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Art. 1322 c.c.
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14 Marzo 2022

Strumenti cautelari per la restituzione di quote e validità delle clausole esonerative di responsabilità nell’atto di cessione

Nel contesto del ricorso volto ad ottenere la restituzione di quote di s.r.l., la tutela anticipatoria ex art. 700 c.p.c. ed il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. tendono a garantire differenti situazioni. Con lo strumento del provvedimento d’urgenza si rivendica il diritto ad ottenere la restituzione immediata delle quote così assicurando la pronta disponibilità della partecipazione societaria e di conseguenza il pieno esercizio dei diritti connessi (patrimoniali ed economici), mentre il sequestro giudiziario svolge altra funzione cautelare, limitata alla mera conservazione statica del bene, con esercizio dei diritti connessi alla partecipazione da parte di un custode giudiziario.

I patti parasociali vincolano le parti dell’accordo ma tale vincolo non dovrebbe essere idoneo sotto il profilo della meritevolezza della tutela ad incidere negativamente sull’interesse sociale. Ogniqualvolta la convenzione parasociale favorisce la tutela di un interesse a detrimento dell’interesse sociale ne mina la stessa validità, soprattutto quando determina la violazione di norme imperative o l’elusione dello statuto generale di disciplina della società di capitali interessata. L’interprete è quindi chiamato a valutare se la convenzione parasociale è legittima e quindi meritevole di protezione giuridica, semprechè il contenuto specifico o la funzione individuale del concreto accordo non conduca ad un giudizio di invalidità.

La mancanza di conformità tra gli obblighi assunti tra i paciscenti della convenzione parasociale che esclude il potere di deliberare l’azione di responsabilità e l’interesse sociale a vedersi riconosciuto il diritto di credito azionato ex art. 2392 c.c. esprime un disvalore tale da escludere la meritevolezza dell’accordo ex art. 1322 c.c. La decisione del socio nel rispetto del vincolo assunto con il patto parasociale di non votare in sede assembleare o di rinunciare all’azione di responsabilità si pone in contrasto con il principio di inderogabilità ed esclusività della competenza assembleare in merito alla rinuncia o alla transazione della predetta azione.

19 Novembre 2021

Sulla (non) abusività della delibera di scioglimento della società

La facoltà di deliberare lo scioglimento anticipato della società previsto dall’art. 2484, primo comma, n. 6), c.c. è espressione delle prerogative della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e di autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), tanto che la decisione non deve essere motivata ed è sindacabile nel merito da parte dell’autorità giudiziaria solo quando si alleghi l’esistenza di una situazione di abuso del diritto.

Pertanto, la tutela giuridica della chance attribuita al socio di conseguire in futuro un diritto amministrativo non può raggiungere un’ampiezza tale da precludere il diritto della maggioranza di deliberare lo scioglimento anticipato della società.

La chance prevista dallo statuto esiste fintanto che esiste la società; non è illegittima una decisione della maggioranza di sciogliere la holding perché sostenuta da una diversa valutazione circa l’assetto e l’organizzazione della gestione della controllata, rientrando tale valutazione e scelta nell’ambito del diritto della maggioranza. [In presenza di una clausola contenuta nello statuto della holding che prevede, come nel caso di specie, (i) l’attribuzione, ad uno dei due soci, del diritto di voto per una percentuale maggiore rispetto al capitale sociale dal medesimo detenuto all’interno della società e (ii) che, al venire meno della qualità di socio del titolare di detto diritto particolare, questo si trasferisce automaticamente in capo all’altro, il Tribunale di Milano ha escluso che la delibera assembleare di scioglimento della società controllante assuma natura abusiva per il fatto di privare l’altro socio dell’aspettativa di conseguire in futuro il diritto particolare attribuito dallo statuto].

12 Ottobre 2021

Accordi di coesistenza, successione nella titolarità dei diritti e rinuncia tacita

L’art. 2558 c.c., nel disciplinare tutti i casi di trasferimento di azienda, prevede, salvo patto contrario, una cessione automatica o “ipso iure” dei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive, che non abbiano carattere personale, che ineriscano all’esercizio dell’azienda e non siano ancora esauriti, ivi inclusi dunque eventuali accordi di coesistenza tra marchi.

La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare. La valutazione in concreto di tali comportamenti forma oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per contraddittorietà intrinseca della motivazione o per sua carenza o illogicità. [Secondo il Tribunale, la mancata impugnazione della decisione adottata dall’EUIPO che ha dichiarato la nullità di un marchio registrato dalla società attrice, in accoglimento del ricorso promosso dalla convenuta, non integra gli estremi di una rinuncia ai diritti nascenti dall’accordo di coesistenza stipulato tra le parti.]

Collocamento di azioni nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. in tema di assistenza finanziaria

L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società.

Deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere in essa anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Ne consegue che, ove un collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità.

L’interesse preminente tutelato dal legislatore con l’art. 2358 c.c. è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni.

Quanto alle banche costituite in forma cooperativa si rileva che la disciplina che limita le operazioni che possono mettere a rischio il capitale non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa ex art. 2358 c.c., posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.

L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 – che prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40 % delle riserve legali – e il disposto dell’art. 150 bis t.u.b. – che indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari e non novera tra queste quella di cui all’art. 2358 c.c. – autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.

