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Art. 15 d.lgs. 39 2010
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6 Settembre 2023

Questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, recante disciplina di favore per i revisori in tema di prescrizione

L’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, per il quale il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione della responsabilità dei revisori deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, costituisce lex specialis, di indubbio favore, che esclude l’applicabilità in via analogica delle regole dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci con i quali pure il revisore sia chiamato in correità; e che ricomprende indistintamente tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 contro il revisore dalla società revisionata come anche dai soci di questa e dai terzi in genere. Tale norma presenta caratteri di possibile illegittimità costituzionale [pertanto, il tribunale ha sollevato, con separata ordinanza, quesitone di legittimità dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010].

La mancanza di autorizzazione del giudice delegato al curatore perché intraprenda un giudizio, concernendo un’attività svolta nell’esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria con effetto ex tunc, anche mediante successiva autorizzazione nel corso del processo, purché l’inefficacia degli atti non sia stata nel frattempo già accertata e sanzionata dal giudice.

L’atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, può tuttavia valere come atto di costituzione in mora, ed avere perciò l’efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore ex art. 2943, co. 4, c.c.

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali. L’azione ex art. 146 l.fall. implica una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti; tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare le domande risarcitorie in commento, una di natura contrattuale (l’azione sociale di responsabilità), l’altra di natura extracontrattuale (l’azione di responsabilità verso i creditori). Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.

L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso rimane sospeso per l’amministratore, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dalla carica. L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio sociale, per l’inidoneità dell’attivo, raffrontato alle passività, a soddisfare i loro crediti. In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione de qua e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti l’onere di fornire prova contraria della diversa data anteriore di conoscibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

30 Maggio 2023

I fatti sintomatici idonei a ribaltare la presunzione circa la decorrenza della prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c. dalla data del fallimento

Nel caso dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, il termine quinquennale decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte loro, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto. Solitamente questo momento viene a coincidere con la pubblicazione nel registro delle imprese della dichiarazione di fallimento, atteso che, in ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. [Nel caso di specie, il tribunale ha considerato tali: (i) l’arresto dell’amministratore delegato, cui era conseguita (ii) la pubblicazione su periodici di notizie in merito all’istanza di fallimento presentata dalla procura della Repubblica; (iii) la sospensione della quotazione e della compravendita delle azioni della società operata da Borsa Italiana, di cui pure era stata data notizia sulla stampa; (iv) la convocazione dell’assemblea straordinaria della società, pubblicata sul sito di Borsa Italiana, avente ad oggetto, tra l’altro, l’analisi della situazione contabile e una discussione in merito all’opportunità di procedere alla presentazione di una domanda di un concordato in bianco, ovvero alla liquidazione della società].

In tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato), sicché deve concludersi che il più lungo termine prescrizionale non trova applicazione con riferimento alle posizioni degli altri soggetti che hanno fatto parte degli organi di gestione e di controllo, unitamente ai predetti imputati/condannati, ma nei confronti dei quali l’autorità competente non ha ritenuto di esercitare l’azione penale.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità del revisore, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.

Nell’assumere l’iniziativa giudiziale a norma del secondo comma dell’art. 146 l.f., il curatore del fallimento esercita nei confronti di amministratori e sindaci cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità, che sarebbe stata esperibile dalla medesima società se ancora in bonis (ai sensi degli artt. 2393 e 2407 c.c.), sia l’azione che sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza della società debitrice (ai sensi degli artt. 2394 e 2407 c.c.). Ciò comporta la mera modifica della legittimazione attiva delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., ma non anche una modifica della natura giuridica e dei presupposti di tali singole azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Invero, il curatore può, anche separatamente, formulare le singole domande risarcitorie, le quali mantengono ciascuna la propria natura.

L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Tale violazione è, tuttavia, idonea a fondare solo una pronuncia di condanna generica al risarcimento che non investe la sussistenza del danno. Invero, eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

11 Maggio 2023

Danno da mancato disinvestimento di azioni non quotate e responsabilità della società di revisione

La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione per mancato disinvestimento invocabile dai soci che lamentino di aver fatto affidamento sui giudizi rilasciati dai primi è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 15 d.lgs. 39/2020 che, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità per fatto proprio colposo o doloso commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato.

La responsabilità dei revisori legali e della società di revisione ex art. 15 d.lgs. 39/2020 ha natura extracontrattuale ed è ricondotta nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta resa al pubblico. Elementi strutturali della fattispecie di responsabilità sono: (i) la condotta di inadempienza ai principi di revisione da parte del revisore nell’esercizio della sua attività e quindi l’aver reso un giudizio senza rilievi in presenza di un bilancio non vero, redatto non in conformità ai criteri di legge e contabili; (ii) l’esistenza di un pregiudizio; (iii) il nesso causa-effetto tra il presunto comportamento inadempiente e il danno lamentato.

Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad una certa scelta e, se si tratta di investimenti, ad effettuare l’investimento o a non effettuare il disinvestimento indotto da dati patrimoniali, economici esposti in bilancio e dalla relazione del revisore che ha espresso parere senza rilievi, creando un infondato affidamento sui dati non veri resi evidenti successivamente con il disvelamento della reale situazione. Inoltre, il danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno.

Sussiste una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dell’emittente; la presunzione è tuttavia suscettibile di prova contraria se si dimostra, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico.

Quanto al danno derivante dal mancato e tempestivo disinvestimento, e meglio qualificabile come perdita di chance di disinvestire, non è concepibile in concreto a fronte di un’obiettiva difficoltà di smobilizzo di un titolo caratterizzato come “illiquido”.

20 Ottobre 2022

Ratio della risoluzione degli enti creditizi ed efficacia delle decisioni della Corte di Giustizia

In tema di risanamento e risoluzione degli enti creditizi, la ratio della disciplina del d.lgs. 180/2015, di derivazione europea, è quella di creare una netta distinzione tra l’ente in risoluzione e l’ente ponte al fine di garantire, nell’interesse pubblico generale, la stabilità del sistema finanziario con la prosecuzione dell’attività bancaria, a tutela anche dei rapporti di clientela in essere con la banca in crisi e al fine di scongiurare riflessi negativi sul tessuto economico delle aree interessate che deriverebbero dalla liquidazione della banca in crisi.

Le decisioni della Corte di Giustizia sull’interpretazione dei trattati sono vincolanti non solo per il giudice del rinvio, ma spiegano efficacia anche al di fuori del giudizio principale, data la loro portata generale ed astratta con efficacia vincolante erga omnes a garanzia dell’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione Europea in tutto l’ambito europeo. Inoltre, alle sentenze interpretative va attribuita efficacia retroattiva come conseguenza dell’effetto di incorporazione dell’interpretazione della Corte UE nel testo della disposizione interpretata.

Le norme della Direttiva 2014/59 devono essere interpretate nel senso che esse ostano a che, successivamente alla svalutazione totale delle azioni del capitale sociale di un ente creditizio o di un’impresa di investimento sottoposti a una procedura di risoluzione, le persone che hanno acquistato delle azioni, nell’ambito di un’offerta pubblica di sottoscrizione emessa da tale ente prima dell’avvio di detta procedura di risoluzione, propongano, nei confronti dell’ente creditizio o dell’impresa in parola, ovvero contro l’entità succeduta a tali soggetti, un’azione di responsabilità a causa delle informazioni fornite nel prospetto oppure un’azione di nullità del contratto di sottoscrizione di tali azioni, la quale, in considerazione del suo effetto retroattivo, porti alla restituzione del controvalore dei titoli azionari suddetti, maggiorato di interessi a decorrere dalla data di conclusione di tale contratto.

Il d.lgs. 180/2015 non preclude in assoluto ogni facoltà di agire per il risarcimento del danno ex art 94 TUF, ma solo la facoltà di agire verso il nuovo soggetto, l’ente ponte, nelle sole ipotesi in cui l’iniziativa non è stata assunta prima della cessione ex d.lgs. 180/2015, restando immutata la facoltà di agire verso gli altri possibili co-responsabili (quali l’offerente, l’eventuale garante, le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto, l’intermediario finanziario).

6 Settembre 2022

Danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato e responsabilità del revisore

L’azione di risarcimento del danno da omessa, falsa o inesatta informazione al mercato costituisce un’azione indipendente dalla qualità di socio e perciò è esperibile non solo da titolari di azioni, ma anche da altri soggetti, titolari di valori mobiliari diversi che non attribuiscono diritti sociali, o da chi, come spesso accade, socio non è più al momento dell’esercizio dell’azione. Il sistema di certificazione rinvenibile nel T.U.F. e nelle norme secondarie ha la sola funzione di garantire, con immediatezza e fuori dal processo, la certezza delle posizioni giuridiche quando siano in gioco diritti propriamente corporativi e inerenti ai rapporti fra il socio e la società. Ne deriva che l’azione in questione non costituisce esercizio di un diritto sociale e, come tale, resta esclusa dall’ambito applicativo dell’articolo 83 quinquies, co. 3, T.U.F. Nel conflitto tra l’investitore preteso danneggiato, il quale ha un preciso interesse a non vedere appesantito eccessivamente il proprio onere di provare la titolarità del diritti soggettivi azionati, e la società emittente, la quale ha l’interesse a poter acclarare con certezza che l’attore sia (o sia stato) effettivamente titolare delle proprie azioni acquistate sul mercato secondario, il punto di equilibrio va individuato nella prova, libera ma rigorosamente ancorata, ove non si tratti di prova diretta, ai criteri di sufficiente grado di gravità, precisione, concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c.

