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Giulia Pancioli

Giulia Pancioli

Dottoranda di ricerca

Dottoranda di ricerca in diritto commerciale presso l'Università di Ferrara; Cultrice della materia di diritto commerciale; Collaboratrice delle riviste online "Diritto Bancario" e "Ius in Itinere".

15 Dicembre 2021

Insussistenza della responsabilità solidale della società di revisione per atti di esclusiva competenza degli amministratori e nesso di causalità

L'art. 15 d.lgs. 39/2010, nel disciplinare la responsabilità delle società di revisione, secondo l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente, delinea nei confronti dei soci o dei terzi estranei al contratto di revisione la concorrente responsabilità di natura aquiliana delle società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall'inosservanza dei doveri che regolano l'attività di revisione, in modo tale da assicurare l'affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società. Benché si tratti di una responsabilità solidale con quella degli amministratori, quella delle società di revisione è una responsabilità civile per fatto proprio, che scaturisce dal compimento di atti dolosi o colposi nell'esercizio dell'attività di controllo contabile che queste ultime sono chiamate a svolgere, che prescinde dal mero accertamento della responsabilità degli amministratori per il compimento di atti di mala gestio. Per tale motivo, ai fini della valutazione della responsabilità di una società di revisione per il pregiudizio economico arrecato a un socio o a un terzo non solo è necessario l'accertamento della violazione delle regole tecniche, dei principi internazionali di revisione e delle comuni regole di diligenza e prudenza, ma anche la sussistenza di un nesso eziologico tra il pregiudizio lamentato e la condotta illecita posta in essere dalla società di revisione, in modo che il primo, ai sensi dell'art. 1223 c.c., sia una conseguenza immediata e diretta della seconda. Al contrario esula dalla fattispecie di responsabilità, desumibile dall'art. 15 sopra richiamato, la ricostruzione sia come mera proiezione in termini di responsabilità oggettiva della responsabilità degli amministratori per gli atti di gestione rivelatisi dannosi per la società, sia come semplice misura sanzionatoria della violazione dei doveri che governano l'attività del revisore, aggiuntiva rispetto a quella amministrativa e penale. [Nel caso di specie il Tribunale di Milano ha escluso la sussistenza di una responsabilità solidale della società di revisione con gli amministratori per la violazione della disciplina dell'assistenza finanziaria di cui l'art. 2358 c.c., dal momento che il pregiudizio economico che il terzo acquirente delle azioni ha subito di seguito al dissesto della banca è esclusivamente imputabile a un atto di cattiva gestione degli amministratori, non esistendo altresì un nesso di causalità tra l'acquisto delle azioni e l'erronea attestazione della veridicità dei bilanci da parte della società di revisione, essendo questi ultimi riferibili a un periodo successivo all'acquisto, che porta ad escludere qualsiasi influenza delle prospettate false comunicazioni contenute nei bilanci attestati sull'investimento effettuato].       [ Continua ]
14 Giugno 2023

Criteri di qualificazione dei versamenti dei soci. In particolare, la fattispecie regolata dall’art. 2467 c.c.

L’erogazione di somme da parte dei soci a favore della società può avvenire a titolo di mutuo oppure di versamento in conto capitale e la diversa natura di tali versamenti rileva ai fini della determinazione della disciplina applicabile, in particolare in relazione alla possibilità di rimborso delle somme versate. L’identificazione dei versamenti dei soci come finanziamenti o apporti in conto capitale si basa sulla volontà negoziale delle parti nel momento in cui si è manifestata o, in mancanza, sulla qualificazione che tali somme hanno ricevuto nel bilancio, in considerazione della soggezione di questo all’approvazione dei soci. Così, la qualificazione delle somme come “finanziamenti soci” o “debiti verso soci” e la loro iscrizione nel bilancio al passivo dello stato patrimoniale qualifica tali versamenti come finanziamenti; nel caso contrario, invece, l’iscrizione delle somme tra le riserve del patrimonio netto condurrebbe alla loro qualificazione come versamenti in conto capitale. I versamenti di quasi-capitale possono essere distribuiti prima della liquidazione della società soltanto previa apposita delibera assembleare (o decisione dei soci nelle s.r.l.) e sono destinati ad essere intaccati nel loro ammontare dalle perdite. La natura di finanziamento di un versamento effettuato dal socio nei confronti della società comporta l’applicazione della disciplina della postergazione di cui all’art. 2467 c.c. La disposizione ha quale suo presupposto situazioni di difficoltà della società, nelle quali il prestito del socio, in luogo di un fisiologico finanziamento, è alquanto sospetto e scorretto. Tale situazione di difficoltà, che deve essere vagliata al momento in cui il finanziamento è stato erogato, ricorre in presenza o di un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure di circostanze in presenza delle quali sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento. Nella prima delle due situazioni assume rilevanza centrale il rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi (con la precisazione che tale rapporto tende a variare in relazione alla singola realtà e alla vita dell’impresa collettiva e su di esso incide la durata dell’indebitamento nonché del flusso di cassa dell’impresa); per il riscontro di tale situazione occorre, pertanto, dare rilevanza all’indice di indipendenza finanziaria (inteso come rapporto tra patrimonio netto, capitale proprio e capitale di terzi). Nel secondo caso, invece, non è necessario che sussista un eccessivo indebitamento, rilevando piuttosto una situazione finanziaria tale per cui sarebbe ragionevole un conferimento. Il riferimento alla ragionevolezza induce ad individuare uno standard di comportamento socialmente tipico di un finanziatore o normale operatore del mercato, anche alla luce degli usi commerciali del settore di attività della società interessata, il quale verosimilmente non avrebbe finanziato la società perché questa ex ante non presenta le condizioni finanziarie per poter restituire quanto ricevuto. Per l’accertamento di questo secondo presupposto, assume rilievo decisivo l’indice di liquidità, che misura la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni finanziari assunti (con la precisazione che un indice inferiore ad uno evidenzia una situazione di sostanziale insolvenza, tale da rendere inopportuna la scelta del finanziamento in luogo dell’apporto di capitale). [ Continua ]
30 Settembre 2021

Rilevanza dell’abuso della maggioranza ai fini dell’invalidità di una delibera assembleare e procedura competitiva per la vendita dell’azienda

L'abuso del diritto di voto si configura allorquando il socio eserciti consapevolmente il suo diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, mentre il conflitto di interessi presuppone, come anche previsto dall'art. 2373 c.c. e dall'art. 2475 -ter c.c., un conflitto di interessi tra il socio e la società che si risolva nell’adozione di una decisione dannosa per l’ente. L’abuso della maggioranza presuppone, dunque, un conflitto fra soci e l’esercizio del diritto di voto in assemblea da parte del socio di maggioranza con lo scopo di ledere l’interesse degli altri soci senza che vi sia alcun interesse sociale all’adozione della deliberazione [nella specie il Tribunale esclude la sussistenza di un abuso di maggioranza per una delibera assembleare che ha deciso di offrire in vendita l'azienda al miglior offerente su base d'asta, escludendo così la possibilità di configurazione logica dell’abuso dei soci di maggioranza che presuppone la realizzazione, attraverso l’adozione della delibera assembleare, di una situazione ingiustificata di vantaggio per il gruppo di maggioranza a scapito del socio di minoranza]. [ Continua ]
12 Giugno 2023

Azione di responsabilità del curatore e valutazione della mala gestio degli amministratori

Nel merito delle valutazioni da compiere per affermare la sussistenza della responsabilità degli amministratori e ottenere la riacquisizione alla massa fallimentare dell'attivo sottratto, il giudice adito deve valutare la mala gestio degli atti degli amministratori e la sussistenza di un nesso di causalità giuridica tra la condotta posta in essere e il danno sofferto dalla società. Dalla irregolare tenuta della documentazione contabile non può discendere ex se un danno-conseguenza risarcibile, mancando un nesso di causalità giuridica tra questa e il pregiudizio sofferto. Diversa valutazione della sussistenza del nesso di causalità giuridica deve farsi nei casi in cui una condotta omissiva degli amministratori arrechi nocumento al patrimonio della società, minimizzando le aspettative di soddisfacimento dei creditori. Qualora invece la condotta di mala gestio si concretizzi nel rimborso di finanziamenti fatti dai soci in violazione della regola della postergazione ex art. 2467 c.c., ossia nei casi in cui questi erano fatti in un momento in cui la situazione di difficoltà finanziaria della società rendeva preferibile un conferimento, la valutazione del danno dovrà tener conto della sussistenza della situazione finanziaria di squilibrio al momento dell’erogazione del finanziamento. Infatti, la postergazione opera solo nei casi in cui il finanziamento sia eseguito dal socio in un periodo di equilibrio finanziario della società, ma non nei casi in cui il rischio di insolvenza sia solo successivo all’erogazione del finanziamento, avendo in quest’ultimo caso il socio diritto alla restituzione del proprio finanziamento e non potendo l’amministratore opporre la postergazione. [ Continua ]
9 Maggio 2023

La funzione del registro delle imprese e i limiti al sindacato del giudice del registro. L’opponibilità del patto di prelazione contenuto in uno statuto

Il registro delle imprese ha assunto, per volontà del legislatore del 1993, le funzioni tipiche di un pubblico registro cui è assegnata una insostituibile funzione informativa e pubblicitaria, costituendo in particolare l’unica fonte con validità legale dei fatti ed atti riguardanti il mondo delle imprese. Il registro, dunque, è destinato a creare nei confronti dei terzi un legittimo affidamento, giuridicamente tutelato, della legalità e validità delle informazioni e dei dati ivi inseriti; la funzione specifica di un pubblico registro consiste nel diritto, riconosciuto ad ogni cittadino, di accedervi ricavandone informazioni che hanno piena valenza giuridica, il che significa che le stesse sono normalmente esatte e veritiere, che possono essere utilizzate in ogni contenzioso da parte dei soggetti in lite e che il giudice le deve assumere come vere. Con riferimento ai limiti del sindacato devoluto (dapprima) al conservatore del registro e (successivamente) al giudice del registro, si osserva che tali soggetti devono esercitare un controllo formale che si appunta sui requisiti formali della domanda (competenza dell’ufficio, provenienza e certezza giuridica della sottoscrizione, riconducibilità dell’atto da iscrivere al tipo legale, legittimazione alla presentazione dell’istanza di iscrizione). Essi, poi, devono valutare se l’illiceità dell’atto comprometta la riconducibilità al tipo legale giuridico di atto iscrivibile. Tuttavia, un controllo meramente formale non esaurisce i poteri (e la funzione) del conservatore. Al conservatore, infatti, è demandato anche il compito di verificare il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione (art. 2189, co. 2, c.c.): tale compito, evidentemente, implica l’accertamento della corrispondenza dell’atto o del fatto del quale si chiede l’iscrizione a quello previsto dalla legge, in ciò sostanziandosi il c.d. controllo qualificatorio. Così, il conservatore non deve limitarsi a ricevere l’atto e a verificare la regolarità e la completezza della domanda sotto il profilo formale, ma deve altresì procedere, appunto, alla qualificazione dell’atto presentato per l’iscrizione, onde accertare se sia conforme al modello di atto previsto dalla legge per il quale è prescritta l’iscrizione. In altre parole, è riconosciuto al conservatore (e, quindi, al giudice del registro) il potere di verificare se l’atto di cui si richiede l’iscrizione integri gli estremi della fattispecie per cui è richiesta l’iscrizione e, quindi, se l’atto da iscrivere corrisponda al modello legale (controllo di tipicità). Il conservatore ha la funzione di verificare la compatibilità logica-giuridica tra le diverse iscrizioni. Ad opinare diversamente – nel senso, cioè, che il conservatore non possa verificare la compatibilità dell’atto con le risultanze del registro – verrebbe ad essere vanificata la stessa funzione del registro delle imprese, in quanto si verificherebbe la possibilità di iscrizione tra loro incompatibili, con conseguente venir meno di ogni possibile legittimo affidamento da parte dei terzi in ordine alla legalità ed alla validità delle informazioni contenute nel registro stesso. La verifica della continuità delle iscrizioni e, in particolare, la verifica della compatibilità delle diverse iscrizioni può implicare una attività di interpretazione sotto il profilo giuridico del contenuto dell’atto o del provvedimento da iscrivere. Esula dai poteri del conservatore – e, quindi, del giudice del registro – il controllo sul merito di una possibile lite tra i soci. Così, un atto o una deliberazione devono essere considerati come validamente assunti finché non interviene l’annullamento o la revoca in via giudiziale o stragiudiziale. Il controllo ha ad oggetto la formale verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto dalla legge, senza alcuna possibilità di accertamento in ordine alla validità negoziale dell’atto, poiché tale controllo potrà essere fatto unicamente in sede giurisdizionale. La radicale illiceità dell’atto può venire in rilievo solo se compromette la riconducibilità al tipo giuridico di atto iscrivibile. Il controllo di tipicità non può sconfinare in una valutazione di merito dell’atto depositato, non potendo implicare un giudizio relativo all’eventuale non corrispondenza al vero di quanto in esso rappresentato. La previsione ex art. 2485 c.c. di accertamento da parte degli amministratori in ordine alla ricorrenza di causa di scioglimento di società disegna in capo all’organo gestorio una specifica ed esclusiva competenza dichiarativa in ordine a tale evento, non sindacabile nell’ambito del controllo c.d. qualificatorio spettante al conservatore in sede d’iscrizione ex art. 2189 c.c., ma semmai solo controvertibile in sede contenziosa. Il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali avente ad oggetto l’acquisto delle azioni sociali, poiché è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente. La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione – stante, appunto, l’efficacia reale del patto inserito nello statuto sociale – della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni. Per contro, siffatta violazione non comporta anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificatamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettanti ai relativi titolari. L’efficacia reale comporta di per sé l’opponibilità erga omnes della clausola, ma nel solo senso della inefficacia rispetto alla società dell’atto di trasferimento eseguito in violazione della clausola, potendo la società rifiutare di riconoscere quale socio l’acquirente della partecipazione il cui acquisto si sia verificato in violazione della clausola di prelazione. Al contrario, salvo il caso di espressa previsione statutaria, l’efficacia reale non implica la configurabilità di un diritto del socio pretermesso di riscattare la partecipazione oggetto della cessione non preceduta da adeguata denuntiatio. Il patto di prelazione vincola il socio nei confronti degli altri soci, nonché, se recepito nello statuto, anche nei confronti della società, ma non comporta la nullità del negozio traslativo nel rapporto tra socio cedente e terzo cessionario. Il conservatore (e, quindi, il giudice del registro) non può operare, al momento dell’iscrizione di un atto di compravendita di partecipazioni sociali, una verifica del rispetto della clausola statutaria di prelazione, non afferendo tale valutazione al giudizio di corrispondenza tra l’atto da iscrivere ed il modello legale. In tali casi, infatti, la cessione delle partecipazioni sociali è perfettamente sussumibile nella fattispecie legale tipica a prescindere dal rispetto della clausola suddetta. La cessione delle quote o delle azioni corrisponde al modello legale cui aspira ad appartenere ancorché quella cessione sia intervenuta in violazione della clausola statutaria di prelazione proprio perché il rispetto di quest’ultima non assurge ad elemento costitutivo, sotto il profilo tipologico, della fattispecie. D’altra parte, anche a volere aderire all’orientamento più estensivo circa il perimetro dei controlli operabili dal conservatore e dal giudice del registro, la violazione della clausola di prelazione non sarebbe comunque verificabile in quanto da sua violazione non comporterebbe giammai la nullità del negozio traslativo. [ Continua ]
19 Luglio 2022

Azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. e comportamento negligente del socio

I presupposti dell'azione individuale esperibile ex art. 2395 c.c. da parte del singolo socio o del terzo che siano stati direttamente danneggiati dagli atti colposi o dolosi degli amministratori sono l'evento dannoso, il dolo o la colpa dell'amministratore, la diretta incidenza di tale evento sul patrimonio del socio o del terzo e la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta dell'amministratore e l'evento prodotto. Diversamente dall'azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) e dall'azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), l'azione individuale del socio o del terzo postula una lesione di un diritto soggettivo che non sia conseguenza del depauperamento patrimoniale della società. Come indicato nella norma, l'utilizzo dell'avverbio "direttamente" delimita l'ambito di operatività dell'art. 2395 c.c. ai soli casi in cui il danno, conseguenza di atti colposi o dolosi degli amministratori, sia immediato e investa direttamente la sfera patrimoniale dei soggetti danneggiati, a nulla rilevando, invece, la sussistenza di un rapporto diretto tra la condotta degli amministratori e il soggetto leso. La mancanza di un vincolo contrattuale tra amministratore e terzi che esercitano l'azione consente di qualificare tale fattispecie come responsabilità di natura extracontrattuale, che richiede al terzo danneggiato l'onere di provare la riferibilità dell'evento dannoso all'amministratore, nonché il dolo o la colpa di quest'ultimo e l'incidenza negativa di tale atto sul patrimonio personale. [Nel caso di specie, la falsa rappresentazione della situazione contabile della società nel bilancio redatto da parte degli amministratori, seppur sia sintomo di scarsa diligenza nell'espletamento delle funzioni dell'organo gestorio, non è sufficiente per far valere la responsabilità risarcitoria di questi ultimi. Il socio o il terzo che agisce ex art. 2395 c.c. deve provare non soltanto la falsità del bilancio, ma anche l'idoneità del comportamento illecito degli amministratori a incidere negativamente sulla condotta del socio o del terzo. La presenza del socio attore nel consiglio di amministrazione della società per il tramite di due consiglieri di sua nomina, nonché il voto favorevole da parte di quest'ultimo all'approvazione in sede assembleare dei singoli bilanci di esercizio, senza alcun rilievo sul loro contenuto, sono sintomatici di un comportamento negligente del socio che ha acquistato le azioni della società. Al contrario, come argomenta codesto Tribunale, l'insussistenza di un equilibrio economico-finanziario della società doveva essere desunta dallo stesso socio che ha presentato azione di responsabilità, tramite una corretta lettura delle risultanze contabili, mentre le determinazioni  del socio di acquistare nuove azioni erano state assunte all'esito di una relazione sulla situazione patrimoniale di natura previsionale e non consuntiva. Inoltre, successivamente all'acquisizione della maggioranza delle azioni della società, la nomina da parte del socio attore di un nuovo consiglio di amministrazione, con lo scopo precipuo di rivalutare la situazione patrimoniale della società, mette in luce la consapevolezza del socio della diversità esistente tra la situazione economico-finanziaria espressa nella contabilità societaria e la situazione effettiva in cui risultava la società.]   [ Continua ]
19 Marzo 2022

