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Art. 121 c.p.i.
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10 Novembre 2023

L’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata anche dalla società

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata, oltre che dai soci, dalla società, anche nel caso di s.r.l., sebbene la legge non lo preveda espressamente (a differenza di quanto accade, invece, per le s.p.a.). Infatti, se così non fosse, si precluderebbe al tipo sociale s.r.l. la tutela giudiziaria di propri diritti (l’art. 2476, co. 1, c.c. afferma pur sempre che gli amministratori sono solidalmente responsabili “verso la società”). D’altra parte, quando si tratti di società unipersonale, anche la giurisprudenza minoritaria che nega la legittimazione della società in quanto tale riconosce il diritto di azione in capo alla società; in tal caso, infatti, vi è identità di interessi fra il socio (unico) e la società.

Degli illeciti anticoncorrenziali compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle funzioni gestorie risponde solo la relativa società, a meno che l’amministratore abbia agito assolutamente al di fuori della sfera di controllo degli organi sociali.

Peugeot vs Piaggio: contraffazione del brevetto di un motociclo a tre ruote e divieto di produzione documentale in appello

In grado di appello, l’esame delle anteriorità di un brevetto va ristretto a quelle prese in considerazione dal ctu nel corso della consulenza tecnica in primo grado, dovendosi escludere quelle offerte dopo la chiusura delle operazioni peritali o nel corso del giudizio di appello stesso. La possibilità di produrre nuova documentazione durante la consulenza tecnica di ufficio (art. 121, comma 5, cpi) trova, infatti, un limite nell’esito dell’indagine peritale, nonché, chiaramente, nel divieto di produzione di nuovi documenti nella fase di appello, ai sensi dell’art. 345 cpc.

1 Febbraio 2022

Validità del brevetto e sussistenza dei requisiti del cd. “contributory infringement”

L’illecito consistente nel cd. “contributory infringement” o contraffazione indiretta, introdotto dalla l. n. 214 del 2016, al comma 2 bis dell’art. 66 del d.lgs n. 30 del 2005, consta di due elementi, che devono essere accertati in concreto dal giudice: a) l’elemento oggettivo consistente nella fornitura, o offerta di fornitura, a soggetti diversi
dagli aventi diritto all’utilizzazione dell’invenzione e necessari per la sua attuazione e la successiva contraffazione diretta da parte dei terzi; b) l’elemento soggettivo consistente nella consapevolezza – da accertare sulla base di dati fattuali tali da evidenziare la conoscenza, da parte del fornitore, circa l’obiettiva ed univoca destinazione concreta dei mezzi forniti all’attuazione del brevetto – non solo dell’idoneità, ma anche della destinazione concreta di detti mezzi ad attuare l’invenzione, ovvero la possibilità di acquisirla con l’ordinaria diligenza.

Azione di decadenza per non uso promossa dall’azienda produttrice dei nuovi motoveicoli Lambretta

Colui che agisce per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato deve provare il non uso del marchio nell’intero territorio nazionale; tale onere probatorio può essere assolto anche in via indiretta e presuntiva purché con circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso e dev’essere inteso nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione. Ne discende che la mancata prova dell’utilizzazione (o la prova di un uso limitato) da parte del titolare della privativa non è, ex se, una prova negativa indiretta del non uso, tanto più che nell’uso effettivo del marchio viene ricompreso anche quello svolto in funzione pubblicitaria di veicolazione del segno. La dottrina e la giurisprudenza hanno provveduto ad individuare elementi e parametri da cui è possibile far derivare le presunzioni di non uso del marchio, quali l’assenza dei prodotti marchiati dai listini pubblicati dalle associazioni di categoria, l’assenza dei prodotti marchiati dai cataloghi dell’impresa titolare della
privativa, e simili.

1 Giugno 2021

Declaratoria di decadenza per non uso di un marchio relativo a prodotti di abbigliamento per il mondo del surf

L’interesse ad agire per la dichiarazione di decadenza o di nullità di un marchio è riconoscibile a favore di tutti gli operatori del settore cui si riferisce la privativa e, in particolare, a qualsiasi imprenditore concorrente, anche in via potenziale e futura, del titolare, sulla sola base dell’affermazione che egli trova nella presenza della stessa un ostacolo all’esercizio della propria attività. Inoltre, la mera rinnovazione del deposito del marchio alla sua scadenza, ove non sia ad essa associato anche un uso effettivo di esso o una ripresa dello stesso, non impedisce la declaratoria di decadenza per non uso.

