Opzione put in un contratto di acquisizione di partecipazioni: patto leonino e meritevolezza ex art. 1322 c.c.
Quella di cui all’art. 2265 c.c. è una norma transtipica, applicabile ad ogni tipo societario e, dunque, anche alle società di capitali, in quanto se la societas è l’unione di più patrimoni, al fine del raggiungimento dello scopo comune di suddividere i risultati dell’impresa economica, si pone in contrasto con questa causa tipica la totale esclusione di uno o più soci, quali soggetti titolari di una quota di capitale sociale, da quei risultati. Nell’ambito delle società di capitali – dove non può propriamente parlarsi di utili e perdite nel senso originariamente inteso dalla disposizione codicistica con riferimento alla società semplice – la disposizione di cui all’art. 2265 c.c. deve intendersi riferibile esclusivamente ad un patto che intercorra non tra due soci, ma tra il socio (o più d’uno) e la società stessa. Ciò poiché la ratio del divieto di patto leonino – o, meglio, il principio generale sotteso all’art. 2265 c.c., che ne consente l’applicabilità trasversale ad ogni tipo societario – consiste nella volontà del legislatore di sanzionare gli accordi che intacchino la purezza della causa societatis come individuata dall’art. 2247 c.c.
La causa societatis ha ad oggetto unicamente il rapporto del singolo socio con la società medesima e, quindi, il suo status all’interno della stessa; sicché, perché essa venga alterata, è necessario un patto che comporti, per previsione statutaria, l’esclusione completa del socio dagli utili, dalle perdite, o da entrambi. Esclusione che si concreterebbe in una vera e propria modificazione dello status di socio quale parte del contratto societario. Pertanto, l’indagine volta a saggiare l’eventuale nullità di un patto ai sensi dell’art. 2265 c.c. non è diretta semplicemente a verificare se siano integrati i due lemmi dal contenuto alquanto generico previsti dalla norma medesima, ma in definitiva a valutare se la causa societatis del rapporto partecipativo del socio in questione permanga invariata nei confronti dell’ente collettivo o se, invece, venga irrimediabilmente deviata dalla clausola che lo esonera, atteso il suo contenuto, dalla sopportazione di qualsiasi perdita risultante dal bilancio sociale o dalla divisione degli utili maturati e deliberati in distribuzione ex art. 2433 c.c., o da entrambi, perché solo in tal caso potrà dirsi che l’art. 2265 c.c. sia stato violato.
L’alterazione della causa societatis non può verificarsi qualora tra due soci intervenga un patto con cui l’uno, in ultima istanza, si impegni a manlevare l’altro dai rischi inerenti all’acquisto di una partecipazione nella società, poiché tale accordo non modifica le caratteristiche essenziali del rapporto tra il socio e la società medesima, ossia la partecipazione del primo, latu sensu, agli utili ed alle perdite della stessa. Un patto siffatto si pone, dunque, totalmente al di fuori del perimetro applicativo dell’art. 2265 c.c.
Più che ad un’analisi volta ad accertarne la nullità ex art. 2265 c.c., i patti inerenti alla gestione della società conclusi tra i soci devono, piuttosto, essere sottoposti alla valutazione di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. A tal fine, è necessario ricostruire la causa concreta del programma contrattuale, per valutare se essa esista, sia lecita e meritevole di tutela.
L’accordo interno tra due soci, con il quale uno si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative attraverso l’attribuzione di un diritto di put out entro un termine dato, deve ritenersi caratterizzato da una causa meritevole di tutela. Ciò in quanto la causa dell’operazione di acquisto delle azioni con opzione put, palesatasi nel mondo degli affari, è proprio quella di finanziamento dell’impresa, anche indirettamente, mediante il finanziamento ad altro socio, nell’ambito di operazioni di alleanza strategica tra vecchi e nuovi soci. Nel momento della costituzione della società, o quando si intenda operarne il rilancio mediante una particolare operazione economica, il contributo di ulteriori capitali, rispetto a quelli disponibili per i soci che il progetto abbiano concepito, può divenire essenziale, anche quale condicio sine qua non del progetto imprenditoriale programmato. Nel caso di cessione di un pacchetto azionario, la meritevolezza di un meccanismo siffatto potrebbe, in linea di principio, essere ravvisata nella finalità di agevolare il trasferimento di azioni, per loro natura votate alla circolazione e dallo scambio, e l’ingresso di nuovi soci, i quali saranno vieppiù motivati all’investimento per il fatto di essere “garantiti” da eventuali perdite conseguenti alla pregressa gestione societaria.
L’opzione put a prezzo preconcordato può superare positivamente il vaglio ex art. 1322 c.c. laddove l’esclusione dalle perdite non sia strutturalmente assoluta e costante, né ne integri la funzione essenziale, o causa concreta, con riguardo al complessivo regolamento negoziale.