29 Aprile 2021

Istanza cautelare di sospensiva di delibera di società di persone e modifica del criterio di distribuzione degli utili

Deve ritenersi ammissibile in corso di causa – secondo le regole generali – l’istanza anticipatoria di sospensione degli effetti della delibera impugnata, ponendo l’art. 2378 c.c. un vincolo solo quanto alla preventiva instaurazione del giudizio di merito. L’istanza cautelare deve ritenersi ammissibile anche in relazione all’impugnativa delle delibere di società di persone.

Nelle società semplici il contratto può essere modificato esclusivamente con il consenso di tutti i soci se non è convenuto diversamente ex art. 2252 c.c. Se tale deroga è prevista dallo stesso atto costitutivo, deve ritenersi legittima la delibera dei soci che deroghi al criterio ordinario di ripartizione degli utili ex art. 2263 c.c., introducendo un diverso criterio, purché rispettoso del principio dell’art. 2265 c.c.

Viola il divieto di patto leonino un accordo di investimento che consenta al socio di sottrarsi ad ogni forma di perdita

Un accordo di investimento e patto parasociale che preveda l’inserimento di una c.d. opzione put a prezzo convenzionalmente stabilito può considerarsi concluso in violazione del divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c. solo se dall’esame dell’intero e complessivo sistema di clausole dell’accordo in cui l’opzione è inserita emerge la realizzazione di una forma di finanziamento elusivo della causa societatis, idoneo ad escludere il socio in modo assoluto e costante da ogni forma di perdita del capitale sociale.  In tal senso non è meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. per difetto o illiceità della causa concreta un accordo di investimento e patto parasociale con cui viene attribuito ad un socio un diritto di opzione put a prezzo convenzionalmente stabilito, esercitabile anche nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, in quanto il caso contrario gli consentirebbe di sottrarsi illegittimamente e in modo assoluto e costante da ogni forma di perdita, potendo egli sempre ottenere senza la sopportazione di alcun rischio il rimborso del proprio credito mediante la mera retrocessione della partecipazione sociale al prezzo prestabilito (nel caso di specie ciò era possibile anche nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale).

24 Febbraio 2020

La lettera d’intenti avente ad oggetto la cessione di partecipazioni societarie, che non definisca tutti gli elementi del futuro accordo, non è un contratto preliminare e non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica

La lettera di intenti che si risolva in mere dichiarazioni con funzione di scandire le varie fasi di una trattativa e di predisporre le clausole da recepire in un futuro contratto nell’eventualità della positiva conclusione della trattativa stessa, non può essere considerata quale contratto preliminare, ma, tutt’al più, come mera “puntuazione” o “minuta”.

Per “contratto preliminare” deve intendersi quel contratto con il quale le parti si obbligano a concludere, in futuro, un ulteriore contratto, già delineato nei suoi elementi essenziali. L’effetto principale del contratto preliminare è quello di obbligare le parti alla stipulazione del contratto definitivo.

Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento (cosiddetta ‘minuta’ o ‘puntuazione’), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori; peraltro, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Laddove le parti, in un accordo, manifestino l’intenzione di differire la conclusione del contratto ad una manifestazione successiva di volontà, deve ritenersi che esse non intendano porre in essere il rapporto contrattuale sin dal momento dell’accordo.

La responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall’art. 1337 cod. civ. -a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede-, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest’ultimo devono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione.

 

22 Luglio 2019

Il divieto di patto leonino si applica anche ai patti parasociali se finalizzati a realizzare l’effetto vietato dalla legge

Il divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c. si applica a tutti i tipi di società ed anche in relazione a quei patti parasociali che comportino l’esclusione totale e costante di uno o più soci dal rischio d’impresa o dalla partecipazione agli utili. A ben vedere, infatti, nel contemplare la nullità del patto leonino, la disposizione di legge non distingue fra patto inserito nel contratto di società e patto autonomo. Inoltre, sebbene il patto parasociale assuma valenza meramente obbligatoria fra coloro che l’hanno sottoscritto (senza vincolare la società), nondimeno, lo stesso si presenta collegato al contratto di società poiché tendente a realizzare un risultato economico unitario, il che vale a ricondurre il patto formalmente estraneo al contratto di società all’interno dell’operazione societaria ed a sottoporlo alla relativa disciplina. Di conseguenza, il patto parasociale utilizzato dalle parti come strumento elusivo del divieto previsto all’art. 2265 c.c. è nullo allorquando sia finalizzato alla realizzazione dell’effetto vietato dalla legge e non tuteli un interesse meritevole ai sensi dell’art. 1322 c.c.

29 Marzo 2019

Doveri informativi delle parti nell’ambito di contratti di cessione di azienda con clausola di riservato dominio

Nell’ambito della autonomia contrattuale delle parti, è pacifica la facoltà delle stesse di modificare, il contenuto dei propri accordi, per i quali non sia prescritta la forma scritta ad substantiam.

L’omissione di informazioni relative all’inadempimento rispetto al pagamento di alcune rate del prezzo di cessione di una res, [ LEGGI TUTTO ]

24 Luglio 2018

Accordo tra soci, accollo di debiti sociali e parallela ripartizione dei crediti

L’accordo tra i soci che prevede l’accollo dei debiti sociali da parte di un socio non può prevedere l’attribuzione privata di utilità riservate in primo luogo alla soddisfazione dei creditori, in palese contrasto con le disposizioni inderogabili di legge in materia.