Contraffazione relativa ai marchi di fatto: onere della prova

Ai sensi dell’art. 121 c.p.i. l’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare, con la precisazione che in caso di contraffazione di diritti non titolati l’attore dovrà dimostrarne i fatti costitutivi, e cioè l’esistenza e la validità
(presunte per i diritti titolati attraverso la registrazione) della privativa, dunque del marchio di fatto, attraverso la dimostrazione: dell’uso attuale; della notorietà conseguente, identificativa dei prodotti per cui si chiede tutela e correlata con la priorità dell’uso implicante la novità richiesta dall’art.12 c.p.i. necessaria anche per i marchi di fatto; della conseguente percepibilità del segno come riferibile ad una determinata realtà imprenditoriale da parte dei soggetti interessati; del compimento da parte del soggetto al quale si contesta la contraffazione di uno dei comportamenti enucleabili dall’art. 20 c.p.i.

La tutela della confezione delle Tic-Tac

La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto “petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata.

I termini «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire», utilizzati dall’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, indicano sia il luogo in cui il danno si è concretizzato sia il luogo del fatto generatore di tale danno, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta del ricorrente, dinanzi ai giudici di entrambi i luoghi in parola. Ancora, per meglio specificare i termini “concretizzazione del danno”, si ritiene che il luogo della concretizzazione del danno è quello in cui il fatto da cui può sorgere una responsabilità da illecito doloso o colposo ha causato un danno.

Quando la forma di un prodotto si limita ad incorporare la soluzione tecnica messa a punto dal fabbricante e brevettata su sua domanda, la tutela di tale forma come marchio dopo la scadenza del brevetto ridurrebbe considerevolmente e all’infinito la possibilità per le altre imprese di utilizzare detta soluzione tecnica dovendo pertanto ritenersi preclusa.

La forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto si configura solo se si tratta di un valore estetico autonomo, di per sé decisivo nell’esercitare un’autonoma forza attrattiva sul consumatore.

L’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

Il verificarsi di danni in capo al titolare del marchio contraffatto non è in re ipsa, ossia nella sussistenza dell’accertata condotta di contraffazione ex articolo 2598 c.c., talché il titolare che domanda il risarcimento dei danni è gravato dall’onere, ai sensi dell’articolo 121 – secondo comma c.p.i., di provarne l’an ed il quantum. In proposito, le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo.

23 Dicembre 2020

Uso effettivo del marchio internazionale idoneo ad evitarne la decadenza in Italia

Un marchio forma oggetto di un “uso effettivo” allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o mantenere per essi uno sbocco, e, pertanto, richiede la prova che esso è oggetto di uno sfruttamento commerciale reale, avuto riguardo alle caratteristiche del mercato, alla natura di tali prodotti o servizi tutelati, l’estensione territoriale e quantitativa dell’uso, nonché la sua frequenza e regolarità.
Qualsiasi forma di utilizzazione del marchio in funzione distintiva è astrattamente idonea ad evitare la decadenza per non uso, purché da essa possa discendere un effetto economico rilevante sotto il profilo concorrenziale, non essendo sufficiente un uso solo sporadico o simbolico teso soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio che, privando i concorrenti della possibilità di usare tale segno, rischierebbe di ostacolare la concorrenza, limitando la circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi.
E’ necessario, peraltro, ai fini del mantenimento dei diritti conferiti da un marchio per una determinata classe di prodotti o di servizi, che il marchio sia stato usato nel mercato dei prodotti o dei servizi di tale classe, in considerazione del numero dei marchi registrati e dei conflitti che possono tra essi insorgere.

7 Luglio 2020

L’onere probatorio della decadenza per non uso del marchio e il motivo legittimo derivante da contestazione in giudizio. Il caso del marchio Innocenti.

Ove trovi applicazione l’art. 121 c.p.i. nella sua formulazione antecedente alla riforma del 2019 l’onere di fornire la prova della mancanza di un uso idoneo ad impedire la decadenza del marchio incombente sull’attore deve essere inteso non già nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto col marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che ha normalmente il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dedotti dalla parte avversa.

Il motivo legittimo che può giustificare il non uso quinquennale del segno ai sensi dell’art. 24 c.p.i. consiste in un ostacolo che non deve necessariamente rendere l’uso del marchio impossibile, ma può risolversi in un elemento che ne renda irragionevole l’uso: occorre accertare caso per caso se un mutamento della strategia imprenditoriale volto al superamento dell’ostacolo in questione renda irragionevole l’uso del marchio. Tale irragionevolezza, ad esempio, può essere determinata dall’esistenza di una seria contestazione in giudizio sulla legittimità dell’uso del segno, in quanto trattasi di un rischio non ricompreso nel «normale» rischio d’impresa, sia per la vanificazione di ogni investimento o esborso nel frattempo in ipotesi effettuato per il caso di soccombenza, sia per la probabilità dell’esposizione alla contrapposte richieste di risarcimento del danno in caso di uso del marchio stesso” (cfr. in tal senso: Tribunale Bologna, 13/06/2011 in GADI 2012, 1, 284).