Compravendita di partecipazioni sociali: prova della conclusione del contratto e del valido esercizio del diritto di opzione
Viola il divieto di patto leonino un accordo di investimento che consenta al socio di sottrarsi ad ogni forma di perdita
Un accordo di investimento e patto parasociale che preveda l’inserimento di una c.d. opzione put a prezzo convenzionalmente stabilito può considerarsi concluso in violazione del divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c. solo se dall’esame dell’intero e complessivo sistema di clausole dell’accordo in cui l’opzione è inserita emerge la realizzazione di una forma di finanziamento elusivo della causa societatis, idoneo ad escludere il socio in modo assoluto e costante da ogni forma di perdita del capitale sociale. In tal senso non è meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. per difetto o illiceità della causa concreta un accordo di investimento e patto parasociale con cui viene attribuito ad un socio un diritto di opzione put a prezzo convenzionalmente stabilito, esercitabile anche nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, in quanto il caso contrario gli consentirebbe di sottrarsi illegittimamente e in modo assoluto e costante da ogni forma di perdita, potendo egli sempre ottenere senza la sopportazione di alcun rischio il rimborso del proprio credito mediante la mera retrocessione della partecipazione sociale al prezzo prestabilito (nel caso di specie ciò era possibile anche nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale).
Opzione put e divieto di patto leonino. Validità dell’opzione anche in caso di perdita totale di valore della quota
L’opzione put realizza una ipotesi di patto leonino soltanto qualora l’’esclusione di un socio dalle perdite o dagli utili sia assoluta e costante e non risponda a interessi meritevoli di tutela. Non viola dunque il divieto di patto leonino una opzione put che preveda l’esclusione dalle perdite non assoluta (riguardando soltanto una parte della quota di capitale sociale acquistata) e che non sia costante (dovendosi esercitare l’opzione all’interno di un limitato arco temporale) (vedi Cass., n. 2927/1994, n. 642/2000; Trib. Milano, n. 9301/2015 del 6 agosto 2015).
Non sussiste la nullità per difetto sopravvenuto della causa in concreto di un’’opzione put per effetto della totale perdita di valore della quota, in quanto neppure il fallimento di una società determina lo scioglimento per impossibilità sopravvenuta del contratto di compravendita delle azioni o quote della stessa società, essendo la dichiarazione di fallimento causa di scioglimento, ma non di immediata estinzione, della società, sicché la perdurante esistenza in vita dell’ente e della sua organizzazione sociale conferisce, di per sé, natura di beni commerciabili alle relative quote di partecipazione, con conseguente liceità dei negozi che abbiano ad oggetto il loro trasferimento (vedi Cass., n. 12831/2013, n. 11361/1999, n. 4584/1999; n. 7693/1998).
L’opzione di vendita non viola il divieto di patto leonino: manca l’esenzione assoluta e totale dalle perdite
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto infondata la domanda di nullità di un accordo avente ad oggetto una opzione di vendita per il presunto aggiramento del divieto di patto leonino, poiché nel caso concreto [ LEGGI TUTTO ]
Nullità dell’opzione put per violazione del divieto di patto leonino: presupposto necessario è il carattere assoluto e costante dell’esclusione dalle perdite e dagli utili
Per la configurabilità del patto leonino, è necessario che l’ingresso nel capitale sociale si accompagni a opzioni put a prezzo predeterminato in favore dell’investitore, così “garantito” rispetto a qualsiasi andamento dell’ente e, dunque, esonerato dal sopportarne le perdite [ LEGGI TUTTO ]
Inadempimento di opzione put e risarcimento del danno
Si ha nullità di un’opzione put per violazione del patto leonino solamente in caso di esclusione assoluta, costante e immeritevole del titolare dell’opzione dalla partecipazione alla perdite (nella specie è stata rigetta l’eccezione di nullità [ LEGGI TUTTO ]
Responsabilità precontrattuale nei rapporti parasocietari, efficacia dei patti parasociali (opzioni, sindacati di voto e di gestione) e possibili interferenze con le regole sull’organizzazione sociale
Qualora tra due società venga stipulato un accordo volto (i) alla cessione dell’intero pacchetto azionario di una terza società controllata da una delle due parti e (ii) a regolare alcuni profili di governance (es. nomina e compensi [ LEGGI TUTTO ]
Interpretazione del contratto e volontà delle parti
Nel susseguirsi di contratti e rapporti di carattere obbligatorio e preliminare, i contratti definitivi poi conclusi tra le medesime parti vanno interpretati valutando la volontà delle parti di abrogare implicitamente tutte o anche alcune solo delle clausole del contratto precedente, secondo i canoni [ LEGGI TUTTO ]
Lodo irrituale e risarcimento del danno da inadempimento del patto di opzione ‘put’ su partecipazioni societarie
Il lodo irrituale non è impugnabile per “errores in iudicando”, come è invece è consentito dall’ultimo comma dell’art. 829 cod. proc. civ. per l’arbitrato rituale, neppure ove consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti che ha dato origine al loro mandato; e non è più in generale annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale, ne’ a maggior ragione per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e comunque non conforme alle aspettative della parte impugnante. [ LEGGI TUTTO ]