hai cercato articoli in
Art. 131 c.p.i.
54 risultati

Requisiti per la tutela autoriale del design industriale

Ai sensi della legge sul diritto d’autore, sono protette come opere dell’ingegno le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico.

Il carattere creativo viene normalmente interpretato dalla giurisprudenza come un apporto personale, anche se molto modesto, dell’autore sull’opera, la quale in pratica non deve sostanziarsi in un’imitazione pedissequa dell’opera altrui.

Quanto al valore artistico, si dovrà fare riferimento a parametri il più possibile oggettivi e alla percezione che dell’opera del design si è affermata negli ambienti culturali in senso lato, essendo i soli criteri di tipo soggettivo, volti a valorizzare la maggiore originalità delle forme rispetto a quelli riscontrabili nei prodotti similari presenti sul mercato o la capacità di suscitare emozioni, insoddisfacenti per il rischio di sfociare in un soggettivismo arbitrario ancorato al gusto personale, estetico, alla sensibilità artistica e alla cultura di chi effettua la valutazione.

In particolare, costituiscono indizi dell’obiettiva artisticità dell’opera riconoscimenti collettivi tributati alla stessa da ambienti culturali non prossimi ai soggetti che producono o commercializzano il prodotto, che abbiano individuato in esso capacità rappresentative, comunicative ed evocative che vanno al di là della semplice gradevolezza delle sue linee.

L’attestazione del riconoscimento espresso dalle istituzioni culturali è deducibile da mostre, esposizioni, recensioni di esperti.

Inoltre, anche la circostanza che un’opera di design divenga oggetto di vendita nel mercato artistico e non in quello puramente commerciale e l’attribuzione di un prezzo elevato, superiore al mero valore commerciale, costituiscono ulteriori indici rilevanti.

20 Aprile 2023

Tutela cautelare e rischio di confusione tra marchi figurativi e tridimensionali

Ai fini della valutazione del rischio di confusione, la comparazione dei marchi deve essere effettuata tenendo conto dell’impressione complessiva prodotta in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti presenti nei segni in comparazione. Tale valutazione va condotta in riferimento alla normale diligenza ed avvedutezza del tipo di clientela cui il prodotto è in concreto destinato. Il livello di attenzione muta in funzione della categoria di beni o servizi sui quali il marchio è apposto, innalzandosi per i prodotti duraturi o per i prodotti di lusso, mentre il consumatore porrà una minore attenzione per i beni di consumo. Peraltro, il consumatore ha una visione d’insieme del marchio e solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi; di regola, il confronto viene eseguito a distanza di tempo e spazio e viene effettuato tra il segno che il consumatore guarda ed il ricordo mnemonico dell’altro, con una immagine dunque “imperfetta” del segno. La valutazione va dunque condotta in riferimento all’impressione di insieme che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e sincronico. Inoltre, nel giudizio di comparazione occorre tenere conto in concreto di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie; rileva, in particolare, la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei segni designati. In aggiunta, quanto più è affollato il settore merceologico di riferimento, tanto più potrà essere ritenuta rilevante anche la variazione di un elemento di carattere puramente secondario, sicché va accordata tutela in funzione di una novità e individualità da riconoscersi ai marchi che presentano differenziazioni anche lievi rispetto alle anteriorità.

Sottrazione di informazioni asseritamente segrete per la produzione di una maschera da scherma tutelata come marchio di forma registrato

La parte che intenda tutelare una privativa non titolata in giudizio deve dare contezza e prova di tutti i suoi presupposti, così come previsti dall’art. 98 D.Lgs. n. 30/2005, ovvero che dette informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme e nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; che abbiano valore economico in quanto segrete; siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete, dovendosi intendere per misure ragionevolmente adeguate quelle che impediscano che coloro che detengono le informazioni le portino a conoscenza di terzi o che impediscano ai terzi di accedervi direttamente.

I Tribunali di uno Stato membro, compresi i Tribunali dei marchi UE, possono essere aditi per chiedere, relativamente a un marchio UE o a una domanda di marchio UE anche in difetto di registrazione, le misure cautelari previste dalla legislazione di detto Stato per un marchio nazionale, cosicché la tutela cautelare può essere riconosciuta anche sulla scorta della mera domanda di registrazione, purché ne ricorrano i presupposti secondo disciplina comunitaria, tenuto conto che il difetto di registrazione, esclude soltanto che l’affermata privativa possa considerarsi sorretta da presunzione di validità, secondo il dettato dell’art. 127 comma 1 del citato Reg. UE n. 1001/2017.

Nella valutazione del carattere distintivo che la forma del prodotto deve avere o acquisire al fine di valere in sé come marchio, è bene chiarire la necessità di non incorrere in un equivoco, posto che il carattere distintivo della forma non deve differenziare il prodotto dagli altri, in una sorta di considerazione del carattere individuale proprio dei modelli, ma deve differenziarsi dal prodotto in modo idoneo a mandare un messaggio ulteriore rispetto alle qualità del prodotto medesimo, cosicché l’eventuale successo riscontrato sul mercato dal prodotto, idoneo di per sé ad attribuire alle sue fattezze valore individuale, può essere eventualmente valutato come causa efficiente dell’assunzione del carattere distintivo della forma medesima, forma cioè atta ad assumere il significato di marchio.

