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Art. 2358 c.c.
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30 Novembre 2022

Prova della violazione del divieto di assistenza finanziaria, superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b.

In tema di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b. non costituisce motivo di nullità dell’intero contratto, bensì determina l’inapplicabilità della disciplina speciale di carattere sostanziale e processuale ivi stabilita. Ne consegue che la violazione di tale limite non inficia l’assetto negoziale complessivo, il quale viene preservato con la sola disattivazione dei privilegi che il puntuale rispetto di quel limite, funzionale ad un corretto ed equilibrato funzionamento del mercato del credito, avrebbe potuto comportare in favore del finanziatore

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicché la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.

16 Novembre 2022

I requisiti del collegamento negoziale ai fini della sussistenza di un’operazione di assistenza finanziaria e la sua applicabilità anche alle società cooperative e alle banche popolari

Affinché ricorra un collegamento negoziale tra due contratti è necessario un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, e un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti, pur manifestato in forma non espressa, di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Ai fini della sussistenza del collegamento negoziale nell’ambito delle c.d. operazioni di assistenza finanziaria, vietate ai sensi dell’art. 2358 c.c., il requisito oggettivo può essere integrato dal fatto che poco dopo l’erogazione di un finanziamento da parte di una banca, il soggetto che lo riceve acquisti azioni della banca finanziatrice per un importo pari a circa 20% degli importi finanziari erogati considerato altresì il tasso particolarmente agevolato al quale era stato ottenuto il finanziamento. È sufficiente a configurare il requisito soggettivo che l’accordo tra le parti prevedesse che il denaro erogato dalla banca fosse utilizzato, anche solo parzialmente, per acquistare azioni proprie.

La disciplina dell’art. 2358 cod. civ. è applicabile anche alle società cooperative, in quanto la disposizione supera il vaglio di compatibilità di cui all’art. 2519 cod. civ., perché lo scopo mutualistico non esclude che possano ritenersi vietate operazioni tali da mettere a rischio l’equilibrio del capitale sociale, la cui tutela è peraltro salvaguardata da norme specifiche, in materia di cooperative, che impongono la formazione di riserve , quali l’artt. 2545 quater e l’art. 32 comma 1 TUB per le banche popolari.

12 Novembre 2022

Applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche popolari

L’art. 2358 c.c. consente alla società di concedere assistenza finanziaria solo alle condizioni specificate nella norma stessa. Da detta disciplina emerge che l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni. Infatti, la disciplina dell’art. 2358 c.c. non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa, posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.

L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società. Detto ciò e considerato il divieto di assistenza finanziaria imposto da norma imperativa, deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1 c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto.

11 Novembre 2022

Sull’esclusione della configurabilità dell’usura sopravvenuta

Con il d.l. 394/2000, convertito, con modificazioni, nella l. 24/2001, si è stabilito, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815, co. 2, c.c., che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Va, pertanto, esclusa la configurabilità dell’usura sopravvenuta, con la conseguenza che ove il tasso degli interessi concordato tra le parti del contratto bancario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula.

Sul divieto di promuovere azioni nei confronti delle banche in l.c.a. ex art. 83, co. 3, t.u.b.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa deve essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice ordinario può conoscerne solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito.

Tale principio ha numerose implicazioni processuali: in primo luogo, l’inammissibilità colpisce anche la domanda volta a far valere in via indiretta un credito nei confronti della procedura; la regola si applica, pertanto, anche alle azioni volte a conseguire effetti costitutivi o di accertamento che siano comunque idonee ad alterare il principio della par condicio creditorum. Inoltre, l’effetto compensativo che può derivare dalla proposizione di una domanda di declaratoria di nullità o da una pronuncia di annullamento o di risoluzione del contratto determina l’attrazione della controversia al “foro fallimentare”, fatta salva l’ipotesi in cui la pretesa formi oggetto di eccezione riconvenzionale al solo fine di paralizzare la domanda dei commissari. Infine, l’attrazione delle controversie al tribunale concorsuale in misura così ampia assicura, almeno in linea tendenziale, la parità di trattamento tra i creditori della procedura.

6 Settembre 2022

Danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato e responsabilità del revisore

L’azione di risarcimento del danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato costituisce un’azione indipendente dalla qualità di socio e perciò è esperibile non solo da titolari di azioni, ma anche da altri soggetti, titolari di valori mobiliari diversi che non attribuiscono diritti sociali, o da chi, come spesso accade, socio non è più al momento dell’esercizio dell’azione. Il sistema di certificazione rinvenibile nel T.U.F. e nelle norme secondarie ha la sola funzione di garantire, con immediatezza e fuori dal processo, la certezza delle posizioni giuridiche quando siano in gioco diritti propriamente corporativi e inerenti ai rapporti fra il socio e la società. Ne deriva che l’azione in questione non costituisce esercizio di un diritto sociale e, come tale, resta esclusa dall’ambito applicativo dell’articolo 83 quinquies, co. 3, T.U.F. Nel conflitto tra l’investitore preteso danneggiato, il quale ha un preciso interesse a non vedere appesantito eccessivamente il proprio onere di provare la titolarità del diritti soggettivi azionati, e la società emittente, la quale ha l’interesse a poter acclarare con certezza che l’attore sia (o sia stato) effettivamente titolare delle proprie azioni acquistate sul mercato secondario, il punto di equilibrio va individuato nella prova, libera ma rigorosamente ancorata, ove non si tratti di prova diretta, ai criteri di sufficiente grado di gravità, precisione, concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c.

L’attività di revisione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 39/2010 comporta verso i singoli risparmiatori e investitori una responsabilità di natura extracontrattuale, essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.

Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad effettuare l’investimento nella società a ciò indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole a bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della conclusione dell’operazione; il presunto danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno. In particolare, il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del “più probabile che non”. Conseguentemente, chi si duole dei dati contabili e di bilancio in quanto confortati dal revisore è tenuto ad allegare e, poi, a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde deve fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto e in conseguenza dell’illecito commesso.

26 Luglio 2022

Assistenza finanziaria per l’acquisto e la sottoscrizione di azioni proprie

La concessione del finanziamento non funzionalizzato all’acquisto azionario a colui che in passato ha acquistato azioni della società con denaro proprio non integra la fattispecie di cui all’art. 2358 c.c. [nel caso di specie, il finanziamento era stato concesso per sovvenire liquidità].

19 Maggio 2022

L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire

La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.

Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.

25 Febbraio 2022

Cessione di debiti e controversie nella l.c.a. delle banche venete

L’art. 3 d.l. 99/2017 (concernente la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e Veneto Banca s.p.a.) vieta la cessione dei debiti nei confronti dei propri azionisti derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni, e delle controversie derivanti da vendite distorte (“malcollocamento”) di azioni relative a passati aumenti di capitale. La norma va letta alla luce del principio bancario della condivisione degli oneri (secondo il quale alcune categorie di soggetti sono tenute in via principale a sostenere la crisi, e fra di essi, in ogni caso, gli azionisti) e dunque estensivamente non possono coloro che siano azionisti, anche se si dolgono di avere subito operazioni di malcollocamento di azioni, avere come controparte sostanziale, oltre che processuale, altri che la liquidatela, alla quale i rapporti afferenti la vendita di azioni (e anche la “cattiva vendita”) debbono rimanere. Diversamente si riconoscerebbe all’azionista la possibilità di fare valere doglianze verso soggetti diversi dalla liquidatela, e segnatamente l’acquirente che beneficia di aiuti di Stato. Tale principio vale per tutti i rapporti che siano collegati alla vendita, inclusi i finanziamenti finalizzati al collocamento.

Fra le esclusioni dalla cessione campeggiano i contenziosi civili e i conseguenti effetti negativi, relativi a controversie con azionisti, e comunque le passività (nel senso ampio anche di “minor attivo”) costituite da debiti, responsabilità e passività derivanti o comunque connessi con le operazioni di commercializzazione di azioni delle Banche. L’esclusione dalla cessione non può tuttavia limitarsi alle “passività” ma, alla luce dei principi comunitari, deve estendersi ad ogni aspetto, anche attivo, riconducibile al collocamento azionario.

6 Settembre 2021

Insussistenza della responsabilità solidale della società di revisione per atti di esclusiva competenza degli amministratori e nesso di causalità

L’art. 15 d.lgs. 39/2010, nel disciplinare la responsabilità delle società di revisione, secondo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente, delinea nei confronti dei soci o dei terzi estranei al contratto di revisione la concorrente responsabilità di natura aquiliana delle società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall’inosservanza dei doveri che regolano l’attività di revisione, in modo tale da assicurare l’affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.

Benché si tratti di una responsabilità solidale con quella degli amministratori, quella delle società di revisione è una responsabilità civile per fatto proprio, che scaturisce dal compimento di atti dolosi o colposi nell’esercizio dell’attività di controllo contabile che queste ultime sono chiamate a svolgere, che prescinde dal mero accertamento della responsabilità degli amministratori per il compimento di atti di mala gestio.

Per tale motivo, ai fini della valutazione della responsabilità di una società di revisione per il pregiudizio economico arrecato a un socio o a un terzo non solo è necessario l’accertamento della violazione delle regole tecniche, dei principi internazionali di revisione e delle comuni regole di diligenza e prudenza, ma anche la sussistenza di un nesso eziologico tra il pregiudizio lamentato e la condotta illecita posta in essere dalla società di revisione, in modo che il primo, ai sensi dell’art. 1223 c.c., sia una conseguenza immediata e diretta della seconda. Al contrario esula dalla fattispecie di responsabilità, desumibile dall’art. 15 sopra richiamato, la ricostruzione sia come mera proiezione in termini di responsabilità oggettiva della responsabilità degli amministratori per gli atti di gestione rivelatisi dannosi per la società, sia come semplice misura sanzionatoria della violazione dei doveri che governano l’attività del revisore, aggiuntiva rispetto a quella amministrativa e penale. [Nel caso di specie il Tribunale di Milano ha escluso la sussistenza di una responsabilità solidale della società di revisione con gli amministratori per la violazione della disciplina dell’assistenza finanziaria di cui l’art. 2358 c.c., dal momento che il pregiudizio economico che il terzo acquirente delle azioni ha subito di seguito al dissesto della banca è esclusivamente imputabile a un atto di cattiva gestione degli amministratori, non esistendo altresì un nesso di causalità tra l’acquisto delle azioni e l’erronea attestazione della veridicità dei bilanci da parte della società di revisione, essendo questi ultimi riferibili a un periodo successivo all’acquisto, che porta ad escludere qualsiasi influenza delle prospettate false comunicazioni contenute nei bilanci attestati sull’investimento effettuato].