L’attività di revisione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 39/2010 comporta verso i singoli risparmiatori e investitori una responsabilità di natura extracontrattuale, essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da informazione non corretta sul mercato, rispondendo ad una necessità di controllo avvertita dall’intera società attraverso la tutela dell’ordinata conduzione del mercato.

Il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta del revisore deve allegare di essersi determinato ad effettuare l’investimento nella società a ciò indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole a bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della conclusione dell’operazione; il presunto danneggiato è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno. In particolare, il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del “più probabile che non”. Conseguentemente, chi si duole dei dati contabili e di bilancio in quanto confortati dal revisore è tenuto ad allegare e, poi, a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde deve fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto e in conseguenza dell’illecito commesso.

Responsabilità del sindaco e del revisore; corresponsabilità della banca in caso di atti distrattivi dell’amministratore

I doveri di vigilanza dei sindaci come tali non si estendono di per sé al controllo contabile; tuttavia, essi sono tenuti ad una sorveglianza generale dell’andamento gestorio. La responsabilità dei sindaci può certamente essere predicata anche solo in relazione alla mancata vigilanza, ma questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità; naturalmente, sul presupposto che tali fatti dovessero e potessero essere rilevati nell’esercizio dei compiti di legge.

Quando i sindaci rivestano anche la carica di revisori, deve escludersi la commistione fra gli obblighi e i regimi anche prescrizionali che regolano ciascuno dei due compiti, i quali sono invece disciplinati in modo diverso e da disposizioni normative distinte e specifiche. La netta distinzione di disciplina tra revisori e sindaci, che vale per compiti, requisiti e responsabilità, vale anche per il regime prescrizionale, chiaramente diverso. Quanto alla prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti del revisore, in particolare, ai sensi dell’art. 15 del d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 “l’azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento”. Tale speciale regime di decorrenza della prescrizione si applica naturalmente solo per le annate relativamente alle quali i revisori sono giunti a chiudere il periodo con relazione; ma certamente non opera riguardo a quelle negligenze relative ai compiti di verifica, nel corso dell’esercizio, della regolare tenuta della contabilità sociale e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili (art 14, lett. b), d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39) commesse in periodi che non si sono conclusi con relazione.

La banca risponde quale corresponsabile dell’illecito dell’amministratore che storni a sé sostanze sociali – condotta concretamente atto in conflitto di interessi – in base ai principi generali della responsabilità civile, sia sotto il profilo aquiliano, per lesione del credito, sia sotto quello contrattuale, dovendo la banca rifiutare di dare corso all’operazione a fronte di condotte ictu oculi anomale, che siano palesemente contrarie all’interesse del correntista. Ai fini di tale valutazione, è possibile fare ricorso, nella normativa antiriciclaggio, ai criteri di anomalia previsti nel provvedimento di Banca d’Italia del 24 agosto 2010; ed invero, seppure la disciplina antiriciclaggio non sia dettata a beneficio del correntista, l’esistenza di tale disciplina rileva in quanto impone comunque che la banca si doti di strumenti di rilevazione delle operazioni anomale.

Nell’ambito di un contratto di assicurazione della responsabilità civile professionale è valida la clausola mediante la quale viene limitata l’operatività della copertura alla sola quota di danno direttamente e personalmente imputabile all’assicurato, con esclusione di quella parte di responsabilità che possa derivare da un vincolo di solidarietà.

Ciò che mina il contraddittorio processuale e rende indispensabile l’intervento di nomina di un curatore speciale da parte del giudice ex art. 78 c.p.c. è un conflitto attinente all’interesse difensivo del rappresentante, che sia parte nel processo, rispetto alla parte rappresentata, che sia parte nel medesimo processo. Quando il rappresentante non sia litisconsorte, il giudice deve impiegare, nella valutazione della sussistenza del conflitto, la massima cautela, dal momento che la nomina di un curatore speciale quale rappresentante processuale di un ente (specie nel caso di una società) lo consegna alla difesa curata da soggetto estraneo; soggetto che, qui si può esplicitare, si fonda su una conoscenza dei fatti sociali necessariamente meno approfondita rispetto a quella dell’organo gestorio.

24 Gennaio 2022

Acquisto di partecipazioni effettuato sulla base di dati economici errati e responsabilità dei revisori: in particolare, il nesso causale

Qualunque sia la connotazione legale della responsabilità invocata in un’azione risarcitoria (se cioè, per inadempimento di una preesistente obbligazione fra danneggiante e danneggiato ovvero, in assenza di quella, ex lege aquilia), la struttura della fattispecie postula che tra la condotta inadempiente o contra ius addebitata al danneggiante e il danno patito dal danneggiato deve sussistere un nesso di causalità, sia pur adeguata e di carattere probabilistico, tale per cui sia allegato, e dimostrato, dall’attore (su cui incombono entrambi detti oneri) che la condotta commissiva od omissiva del convenuto sia stata, se non causa determinante, quantomeno concausa efficacemente concorrente della lesione subita nella propria sfera giuridico-economica. In presenza di un allegato concorso causale, se non si può negare il nesso eziologico fra condotta e danno solo perché vi sono più cause possibili ed alternative, il giudice deve comunque stabilire quale tra esse sia “più probabile che non”, in concreto ed in relazione alle altre, e, quindi, idonea a determinare in via autonoma il danno evento. Qualora tale accertamento non sia possibile, trova applicazione il principio generalissimo dettato dall’art. 41 c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento in forza della riconducibilità a tutte di quest’ultimo: salvo che, in concreto, si verifichi l’esclusiva efficienza causale di una di esse [nella specie, il Tribunale ha rigettato la domanda dell’investitore che aveva confessoriamente dichiarato in un separato giudizio di essersi determinato all’acquisto delle azioni in ragione degli stretti rapporti con alcuni amministratori dell’emittente e delle rassicurazione e sollecitazioni ricevute dagli stessi].

16 Ottobre 2021

La responsabilità della società di revisione

Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, “i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri”.

La norma, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente, delinea nei confronti dei soci e dei terzi estranei al contratto di revisione, la concorrente responsabilità di natura aquiliana della società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall’inosservanza dei doveri che regolano l’attività di revisione, in modo tale da assicurare l’affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società contenute nei bilanci sottoposti al suo giudizio.

La responsabilità in questione, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità civile per fatto proprio colposo o doloso dei revisori commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato e come tale presuppone, in estrema sintesi, l’accertamento:

– dell’inadempimento dei revisori ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione;

– del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievi;

– del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.

Affinché il danno lamentato dal terzo o dal socio sia imputabile alla società di revisione è indispensabile, dunque, la prova del nesso eziologico tra la violazione dei doveri di controllo ed il pregiudizio economico lamentato.

5 Ottobre 2021

In tema di emissione di azioni la transazione conclusa tra la società emittente e l’azionista danneggiato può liberare il revisore

La responsabilità degli amministratori della società emittente e dei revisori legali dei conti per il danno derivato, ai soci ed ai terzi, dall’inadempimento ai loro doveri è solidale. Nel particolare caso in cui l’incarico di revisione sia stato svolto da una società, anche la responsabilità delle persone fisiche rileva, essendo queste tenute in solido – con la medesima – al risarcimento verso la società revisionata ed i terzi danneggiati, sebbene «entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato».

Nel caso di azione dell’investitore volta ad ottenere il risarcimento del danno per perdita dell’investimento compiuto confidando nella veridicità dei dati risultanti da bilancio, la transazione intervenuta tra l’investitore medesimo e la società emittente determina potenzialmente l’estinzione del debito risarcitorio gravante sui revisori, potendo questi approfittare, in via potestativa, dell’effetto liberatorio di cui all’art. 1304 comma 1 c.c. Infatti, la transazione relativa all’intero debito solidale – e non solo alla quota del singolo – estende i suoi effetti anche ai condebitori che siano rimasti estranei all’accordo e che abbiano dichiarato di approfittare dell’effetto liberatorio; gli unici presupposti per l’esercizio del diritto sono, dunque, il vincolo solidale dal lato passivo dell’obbligazione e la natura «tombale» della transazione, che deve necessariamente avere ad oggetto l’intero debito.

27 Settembre 2021

Domanda risarcitoria nei confronti dei revisori e nesso causale tra attività di revisione e danno lamentato

Qualunque sia la connotazione della responsabilità invocata in un’azione risarcitoria, la struttura della fattispecie postula che tra la condotta inadempiente o contra ius addebitata al danneggiante e il danno patito dal danneggiato sussista un nesso di causalità, seppur ‘adeguata’ e di carattere probabilistico, tale per cui sia allegato e dimostrato dall’attore (su cui incombono entrambi detti oneri) che la condotta commissiva ed omissiva del convenuto sia stata, se non la causa determinante, quantomeno una concausa efficacemente concorrente della lesione subita nella propria sfera giuridico-economia. Sicché, nel caso di azione risarcitoria promossa nei confronti dei revisori legali da parte di terzi entrati in contatto con la società revisionata, a prescindere che la domanda sia proposta ex art. 15 d.lgs. n. 39/2010 ovvero ex art. 2043 c.c., grava sull’attore fornire la prova che l’inadempimento dei revisori agli obblighi su di essi incombenti si sia posto in diretta relazione causale con il danno lamentato [nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria nei confronti del revisore non ravvisando la prova che l’asserito inadempimento del revisore si sia posto in diretta relazione causale con la decisione dell’attrice di acquistare azioni della società revisionata, poi messa in l.c.a.].