14 Febbraio 2023

Insegna patronimica: il giudice può disporre l’eliminazione del cognome dall’insegna successiva

L’insegna è segno distintivo del luogo in cui l’imprenditore svolge la sua attività ed acquisisce particolare importanza nelle imprese in cui lo stabilimento costituisce il punto di incontro tra imprenditore e clientela, assumendo, quindi, rilevanza eminentemente locale, come rilevanza eminentemente locale assume il conflitto tra insegne, in quanto idoneo a creare confusione in ambito locale, ovvero ove si produce l’incontro tra imprenditore e cliente che possa essere sviato.

In tema di conflitto tra insegne confondibili, non può avere rilevanza la questione della legittima coesistenza tra segno preusato in ambito meramente locale e segno registrato in ambito nazionale o la cui notorietà qualificata sia stata acquisita nel medesimo ampio contesto territoriale in ragione dell’uso continuativo e significativo di esso, questione rilevante, invece, nel caso di conflitto tra marchi.

L’insegna deve reputarsi privativa industriale non titolata, secondo il disposto dell’art. 1 D.Lgs. n. 30/2005, con il conseguente compendio di tutele, anche cautelari, approntate dal diritto industriale, oltre che dagli artt. 2564 comma 1 cc e 2568 cc. Consegue che il periculum in mora deve essere valutato secondo la disciplina dell’art. 131 D.Lgs. n. 30/2005, essendo rivolta la richiesta a far cessare la condotta illecita confusoria, pur secondo le modalità specificamente previste dall’art. 2564 comma 1 cc, ovvero mediante imposizione di integrazione o modificazione dell’insegna interferente, od anche con la totale eliminazione del cognome confondibile.

In caso di conflitto tra insegne patronimiche, ove il cognome costituisca cuore del segno, il Giudice può anche disporre la totale eliminazione del cognome confondibile dall’insegna usata per seconda.

23 Settembre 2022

Il mero segno grafico non è sufficiente a distinguere due marchi operanti nel settore moda

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità; tali giudizi non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cd. “confondibilità tra imprese”. [Nel caso concreto il giudice ritiene che l’apposizione di un mero punto tra le due parole che compongono il marchio del convenuto non appare idonea a distinguerla dal marchio dell’attore, tanto più ove si consideri che entrambi vengono utilizzati per la pubblicizzazione e commercializzazione di abbigliamento]

23 Settembre 2022

Fast fashion brand e rischio di confusione tra segni

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità; tali giudizi non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cd. “confondibilità tra imprese”. [Nel caso concreto il giudice ritiene che l’apposizione di un mero punto tra le due parole che compongono il marchio del convenuto non appare idonea a distinguerla dal marchio dell’attore, tanto più ove si consideri che entrambi vengono utilizzati per la pubblicizzazione e commercializzazione di abbigliamento]

19 Settembre 2022

Gli effetti nei confronti dei terzi del riconoscimento del diritto di uso esclusivo del marchio registrato

Ai sensi dell’art. 20, co. 1 e 2 c.p.i., la registrazione del marchio attribuisce al suo titolare il diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, vietando che un soggetto terzo nell’esercizio della propria attività economica utilizzi un segno distintivo identico o simile, alle condizioni descritte dalla suddetta norma, salvo che sussista un diverso accordo tra il soggetto titolare del marchio e i terzi che ne facciano utilizzo. La ratio della disposizione risiede nella volontà di tutelare il titolare del diritto esclusivo sul marchio avverso qualsivoglia abuso del segno distintivo, prescindendo dall’individuazione del soggetto che sia titolare del segno in asserita contraffazione (nel caso di specie il convenuto aveva svolto attività di mera rivendita di prodotti riportanti un marchio altrui, senza essere a conoscenza dell’illiceità del segno distintivo).

Nel caso di violazione di un diritto di proprietà industriale, la tutela inibitoria di cui agli artt. 124 e 131 c.p.i. può essere concessa, su richiesta dell’interessato, anche quando la contraffazione sia cessata, a prescindere dall’esistenza di un danno attuale o potenziale per il titolare del diritto, trattandosi non di una misura sanzionatoria, ma di mero accertamento, volta a tutelare lo stesso interesse della norma sostanziale violata, di cui costituisce una ripetizione nel caso concreto e a prevenire violazioni della stessa natura di quelle già commesse, con esclusione del solo caso in cui il comportamento illecito sia da tempo esaurito e non più ripetuto.

20 Maggio 2022

La potenziale concorrenzialità tra imprenditori operanti nel settore automobilistico è idonea ad integrare l’illecito della concorrenza sleale

In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale.