi, essendo sufficiente la volontà di comunicare a più persone il fatto lesivo dell’altrui reputazione, nella volontà cosciente e libera di usare espressioni offensive. In tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all'onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è "in re ipsa", identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima. [ Continua ]

Concorrenza sleale per imitazione servile di prodotto altrui

Ai sensi dell’art. 2598, 1° comma n.1) c.c., la concorrenza sleale per c.d. imitazione servile viene individuata nella condotta di chi imita servilmente i prodotti di un concorrente, tale da creare confusione nei destinatari circa la loro effettiva provenienza. L’imitazione rilevante ai sensi dell’art. 2598, n.1., c.c. deve avere ad oggetto le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto a una determinata impresa, sempre che la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto. Il divieto dell’imitazione servile tutela soltanto l’interesse che l’imitatore non crei confusione con i prodotti del concorrente, realizzando le condizioni perché il potenziale acquirente possa equivocare sulla fonte di produzione. Tale interesse, quando non sia in discussione la libera produzione di oggetti (sia perché frutto di idee non brevettate, non brevettabili o cadute in dominio pubblico per scadenza del brevetto, sia perché non è invocata la tutela della privativa), può ritenersi soddisfatto dalla presentazione del prodotto con contenitori differenti, recanti il marchio del produttore o comunque una denominazione diversa, ovvero dalla presentazione del prodotto con la precisa indicazione che lo stesso è fabbricato da un diverso imprenditore. Ai fini della confondibilità, non può quindi attribuirsi alcun rilievo alle forme non visibili esteriormente, quali quella del contenuto di una scatola, che non costituiscono forma individualizzante. In linea generale, anche in assenza di rischi confusori ex art. 2598 n. 1 c.c. una imitazione non confusoria, ma pedissequa e integrale, dei prodotti altrui consente di appropriarsi parassitariamente e senza alcun costo degli investimenti che altri abbiano fatto per l’immissione sul mercato di beni dotati di originalità e di inflazionare il mercato di prodotti – a costi ridotti- che godono dell’accreditamento commerciale già raggiunto negli anni dai prodotti del soggetto imitato ed al contempo ne riducono l’appetibilità concorrenziale. Siffatta scelta imprenditoriale risulta in radicale contrasto con il canone generale di correttezza imposto dall’ art. 41 Cost. e sanzionato dall’ art. 2598 n. 3 c.c. ed altresì consenta di appropriarsi indebitamente dei pregi della produzione altrui e dei relativi vantaggi concorrenziali. [ Continua ]
26 Agosto 2024

Controversia in materia di esistenza di un diritto all’uso del marchio al di fuori di una licenza e di titolarità alla registrazione di un marchio corrispondente ad un segno di fatto

La titolarità di un marchio può essere validamente assunta anche da soggetti che non sono titolari di impresa e che non si propongano un’utilizzazione diretta del segno, ma che intendano appropriarsi della prerogativa di disporne, cedendolo o consentendone l’uso ad imprenditori interessati ad approfittare del valore suggestivo e pubblicitario da esso acquisito. [ Continua ]
10 Dicembre 2023

Nullità per violazione della normativa antitrust nelle fideiussione omnibus

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. A) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Tale nullità vizia soltanto le fideiussioni omnibus e non anche le ordinarie fideiussioni che vengono normalmente rilasciate negli atti notarili a garanzia dei mutui e dei finanziamenti ipotecari. Le clausole di reviviscenza, di rinuncia ai termini e di sopravvivenza sono dichiarate nulle, non perché siano contrarie ex se a norme imperative o principi di ordine pubblico, ma perché, essendo uniformemente utilizzate dalle banche, riproducono intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge 10 ottobre 1990, n. 267 (cfr. anche art. 101, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), come accertato con Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, emesso dalla Banca d’Italia. Il provvedimento della Banca di Italia concerne esclusivamente lo schema di fideiussione omnibus, come esplicitato nel provvedimento medesimo e le clausole sopra richiamate sono state ritenute illecite dalla Banca d’Italia, non per la loro formulazione, ma in relazione alla loro concreta utilizzazione nelle fideiussioni omnibus.   [ Continua ]
10 Dicembre 2023

Requisiti per la tutela autoriale del design industriale

Ai sensi della legge sul diritto d'autore, sono protette come opere dell’ingegno le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Il carattere creativo viene normalmente interpretato dalla giurisprudenza come un apporto personale, anche se molto modesto, dell’autore sull’opera, la quale in pratica non deve sostanziarsi in un’imitazione pedissequa dell’opera altrui. Quanto al valore artistico, si dovrà fare riferimento a parametri il più possibile oggettivi e alla percezione che dell’opera del design si è affermata negli ambienti culturali in senso lato, essendo i soli criteri di tipo soggettivo, volti a valorizzare la maggiore originalità delle forme rispetto a quelli riscontrabili nei prodotti similari presenti sul mercato o la capacità di suscitare emozioni, insoddisfacenti per il rischio di sfociare in un soggettivismo arbitrario ancorato al gusto personale, estetico, alla sensibilità artistica e alla cultura di chi effettua la valutazione. In particolare, costituiscono indizi dell’obiettiva artisticità dell’opera riconoscimenti collettivi tributati alla stessa da ambienti culturali non prossimi ai soggetti che producono o commercializzano il prodotto, che abbiano individuato in esso capacità rappresentative, comunicative ed evocative che vanno al di là della semplice gradevolezza delle sue linee. L’attestazione del riconoscimento espresso dalle istituzioni culturali è deducibile da mostre, esposizioni, recensioni di esperti. Inoltre, anche la circostanza che un’opera di design divenga oggetto di vendita nel mercato artistico e non in quello puramente commerciale e l’attribuzione di un prezzo elevato, superiore al mero valore commerciale, costituiscono ulteriori indici rilevanti. [ Continua ]