Legittimazione ad impugnare del socio e del creditore pignoratizio

La legittimazione ad impugnare una delibera assembleare di una s.r.l. per non conformità alla legge o allo statuto è circoscritta dall’art. 2479 - ter c.c. ai soci che non vi hanno consentito, escludendo così coloro che al momento dell’assunzione della delibera erano sprovvisti della qualità di socio, qualifica imprescindibile ai fini dell’esercizio del diritto all’impugnativa.  Discorso diverso deve essere fatto per le decisioni assembleari aventi oggetto illecito o impossibile che, secondo il disposto della summenzionata norma, possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse e quindi anche da soggetti che non sono soci della società.  Qualora la partecipazione sociale sia gravata da un pegno, il diritto all’impugnazione delle decisioni assembleari è uno di quei “diritti amministrativi diversi” che ai sensi dell’art. 2352 comma 6 c.c. spetta in maniera concorrente sia al socio sia al creditore pignoratizio.  Se l’esercizio dell’azione di nullità della delibera assembleare compete indistintamente sia al socio sia al creditore pignoratizio, non essendo neanche necessaria la qualifica di socio della società, la legittimazione ad impugnare la delibera per annullabilità soffre delle limitazioni che richiedono  un coordinamento tra la legittimazione esclusiva del creditore pignoratizio e quella concorrente del socio, il quale, sebbene sia formalmente legittimato ad impugnare la deliberazione, subisce gli effetti dell’espressione del diritto di voto da parte del creditore pignoratizio, dal momento che sarebbe illogico, con riferimento alla medesima partecipazione sociale, l’espressione di un voto in senso favorevole a una data deliberazione  e l’impugnazione volta al suo annullamento. Per le ragioni poc’anzi dette, il socio titolare della partecipazione sociale può esperire l’azione di annullamento della delibera assembleare qualora il creditore pignoratizio in sede di decisione abbia espresso voto contrario o  sia stato assente o astenuto, mentre l’impugnazione del socio non è proponibile qualora il creditore pignoratizio abbia votato a favore della delibera, perché l’azione è in contrasto con il comportamento dell’unico soggetto legittimato ad esprimere il voto. [Nel caso di specie il Tribunale di Roma è chiamato ad affrontare la questione della legittimità a impugnare una decisione assembleare di approvazione del bilancio di una s.r.l. da parte di due soci della stessa: un socio che aveva acquistato la quota della società senza aver iscritto l'avvenuto trasferimento nel registro delle imprese e un socio, titolare di una quota di partecipazione gravata da un pegno in favore di un terzo creditore. Nel primo dei due casi riportati, il mancato deposito dell’atto di trasferimento della quota nel registro delle imprese non rende, ai sensi dell’art. 2470 c.c.,  l’atto opponibile alla società e priva l’acquirente della qualità di socio e della conseguente legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, tra cui anche il diritto all’impugnazione delle delibere assembleari;  nel secondo caso riportato, l’esercizio del voto favorevole da parte del creditore pignoratizio alla decisione di approvazione del bilancio di esercizio, priva il socio della legittimazione ad impugnare la decisione per violazione di legge o dello statuto. Ai soci è riconosciuta l'esclusiva legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio per i  profili di nullità, qualora quest'ultimo sia redatto in violazione dei principi di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423 c.c., dal momento che la legge non richiede per l'esperimento della relativa azione la qualifica di socio della società, attribuendo a chiunque ne abbia interesse la legittimazione ad impugnare le decisioni aventi oggetto impossibile o illecito e quelle prese in assenza di assoluta informazione.] [ Continua ]